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Eveleen non aveva idea di quanti giorni fossero passati dalla lite con Jimin, sempre se così poteva essere definita; sapeva solo che quelli successivi erano stati i giorni più stressanti di tutto l'anno. I suoi genitori continuavano a dirle che il volontariato alla struttura la distoglieva dai suoi studi. Non riuscivano a capire che, invece, l'unica cosa che faceva era permetterle di non pensare a quanto si trovasse male con i suoi compagni, a quanto per i professori il suo impegno non bastasse mai e al fatto che non sapeva cosa fare della sua vita una volta finito l'ultimo anno di college.
Da quando quella mattina era entrata nella struttura, non aveva fatto altro che mettere su un finto sorriso ogni qualvolta incontrasse un paziente o un dipendente lungo i corridoi. Le sembrava che tutti parlassero su una determinata lunghezza d'onda, mentre lei viveva la sua intera vita su tutt'altra. Si sedette sul davanzale della finestra, portando le gambe al petto e circondandole con le braccia. Si rese conto che in quei giorni non aveva nemmeno guardato cosa facesse a mensa Jimin, né aveva chiesto a qualcuno come stesse e questo la faceva sentire in colpa per un motivo che ancora non aveva identificato. Eveleen aveva ripreso a sedersi al solito posto e durante tutto il tempo che trascorreva in mensa stava con la testa tra le mani, gli occhi chiusi e il cervello in panne. Il suo, ormai, non poteva nemmeno più definirsi volontariato.
«Sei triste.»
Il flusso dei suoi pensieri rallentò sempre di più fino a fermarsi, ma Eveleen non sollevò la testa. Le era parso di sentire qualcosa, però non ne era sicura: non era una voce che conosceva e poi era stato più un sussurro. Eppure, continuava a sentirsi osservata. Allora decise di controllare, giusto per sicurezza. Sollevò il viso e si guardò intorno; per riflesso, tirò indietro la testa e sbatté la nuca contro il muro. Poggiò una mano sulla parte dolorante e scese dal davanzale. «Jimin?» Chiese, ma se ne pentì subito, dandosi della stupida: chi altri avrebbe dovuto essere?
Un lampo di divertimento attraversò gli occhi del ragazzo, sia per la scena precedente che per la domanda di Eve.
«La tua voce...» si lasciò sfuggire in un sussurro, a causa della sorpresa.
L'espressione di Jimin passò da divertita a triste in una frazione di secondo e nei suoi occhi Eveleen lesse una sorta di pentimento.
«No, non in quel senso, la tua voce è- è molto bella» si affrettò ad aggiungere, muovendo qualche passo verso lui. Forse, lo fece un po' troppo velocemente dato che il Jimin si ritrasse spaventato.
Eveleen allora si bloccò, alzando le mani in segno di scuse.
Rimasero per qualche minuto in silenzio, entrambi senza sapere come continuare la conversazione.
Sorprendentemente, fu proprio Jimin a rompere lo stato di quiete che si era venuto a creare. «Sei triste» ripeté, con un tono di voce poco più alto.
Nonostante fosse roca a causa poiché non la usava spesso, la sua voce era pura e dolce, talmente carezzevole da essere capace di donare calore come se si fosse stretti in un abbraccio.
E, per l'ennesima volta, Eve lo collegò al cielo.

°°°°°°

I due ragazzi avevano passeggiato insieme nel vasto giardino retrostante la struttura e avevano poi deciso di sedersi su una panchina di legno dai braccioli in ferro battuto.
Erano agli inizi di marzo e la temperatura cominciava a salire, anche se il freddo dell'inverno era ancora percepibile alcuni giorni.
Eveleen sapeva che non avrebbe dovuto farlo, era una cosa che andava contro il regolamento: la sua vita privata doveva rimanere tale. Nonostante questo però, parlò a Jimin delle sue preoccupazioni e della sua stanchezza perché, per qualche assurdo e fastidioso motivo, quando era con lui non riusciva a ragionare razionalmente. Era come se il suo cervello si scollegasse all'improvviso e i freni inibitori che si poneva smettessero di funzionare. Inoltre, aveva notato che Jimin aveva un effetto ansiolitico su di lei: se era nervosa, la sua presenza era in grado di tranquillizzarla, proprio come in quel momento.
Dopo averle parlato per la prima volta, Jimin era tornato a chiudersi nel suo silenzio, dando inizio alla solita comunicazione che avveniva solo tramite sguardi.
Parlarono dei fiori, del colore delle nuvole e dei pesci che nuotavano negli oceani.
Dallo sguardo stupefatto di Jimin quando su Google gli fece vedere alcune immagini e parecchi video, lei capì che non avesse mai visto un pesce da vicino, eccetto che in mensa nel suo piatto. Sembrava che non avesse mai fatto il bagno al mare o camminato sulla sabbia della spiaggia.
Giunte le sei del pomeriggio, Jimin ed Eve si diressero verso l'interno della struttura, sia perché lei doveva tornare a casa, sia perché stava iniziando a fare davvero freddo. In pochi minuti arrivarono nell'atrio, dov'era posizionata la scrivania di Anne, come facevano ogni qualvolta la ragazza finiva il suo turno di volontariato. Si salutavano lì e, mentre Eve tornava a casa, Jimin si dirigeva nella sua stanza.
Quella volta però, quando Eveleen fece per salutarlo, lui scosse con veemenza il capo. Si ritrovò a seguirlo lungo il corridoio, senza capire con esattezza quali fossero le intenzioni di Jimin. Non molto tempo dopo, si fermarono davanti a una delle varie porte che segnavano l'ingresso alle stanze dei pazienti.
Jimin poggiò la mano sulla maniglia e rivelò lo spazio al suo interno: una stanza dalle pareti azzurro chiaro e una finestra che lasciava entrare i pallidi raggi del Sole.
Dopo che anche Eveleen fu entrata nella stanza, Jimin chiuse la porta alle loro spalle.
Nonostante il principio asettico su cui si fondava l'ospedale, la camera non dava un senso di estraneità. Anche se sulla piccola scrivania mancava una lampada, non c'era un comodino vicino al letto, dei CD o dei libri, e nonostante i vetri delle finestre fossero fatti di plastica dura e ogni cosa che poteva mettere in pericolo la sicurezza del paziente era stata portata via, a Eve sembrò di essere nella camera di un qualsiasi altro ragazzo. «Mi piace la tua stanza, è bella» gli disse, girandosi per un attimo verso di lui, per poi continuare a perlustrare con lo sguardo tutto quello che aveva intorno.
Jimin andò a sedersi sul bordo del letto, tenendo gli occhi curiosi fissi su Eveleen.
Stette attenta a non toccare nulla, né a fare qualcosa che potesse irritarlo. Sebbene Jimin non le sembrava il tipo di paziente che potesse perdere la calma da un momento all'altro, al corso di preparazione le avevano insegnato che anche la persona più tranquilla poteva scoppiare in un secondo. Decise di sedersi sul pavimento di fronte a lui, ignorando lo sguardo confuso che le aveva lanciato. «É qui che passi la maggior parte del tempo?»
Jimin annuì, chiudendo un attimo gli occhi. Li riaprì alla seconda domanda di Eve.
«Cosa ti piace fare?» Sapeva che Jimin non le avrebbe risposto, ma voleva provarci lo stesso. Aveva voglia di ascoltare di nuovo la sua voce. Se avesse dovuto descriverla, non avrebbe nemmeno saputo quali aggettivi usare; forse perché ancora non erano stati inventati quelli in grado di definire la delicatezza e la dolcezza del suo timbro vocale. Riusciva solo a pensare ad alcune cose che le somigliavano, come la panna, il Sole e il profumo della cioccolata. Quando tornò alla realtà, trovò Jimin che la fissava.
Lei sorrise divertita: era incredibile come non si sentisse a disagio immerso nel silenzio più totale e come guardasse spudoratamente chiunque volesse.
Notò che nella stanza non c'erano libri; nella camera di Gwen, invece, ne aveva visti parecchi. «Non ti piace leggere?»
La struttura metteva a disposizione dei pazienti una biblioteca di medie dimensioni, dalla quale era possibile prendere in prestito dei libri e che dovevano essere riportati entro il tempo prestabilito. Questo era anche un modo per rendere più responsabili i pazienti e, magari, portare a miglioramenti nel loro comportamento.
Jimin scrollò le spalle, sporgendo il labbro inferiore, indeciso, ed Eveleen non poté fare a meno di sorridere intenerita.
«Ti piace disegnare?» Riprovò, ricordando che nel laboratorio artistico era possibile usare le matite colorate e gli acrilici, sempre sotto la supervisione degli addetti.
Le labbra di Jimin si aprirono in un sorriso raggiante, mentre con la testa annuiva.
Anche lei sorrise di rimando. «Davvero? Anche a me piace tanto». Tentò, ma invano, di non far apparire sulle sue labbra un sorriso triste quando notò come i pensieri avessero preso ad affollarle la mente. Scosse la testa, abbassando per un secondo lo sguardo, e un sorriso luminoso rimpiazzò il precedente. Non doveva pensarci, non poteva pensarci. L'attenzione di Eveleen venne catturata dalla finestra che mostrava un cielo grigio, senza neanche più un raggio di luce. Si alzò velocemente, aggiustando la felpa stropicciata. «Si è fatto tardi, devo tornare a casa.»
Lo sguardo di Jimin venne pervaso dalla tristezza e lui sbuffò.
«Domani non potrò venire, ho tante cose da studiare» gli spiegò, infilando le mani nelle tasche della felpa. «Ma venerdì sarò qui tutto il pomeriggio». Aspettò qualche secondo nella speranza che Jimin dicesse qualcosa e, quando le fu evidente che non sarebbe successo, emise un piccolo sospiro di rassegnazione, augurandogli poi la buonanotte. Si voltò e si diresse verso la porta nel momento stesso in cui Jimin stava alzando lo sguardo, protendendosi verso di lei e allungando la mano per toccare la sua. Ma la paura e l'indecisione lo bloccarono, così Eve lasciò la stanza senza accorgersi di nulla.
Rimasto solo, Jimin osservò la propria mano girandola e rigirandola sotto gli occhi attenti. Aveva avuto l'impressione che si fosse mossa da sola: lui non aveva pensato di afferrare la mano di Eve, di fermarla dall'andare via, era stata più una reazione involontaria. Si stese sul letto, girandosi su un fianco. Tanti anni e quei dannati così gli davano ancora fastidio alcune notti. Aveva passato metà pomeriggio e la serata con Eveleen e, ora che era andata via, sentiva freddo. Jimin corrugò le sopracciglia, riflettendo su un possibile collegamento tra le due cose. Non lo trovò. Provava una sensazione strana proprio al centro del petto, che lo costrinse a rannicchiarsi su sé stesso, nel tentativo di proteggersi da un nemico. Il fatto però, era che Jimin non aveva pensato alla possibilità che l'avversario dal quale cercava di difendersi non fosse intorno a lui, ma dentro di lui.
Si tirò a sedere con uno scatto rapido e spostò il cuscino dal lato opposto del letto. Tirò fuori i lembi della coperta da sotto il materasso e si stese, coprendosi con la trapunta. Guardò il cielo blu della notte e si soffermò su tutti i puntini luminosi che rischiaravano il buio. Come ogni sera, Jimin cercò la sua costellazione senza trovarla. Chiuse gli occhi, immaginando uno scenario differente rispetto a quello che vedeva sempre e si sentì un po' meglio. Forse aveva preso freddo quel pomeriggio in giardino.
O, magari, era semplicemente l'effetto della solitudine.

-Angolo autrice🥀
Eccomi di nuovo, come state? Domanda stupida dopo il rilascio dei concept photos, vero? Vi capisco. Per non parlare poi degli occhi lucidi di Taehyung e delle lacrime sulle guance di Yoongi e Jin. Secondo voi cosa potrebbero significare?
Avete già pre-ordinato l'album?

Per quanto riguarda il capitolo beh, finalmente abbiamo sentito la voce di Jimin; era ora no? Cosa credete che succederà d'ora in poi?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, passate una buona serata, un bacio xx

||Out of the Sky|| P.Jm.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora