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Con poche altre falcate, Taemin raggiunse la moto che aveva lasciato nel parcheggio della struttura.
L'accese e il rombo del motore gli fece tremare la gabbia toracica.
Poi indossò il casco e calò la visiera sugli occhi.

Avrebbe dovuto proseguire dritto, prendendo l'autostrada che l'avrebbe condotto fuori città e fino all'aeroporto, ma decise che fare una piccola sosta non gli avrebbe creato problemi.
Così effettuò un'inversione, prendendo a guidare verso la sua meta.
Per raggiungerla non impiegò nemmeno cinque minuti e, accostando al marciapiede, spense il motore.
Sorrise, sollevando la visiera che gli intralciava la visuale e diresse lo sguardo fino al balcone della camera di Eveleen.
Lei era seduta alla scrivania, mentre ripassava per l'ultima volta le lezione del giorno seguente.
Taemin rimase a fissarla per un po', consapevole che sicuramente non l'avrebbe notato, tanto era concentrata in quello che stava facendo.

Sapeva di aver sbagliato tutto con lei e nessuno poteva comprendere la rabbia e il disprezzo che provava nei confronti di se stesso, per essere scappato come un codardo, per aver lasciato la sua amata sorellina da sola a sopportare il bruciore degli sguardi accusatori, il dolore dei pettegolezzi e la stretta asfissiante dei loro genitori.
Taemin sapeva anche che tutte quelle cose prima o poi si sarebbero ripresentate a chiederle il conto, ma si ripromise che in quel caso sarebbe stato accanto a lei.
Sorrise un'ultima volta: era tardi e doveva andare.
Gli occhi iniziavano a pizzicargli e la voglia di correre in casa e abbracciarla stava diventando sempre più irrefrenabile.
Mise nuovamente in moto e, senza voltarsi, partì prendendo la strada che l'avrebbe portato lontano dal suo passato.
Di nuovo.
Come tanti déjà vu, gli tornarono in mente l'istante in cui aveva abbandonato la casa in cui era cresciuto, la delusione nello sguardo di suo padre e il dolore in quello di sua madre.

Taemin si concentrò sulla natura che scorreva veloce ai lati della strada, ignorando invece le sue lacrime, che lasciavano gli occhi per andare a irrorargli le guance.
Prima o poi sarebbe tornato a prendere Eve e l'avrebbe portata lontano con lui.
Avrebbe conosciuto gli altri e Key le avrebbe rifatto il guardaroba, Onew si sarebbe assicurato che mangiasse bene, Minho l'avrebbe portata fuori a divertirsi e Jonghyun le avrebbe insegnato a cantare.
Taemin era sicuro che un lieto fine sarebbe arrivato anche per loro.
Dopotutto, lui un posto da chiamare casa l'aveva trovato e non poteva essere altrimenti anche per sua sorella.
Lo meritavano entrambi.

Fu in quell'esatto momento che qualcosa attirò la sua attenzione, portandolo a frenare bruscamente, insultato dagli automobilisti che procedevano dietro di lui.
Messa la freccia a destra, svoltò e fermò quasi subito la moto.
Il clima di Londra non gli era mancato per niente, preferiva di gran lunga quello di Seoul, così come le strade, le case e i negozi.
Gli mancava casa sua e non vedeva l'ora di tornare.
L'erba ravvivava quel luogo e cresceva bagnata dalle lacrime salate di quanti lì avevano un pezzo di cuore.
I petali dei fiori davano vita a un vasto arcobaleno e i colori, per quanto fossero diversi tra loro, non creavano un'accozzaglia fastidiosa.
Non si rese conto di aver raggiunto la sua meta, fino a quando i suoi polmoni non smisero di svolgere il loro lavoro quotidiano.
Era qualcosa che era sempre accaduto, una specie di reazione automatica che lui non controllava, ma gli andava bene.
Il non respirare gli permetteva di sentirlo più vicino, come se un qualcosa li legasse: oltre all'affetto, anche la mancanza d'aria.

<<Ehi amico, è da un po' che non ci vediamo>> iniziò Taemin, abbassandosi e puntando le ginocchia sul terreno.
Abel lo guardava coi suoi occhi azzurri come il cielo, incorniciati dai capelli scuri che parevano brillare anche in foto.
Il sorriso era dolce e gentile, quel solito sorriso che riservava alle persone che amava e ai bambini.
<<Guada che bei fiori, li ha portati tua madre, vero?>> gli chiese, carezzando delicatamente le corolle gialle.
Il cinguettio degli uccellini riempiva l'aria estiva, facendo compagnia a coloro che pregavano sulle tombe degli amati.
Taemin sospirò, passando accuratamente il palmo della mano sul marmo, sperando di riuscire a pulirlo dalla polvere che si accumulava troppo velocemente.
<<Sai, credo di non essere riuscito ancora a perdonarmi del tutto. La notte sogno te e quel maledetto camion, mille pensieri iniziano ad affollarmi la mente. Se solo quell'uomo non si fosse messo alla guida ubriaco, se solo io non mi fossi voltato per aiutare Isaia o se magari non fossimo usciti quella sera, allora tu saresti ancora vivo. Quante vite abbiamo rovinato, Abel? La tua, la mia, quella dei tuoi genitori, quelle di Isaia e di Sam>>.
Taemin fece una piccola pausa, sentendo la gola bruciare per la mancanza d'aria.
Poi iniziò a piangere, incrociando le braccia sul terreno per poggiarvi la fronte, perso in un profondo inchino, mentre il profumo della lavanda lo avvolgeva completamente.
Regnava una tale pace in quel cimitero, che le lacrime e la tristezza parevano proprio stonare con l'intero contesto.
Nonostante ciò, Taemin non riusciva a fermarsi, non riusciva a rassegnarsi alla morte di quel ragazzo che aveva occupato un posto tanto speciale nel suo cuore.
Il primo a fargli conoscere il significato di amicizia, il primo a tenere a lui per ciò che era davvero, a stargli accanto fin da piccoli, ad aiutarlo ad alzarsi dopo essere caduto, il primo a pulirgli le ginocchia sbucciate con l'acqua della fontanella.
Abel e Taemin erano amici da quando potevano ricordarlo e, quando il primo era andato via, irrimediabilmente aveva portato con sé una parte non trascurabile del cuore dell'altro.

||Out of the Sky|| P.Jm.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora