𝟭𝟲|| See you soon.

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11 Giugno.

Non credevo si fosse mai pronti per affrontare alcune situazioni, determinate situazioni che spesso le si avvertivano come un qualcosa più grandi di noi, o semplicemente vedere la realtà dei fatti che ci circondano risulta difficile.

La notizia dell' operazione di Allan mi aveva destabilizzata mentalmente: avevo paura, non riuscivo a dormire la notte e non pensavo ad altro. Avevo paura, dopo aver perso la mamma, avevo la nausea anche a sentire l'odore degli ospedali.

Avevo paura ci fossero delle complicanze, che qualcosa andasse storto, cosa sarebbe successo poi?
Mi chiedevo spesso perché la paura viaggiasse con noi, perché ci facesse eternamente compagnia, e perché nei momenti più difficili ci venisse a bussare alla porta.

A volte la paura porta a scappare, a fare passi falsi, a dire cosa che in realtà non si pensano, tutto ciò perché si ha paura di perdere qualcuno o semplicemente qualcosa.

Non era passato molto dal giorno in cui Allan mi parlò della sua operazione: di quando e dove ci sarebbe stata.

Eravamo tutti molto preoccupati, era sempre stato il "lupo" della situazione: riusciva a trovare una soluzione quando tutti eravamo in preda al panico, per qualche sbaglio commesso, faceva battute su battute quando qualcuno era disperato per l' università o lo stipendo era diminuito quel mese, ma quella volta la vidi nei suoi occhi la paura, paura di perdere una battaglia.
Era pur sempre un ragazzo di diciannove anni, che voleva pur sempre vivere la sua vita in modo sereno, e non dovendo entrare o uscire dagli ospedali, o semplicemente addormentarsi la sera con la paura di non aprire più gli occhi.

Una sera, come tutte le altre sere ci incontrammo tutti al Max's Cafee per due chiacchiere dopo la chiusura del bar, quando ad un tratto fu  proprio lui a parlarci dell' intervento spiegandoci la dinamica.

Inoltre ci avvisó che sarebbe partito per Dublino, poiché aveva deciso di operarsi lí.
Ci chiese di non venire, ma ci rassicurò che ci sarebbero stati i genitori ed altri parenti con lui ogni giorno.

Non eravamo molto convinti di quella sua scelta, come potevamo lasciarlo andare, mentre noi continuavamo le nostre vite?
Non potevamo fare finta di nulla, stare nelle proprie case a fare le faccende quotidiane, quando non sapevamo nemmeno cosa lui stesse facendo.

Annuimmo senza alcun "ma" o "però", non volevamo aprire l' argomento in sua presenza, ma ci guardammo tutti negli occhi per darci l' approvazione che ne avremmo riparlato successivamente con più tranquillità.
Era sempre stato così Allan, non voleva che qualcuno provasse pena per lui, non voleva essere mai aiutato.
Chiedemmo almeno l' ospedale come punto di riferimento e lui ci disse che si sarebbe recato al Rotunda Hospital, dopo averne sentito parlare bene, e poiché fossero presenti ottimi medici specializzati nel suo tipo di problema, abbastanza delicato ed invasivo.

Decisi per smaltire la tensione di andare a prendere dei biscotti e qualche bevanda calda, in modo tale da distrarmi per qualche attimo in attesa di altre decisioni.

Appena finimmo di gustare quelle prelibatezze decidemmo di chiudere le serrande e recarci verso casa per via dell' arrivo del cattivo tempo.
Arrivata alla fermata della metro aspettai qualche minuto e poi finalmente tornai a casa.

Scesa dalla metro inizió a diluviare, ed io strinsi la borsa e con molta attenzione iniziai a correre verso casa.
Le strade erano deserte, e la pioggia diveniva sempre più forte.
Sentivo i miei capelli sgocciolare, e il mio cappotto sempre più pesante, poiché era sempre più pieno di acqua.

Ad un tratto inizió a squillarmi il telefono, maledissi così tanti la pioggia, e cercai riparo per trovare il telefono nella borsa, ma fallii decisamente, e quindi optai per recuperarlo una volta arrivata a casa, dopo essermi asciugata.

Una volta arrivata sotto casa, presi con molta velocità le chiavi, ma prima qualcosa catturó il mio sguardo: nella cassetta della posta c'era una lettera di colore rosso, la presi e aprii la serratura di casa.

Dopo aver asciugato i miei capelli bagnati, e indossati degli abiti comodi decisi di aprire la busta anonima.

Una volta aperta, non riuscivo a capire: c'era scritto il mio indirizzo di casa, dove abitavo con la mia famiglia, ma non capivo assolutamente di chi potesse essere quella calligrafia.
Un parente, uno sconosciuto, un delinquente, poteva essere chiunque, e la cosa mi preoccupó molto.

Sconvolta la riposi in un cassetto della scrivania.
                                       ***
Erano passati circa tre giorni, in quei tre giorni avevamo chiamato i genitori di Allan per spiegargli di voler partire in vista dell' operazione del figlio, ma poiché lui non diede la sua approvazione, decidemmo di partire senza il suo consenso per una sorpresa.
In un primo momento, prima di chiamare i genitori di Allan, ci avevamo pensato a non partire, non volevamo procurargli ansia o agitazioni, ma in un secondo momento capimmo che il nostro posto era lí con lui.

Allan quella mattina sarebbe partito, infatti ci riunimmo tutti all' aereoporto di Manchester per accompagnarlo fino a dove avremmo potuto, visto che dopo avrebbe dovuto passare i controlli e raggiungere il gate prima di imbarcarsi.

Nessuno quella mattina sorrideva o faceva battute: il cielo era grigio, un po' come gli umori di tutti, un po' preoccupati, ma ognuno di noi sperava che sarebbe andato tutto bene.

Lo salutarono tutti con un abbraccio, ed arrivata al mio turno mi strinse così forte quasi come se volesse rompermi le ossa, ma purtroppo è proprio vera quella frase: "Un abbraccio può rompere le ossa, ma può aggiustare il cuore", ed infine mi disse:
<<Stai tranquilla>> ed io scoppiai a piangere.

Durante il saluto annunciarono il suo volo, infatti lui prese il suo borsone e salutandoci mentre sventolava la mano, lo vedemmo allontanarsi.

Dopo quell' incontro ci organizzammo di vederci al Max's Cafee in serata per decidere gli ultimi preparativi prima della partenza.

Ashley si recó verso l' universitá, James andó a scuola, poiché quel giorno sarebbe dovuto entrare alla seconda ora, vista l'assenza della docente di filosofia della prima ora, e gli altri andarono chi all' università e chi a lavoro.

Dopo aver preso la metro arrivai a lavoro, in modo tale da svolgere il mio turno di lavoro giornaliero.
Quel giorno mi toccava fare solo sei ore, e infatti decisi che sarei andata verso le 16:00 a fare la spesa, e poi sarei passata per i negozi per fare un giro, e poi recarmi verso le 19:00 al Max's Cafee per incontrare i ragazzi.

Arrivato l' orario di chiusura vidi arrivare i miei amici che si accomodarono ad un tavolo, ed io feci un accenno per salutarli, ma prima andai un attiml nel magazzino per riporre i miei acquisti e per indossare una felpa un po' più calda.

Terminai di pulire i tavoli che mi resi conto che non fu fatto precedentemente dai ragazzi che lavoravano lí, chiusi la cassa e mi recai verso i ragazzi con la cioccolata calda e un pezzo di Red velvet.

Quella sera al tavolo con noi c'era anche Max, poiché sarebbe partito con noi e avrebbe lasciato in gestione il Cafee ai dipendenti per qualche giorno.
Max si giustificò dicendo che non si fidava a mandarci da soli a Dublino, quando in realtà anche lui voleva molto bene ad Allan e voleva stare vicino a lui, e a noi.
Tutti stavamo vivendo un momento difficile, dovevamo essere uniti, solo così avremmo superato tutto.

La partenza era l' indomani e avevamo prenotato un autobus qualche giorno prima ed il traghetto.

Con l' autobus preso in noleggio da un piccolo negozietto vicino casa si Sophie, saremmo arrivati fino ad Holyhead, e successivamente lì avremmo imbarcato l' autobus, e con il traghetto saremmo arrivati a Dublino, dove avremmo alloggiato in un bed and breakfast.

Decisi gli ultimi dettagli e orari, sistemammo il tavolo, lavammo i vassoi, spegnemmo le luci e ci recammo ognuno verso la propria casa per sistemare le ultime cose in valigia.

𝘾𝙡𝙤𝙨𝙚 𝙮𝙤𝙪𝙧 𝙚𝙮𝙚𝙨.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora