CAPITOLO 17

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C'era un'odore acre nell'aria di ansia mista a paura.
Ero in posizione di attacco, con lo sguardo vigile, e la corda dell'arco tesa pronta a scoccare la mia freccia.

I minuti sembravano passare lentissimi, era come se il vento fosse congelato, era lì fermo immobile, come se da entrambe le parte aspettassimo una mossa falsa dell'avversario.

Ero sul punto di una crisi di nervi, l'attesa era snervante, quando uno scrocchiare di ramoscelli, proveniente dalla mia destra, mi fece riacquistare lucidità e con uno scatto felino mi girai e scoccai la mia freccia.

Un tonfo sordo seguì il mio lancio, come un corpo che cadeva a peso morto, infatti qualche secondo dopo uno spaccato stava rotolando verso di noi.
Atterrò sulla schiena, era morto, era morto per causa mia, con una freccia piantata in mezzo agli occhi, forse ero veramente l'angelo della morte...

Era come se una furia animale si fosse impossessata della mia anima, e uno dopo l'altro riuscii a mettere perfettamente a segno altre sette frecce, facendo scivolare ai nostri piedi altri sette corpi.
I miei compagni non mossero un muscolo, continuando a tenere impugnate le loro armi.

"Non vogliamo mangiarvi" urlò una voce dopo qualche attimo di silenzio.

A quel punto decisi di parlare io come rappresentante del mio gruppo, pur essendo Minho il leader.
Insomma sarà anche il leader dei ragazzi della radura, ma non il mio, io non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno.

"Ah si? E cosa volete? Tenerci come animaletti da compagnia?" Dissi ironica.

"Una cosa del genere" rispose la stessa voce, a quell'affermazione scattò una trappola sotto i nostri piedi e iniziammo una dolorosa ascesa in una sottospecie di scivolo scavato nella terra.

Cademmo uno di seguito all'altro una volta fuori da quel tunnel senza fine.
Quello che ottenemmo fu che le nostre armi furono sbalzate dalla parte opposta alla nostra e il mio arco e frecce spaccati a metà.
Alzammo lo sguardo rendendoci conto di essere di nuovo accerchiati da quel gruppo di pazzi, per di più disarmati.

Non poteva andare meglio insomma.

Mi alzai in piedi, e con le braccia incrociate, cercando di assumere una posizione da dura, parlai "Cosa diavolo volete da noi?",

"Sarete le nostre star, e se non siete divertenti, vi mangiamo" disse lo spaccato di fronte a me.
Sentendo il suo fetido alito, mi irrigidii e feci qualche passo indietro.

"Ora metteteli tutti nella cella, tranne lei, lei da sola" disse indicando me.

Era una cosa comune a molta gente, a quanto pare, farmi sentire diversa.

Cercai di divincolarmi ma in quel momento eravamo disarmati, e loro erano troppi per affrontarli tutti da sola, dovevo aspettare il momento giusto, pur sapendo che di tempo ne avremmo avuto ben poco.

Dopo urla, pugni e calci, gli spaccati riuscirono nel loro intento: separarci.
E dopo aver tentato di scappare per l'ennesima volta, mi beccai una bella botta in testa, che mi fece perdere i sensi.

Riaprii lentamente gli occhi, con un dolore lancianante alla testa, ma dopo poco tempo riuscii a mettere a fuoco una figura davanti a me.

Notai che avevo delle manette di ferro ai polsi e alle caviglie, che mi immobilizzavano braccia e gambe, tutto ciò fissato sul soffitto e sul pavimento da delle lunghe catene.

Sarebbe stato più difficile del previsto.

Era un'uomo, aveva all'incirca una quarantina d'anni, capelli neri e unti e la faccia ricoperta di trucco nero, o fango, ma in quel momento faceva poca differenza.
Mi concentrai sull'oggetto che aveva tra le mani, sembrava una specie di bisturi, anzi era con certezza un bisturi.

"Allora bambolina, sei sveglia?"
Dalla sua voce riconobbi che era la stessa che mi aveva detto che non ci avrebbero divorato, alla faccia della sincerità.

Io non risposi e, da brava ragazza educata che sono, gli sputai in faccia.
In risposta al mio gesto, l'uomo mi strappò la maglietta e mi procurò un taglio superficiale, ma doloroso, che partiva da sotto al seno ed arrivava fino al fianco.
Cercai di soffocare le urla per non dargli la soddisfazione di sentirmi soffrire per mano sua, e continuai a non rispondergli.

L'uomo si avvicinò ancora di più alla mia faccia e con un ghigno continuò il suo monologo "Non ti hanno insegnato che non rispondere alle domande è da maleducati?" Per poi lasciarmi un'altro segno sulla guancia destra.

Una lacrima scese dal mio occhio destro, ma continuai a sopprimere le urla dentro di me.

Nella mano sinistra stringeva una specie di indumento di pelle lucida, che io guardai non capendo a cosa gli fosse servito.

"Ti ho portato dei vestiti carini, così non sei proprio una bambolina sexy" disse notando che stavo fissando l'oggetto nelle sue mani.

Piano piano stravo riacquistando lucidità e sentivo una rabbia crescere dentro di me.

L'uomo si slacciò la cintura che reggeva i suoi pantaloni e poi si girò verso un gruppo di tre persone alle sue spalle.
"Lasciatemi solo con la bambolina, vuole un po' di intimità" e come una saetta i tre uomini dietro di lui lasciarono la stanza.

"Dove si trova il braccio destro bambolina?" Continuò sfilandosi la cinta dai passanti dei pantaloni.
Quel pazzo voleva molestarmi?

"Non chiamarmi Bambolina, porco schifoso!" Urlai infuriata, cercando di prendere tempo e pensare ad una possibile fuga.

"Ah ma allora ce l'hai la lingua, Bambolina" continuò a stuzzicarmi lo spaccato.

"Ho anche dei bei denti, e se non vuoi che ti strappi gli occhi a morzi, liberaci"

"Oh, no, non posso ora sei la mia bambolina te" disse per poi accarezzarmi una guancia, e infliggermi un'altro taglio sulla pancia.

"Vabbene, ti piacciono le maniere forti, ti serve solo essere motivata" e iniziò a slacciarsi la zip dei pantaloni.

A quel punto, qualcosa prese il controllo e con tutta la rabbia che avevo in corpo tirai.
Insomma piegavo il metallo, forse potevo anche spezzare delle catene, no?

Come se fossero fatte di carta, le catene si staccarono dal soffitto con una facilità straordinaria.

E quando l'uomo fece per scappare, lo presi per il collo e lo sollevai.

"Io non sono la bambolina di nessuno" gli dissi prima di sferrargli un pugno in faccia che lo fece svenire.

Velocemente con i resti della mia maglietta mi feci una fasciatura del busto e mi infilai quell'orrenda tuta di pelle, insomma non potevo andare in giro mezza nuda.

"Ora vi vengo a salvare ragazzi" dissi prima di sferrare un calcio alla porta di ferro blindata e scaraventandola contro il muro.

Ovunque tu sia vivi dentro di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora