Blue as the sky

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Dedicato alla mia amica Chiara, senza la quale forse oggi questa storia non esisterebbe
-Capitolo 1-
16 anni. L'età più bella per alcuni, per altri la più tormentata, un'esperienza da non rifare, insomma. Io dal canto mio non potevo lamentarmi. La vita mi aveva dato una sorta di fortuna. Si, chiamiamola così. Vivevo da sola con mia nonna Cecilia, che mi aveva insegnato le tecniche su come disegnare e dipingere, visto che da giovane aveva frequentato un'accademia molto prestigiosa d'arte. Non potevo non amare scarabocchiare e sporcarmi di colori, una cosa che facevo con gioia  fin da piccola; grazie a lei la mia vena artistica aveva preso il via, e non potevo non ringraziarla per le sue lezioni d'arte gratuite, ottimi voti in disegno a scuola compresi. Era così che passavo i miei pomeriggi: tra studio e pennelli ( sono sempre stata una grande studiosa, una quasi secchiona incompresa direi ) le giornate invernali scorrevano lente e monotone. Poi tra queste cose, improvvisamente, sbucava una ragazza allegra e ottimista, bella, abbastanza popolare e simpatica al punto giusto, la mia amica America Edwards, l'unica persona che mi aveva sempre voluto bene e mi era sempre stata accanto. Vivevo con mia nonna da sempre, i miei erano due manager di un'importante ditta che produceva prodotti italiani, esportandoli in tutto il mondo, e America era sempre stata per me la sorella che non avevo mai avuto. È difficile vivere senza genitori alla mia età, anche se hai la nonna più spassosa del mondo, e la mia amica era sempre stata una spalla su cui appoggiarmi. Vivevamo entrambe a Roma, io in una villetta al centro ( la casa di mia nonna appunto ) e lei un po' più in periferia, eravamo entrambe inglesi e condividevamo un sacco di cose. Il mio nome è Zoe Turner, e questa è la mia storia.
Capitolo 2
Diciamo che fra tutte le stagioni, l'estate è la mia preferita. Ogni mese lo trascorrevo sempre nei soliti modi. Giugno lo passavo con quella pazza di America; uscivamo la mattina alle 9 e tornavamo alle 7 a casa. Stavamo tutto il giorno in giro per Roma; mangiavamo sushi, guardavamo film, facevamo shopping e alle volte Am ( il soprannome con cui chiamo la mia amica ) mi faceva conoscere qualche bel ragazzo, con il quale però non andavo oltre l'amicizia, causa della mia timidezza. America era fidanzata già da un bel po' di mesi con un ragazzo che faceva il quinto, e voleva a tutti i costi trovarmi una fiamma. Ma io, per ora, stavo bene così e i suoi appuntamenti al buio organizzati al momento finivano sempre male. Luglio era dedicato al college. Andavo sempre due settimane a Londra per studiare l'inglese, o meglio, migliorarlo, visto che già un po' ne sapevo ( mamma inglese e papà italiano, lo stesso valeva per America ); ma, quest'anno, stranamente mia madre mi impose di starci un mese. Non che la cosa mi dispiacesse, anzi, mi faceva più che piacere. "Perché un mese quest'anno mamma?" Le chiesi un giorno mentre l'aiutavo a preparare le valige. "È meglio che ti abitui a parlare molto l'inglese Zoe..." Fu molto vaga, a dire il vero. Questa cosa mi preoccupó, così la dissi ad Am. " Don't you worry dear! " mi rispose, con il suo solito accento british. "Non è nulla." Convinta che non fosse nulla, andai al college felice. Tornata mi aspettavo la vacanza di famiglia. Di solito agosto era dedicato a questo. Ma quest'anno non ci fu nessuna vacanza. "Strano" pensai. Poi mi ricordai che pensare troppo fa male, così mi decisi di passare il mese di agosto come se fosse giugno: America, Roma, sushi e shopping.
Capitolo 3
"Pronto sono Zoe"
"Ciao Zoe, sono Am, ti va di uscire?"
"E me lo chiedi anche? Certo"
"Alle 4 al solito posto"
"Si un bacio, a dopo"
"Ciao bella"
Quella mattina America era dovuta uscire con quella che per me era una sega, ovvero il suo ragazzo. Ma il pomeriggio era libera, quindi mi aveva chiesto di vederci, e io, ovviamente, non avevo detto di no. Mi preparo alla svelta. Metto una maglietta rossa con la scritta bianca Vans, un paglio di pantaloncini di jeans a vita alta e le converse nere alte. Sciolgo i capelli, afferro lo zainetto.
"IO ESCO MAMMAAAAAAAAAA"
Urlo a mia madre. Non so dove sia.
"No Zoe siediti. Io e tuo padre dobbiamo parlarti"
"Mamma, mi metti paura, anzi mi mettete paura, io vado, a questa sera"
Sto afferrando la maniglia della porta quando mio padre mi afferra delicatamente per un polso.
"Cara, per favore, siediti". È sempre stato più sensibile di mamma con me, e i suoi modi dolci ne sono tutt'ora la conferma. Non voglio fare l'adolescente ribelle, sembra che mi debbano dire qualcosa di realmente importante, così decido di sedermi. Ora siamo faccia a faccia sul tavolo della cucina, con i miei davanti a me. Cominciano con un lungo discorso sul loro lavoro, spiegandomi cose del tipo "molto spesso questo lavoro richiede dei cambiamenti " e " già sappiamo che ne sarai contrariata" finendo con " noi vogliamo solo la tua felicità, Zoe." Tutto ciò ai miei occhi non ha senso, non capisco il perché di un discorso del genere. Sto per alzarmi, sono in ritardo per l'appuntamento con Am, non l'ho nemmeno avvisata, ma mi sembrava troppo scortese mandarle un messaggio mentre i miei mi parlavano d'altro. Vedo i loro visi, sono preoccupati e cupi. Decisa di mettere fine a questa storia mi dirigo verso la porta per uscire. I miei mi bloccano con un'unica frase, schietta e diretta. Uno schiaffo in faccia per me. O meglio un doloroso pugno sullo stomaco. " CI STIAMO PER TRASFERIRE IN IRLANDA " mi dicono con tono deciso all'unisono. Okay, se questa cosa è realtà, il mio castello di carte sta letteralmente crollando.
Capitolo 4
La prima cosa che penso dopo avere sentito ciò che spero sia solo un'incubo è nulla. Mi si annebbia il cervello. Non riesco più a parlare ed esprimermi. È come se il mio corpo sia comandato da qualcun'altro. Un qualcuno che non conosco, e le cui scelte non dipendono da me. So che ciò che uscirà dalla mia bocca o che farò sarà comandato da lui. Adesso comincio a capire chi è colui che sta alloggiando nel mio corpo e mi fa sentire così pesante da farmi pensare di essere solo in un brutto sogno. È la rabbia, la paura di dover lasciare tutto e ricominciare da capo. Nella mia testa ci sono solo immagini sfocate di America, mia nonna Cecilia e i pomeriggi che passavo insieme a loro. So già che saranno solo un ricordo. Sento che gli occhi mi stanno prudendo. Segno di un'imminente pianto. Ora sento che le lacrime stanno scendendo. Non posso comandarle di non venire. "Ditemi che è uno scherzo" dico piano, a bassa voce, mentre le lacrime mi bagnano il volto. Sento le guance andarmi in fiamme. Ora posso percepire che sto singhiozzando. Letteralmente. " Zoe, non è stata una nostra scelta. È la ditta che ci ha trasferito noi non possiamo farci nulla... " mi dice mia madre. "ANDASSE A FARSI FOTTERE QUELLA DITTA". Le urlo contro. "Ora Zoe stai esagerando" adesso è mio padre che ha preso la parola nel discorso. Sembra infastidito dal fatto che abbia usato un linguaggio del genere."ESAGERANDO?!? No aspettate, mi state portando via in un posto sconosciuto, senza amiche. E America? La nonna? Che le diró? Come faccio? Io... Io mi trovo bene qui... Non voglio andarmene... Vi prego... " il troppo piangere e sforzarmi a urlare contro i miei mi sta facendo venire sonno. Sono esausta. Voglio solo dormire per tutta la vita. Piangendo vado in camera. Sbatto la porta più forte che posso. "Non può succedere proprio a me." Penso. Mi butto sul letto. Sento mia madre parlare con mio madre. Dalla spessa porta di legno percepisco cose del tipo: " non c'è altra soluzione, mi dispiace vederla così distrutta. Lasciamola ragionare e stare sola per un po." Cerco di prendere sonno. Chiudo semplicemente gli occhi, e provo a svuotare la mente. Fanculo, penso. Per poi addormentarmi profondamente.
Capitolo 5
Non so per quanto ho dormito. Quando guardo il cellulare vedo che sono le 18:00. So che ho saltato l'appuntamento con Am. Mi dispiace, ma in quelle condizioni proprio non ce la facevo ad uscire. Dovrò anche dirle di questa storia, prima o poi. Sono spaventata della sua futura reazione.
So che le spezzerà il cuore questa notizia, più di quanto lo abbia spezzato a me. Decido di farmi una doccia calda. Fortunatamente ho il bagno in camera, non ho voglia di vedere i miei genitori, tanto meno di uscire da questo che ormai è diventato il mio rifugio. So da un lato che la colpa non è del tutto la loro, ma non posso fare a meno di non odiarli in questo momento. Mi spoglio ed entro nella doccia. Il caldo dell'acqua mi rilassa. Provo a pensare a qualcosa di bello, perché so di essere tesa. Ma il mio tentativo fallisce miseramente. Quando esco mi asciugo e, con i capelli ancora bagnati, mi vesto. Mi metto dei pantaloncini della tuta corti grigi e sopra una canotta con dei fiori. Non ho proprio le forze e la voglia di asciugarmi i capelli, quindi li tampono giusto un po' con l'asciugamano e li lego su una treccia. Sono le 19:00. Decido di chiamare America. Voglio che questa sera stia un po' con me.
"Pronto Am, sono Zoe"
"DOVE TI SEI CACCIATA OGGI? Ti ho aspettato per ore..."
"Em... Si scusa..."
"Tutto bene Zoe? La tua voce è strana.."
"Bene?!? Alla grande!" Rido nervosamente. "Questa sera hai da fare?"
"No niente. "
"Vieni da me? Ceniamo insieme e poi guardiamo qualche film"
"Certo! Alle 20:00 da te? "
"Si perfetto. Ciao a dopo"
Richiudo senza nemmeno lasciarla salutarmi.
Capitolo 6
Sono le 19:20. Decido che mi devo sistemare un po', se viene Am. Non voglio che pensi male. E sopratutto quando questa sera le dirò del trasferimento, desidero che mi veda il più forte possibile. In questo modo, se mi vede felice, forse lo sarà un po' più anche lei. Forse. Decido di mettermi un maglioncino leggero rosso un po' lungo con dei leggins neri e le converse bianche alte. Siamo quasi a fine agosto e la temperatura estiva non è più quella di giugno o luglio. Mi asciugo i capelli un po' e mi guardo allo specchio. Non sembro così disperata. Mi siedo sul letto con il cellulare in mano quando bussa mia madre. "Zoe è permesso?"
"No vattene"
"Zoe è dalle 16:00 che sei in camera,dovrai uscire un po'! "
"No sto bene così, fra poco viene America"
"Okay va bene"mi risponde dolcemente mia madre. La sento realmente preoccupata per me. Non voglio farla soffrire, quindi decido di uscire dalla camera. Mi siedo sul divano in salotto. Mi chiedo come sarà la vita in Irlanda. E pensando a questo mi accorgo che non so nulla riguardo al viaggio, a quando partiremo, dove vivremo e cose del genere. Chiamo mia madre che è in cucina, lei mi dirà tutto. Quando arriva si siede sul divano anche lei. Mi dice ogni cosa. Partiamo fra una settimana, vivremo a Dublino, in una casa molto più grande di questa. Andrò alla Dublin-Accademy-High School, una scuola molto prestigiosa al centro della città. Dovrò portare la divisa scolastica come al college in Inghilterra. Ora si spiegano cose come il viaggio studio un mese, e il non fare la vacanza ad agosto. Fra poco partiamo. "Zoe, noi vogliamo... " non le lascio terminare la frase che la continuo io: " solo il tuo bene cara". Dico sbuffando. Mi accarezza i capelli. È in pena per me, lo vedo dal suo sguardo. Mi sforzo di sorridere. Lei si alza per riandare in cucina, lasciandomi una lieve pacca sulla coscia. Sto per piangere di nuovo, me lo sento. Quando qualcuno suona al campanello. America.

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