Capitolo II

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QUATTRO ANNI DOPO

Ad Agosto, prima della mietitura e dopo la messa in onore di San Giovanni Battista, accadde l'impensabile, la cosa che avevano temuto e dalla quale avevano cercato proteggersi in tutti i modi dal giorno in cui Harry era nato.

Il tifo.

Il padre di Harry era andato al villaggio da solo per onorare il culto insieme ai popolani a cui erano stati dati in concessione i suoi possedimenti, mentre Harry accompagnava sua madre alla messa nella cappella privata della tenuta del Somerset.

Quando il Duca tornò quella sera, la sua fronte era febbricitante e il sangue gli colava dal naso come inchiostro.

La Duchessa si voltò verso il figlio: "Va'."

Harry raggelò. Non poteva lasciare suo padre. Due uomini della servitù lo trascinarono via verso l'ala est mentre urlava e scalciava.

Per settimane fu rinchiuso come un prigioniero nella sua stessa camera. Non importava quanto protestasse, non lo lasciarono uscire.

Capì dopo poco che la vita da prigioniero non era tanto dissimile da quella che faceva prima. Aveva i libri al posto delle conversazioni e la sua collezione di monete al posto degli amici. Componeva musica per tenersi compagnia ma senza il pianoforte questo accentuava la sua solitudine invece di attenuarla. Scrutava il paesaggio fuori dalla finestra. La stessa vista che aveva osservato per diciassette anni.

Durante il giorno premeva l'orecchio sul pavimento e ascoltava i passi frettolosi dei medici
e delle infermiere. Ascoltava per avere qualche indizio. Erano passi ansiosi? Passi calmi?
I passi di qualcuno che assisteva un paziente forte? Un paziente morente?

Successe di notte.

Non sentì nemmeno il minimo calpestio, solo il grido disperato di sua madre. Lo lacerò
come se fosse stato colpito da un fulmine. Voleva disperatamente andare da lei ma la porta era chiusa dall'esterno.

"Lasciatemi uscire!" urlò.

Non aprirono la porta fino alla sera successiva, dopo che la salma era stata preparata. Il suo valletto, Charles, entrò portando gli abiti funebri di Harry piegati in una precisa pila quadrata sull'avambraccio. Harry non aveva dormito. Lasciò che Charles gli sfilasse la camicia da notte e lo rivestisse con gentilezza.

"Se n'è andato serenamente, vostra grazia."

Solo una magra consolazione per un figlio senza un padre.

Charles lo aiutò ad infilarsi i pantaloni e gli abbottonò la camicia sopra il torace pallido,
le dita agili lavoravano velocemente. Gli annodò una cravatta nera intorno al colletto
e gli infilò il panciotto, la giacca e i guanti. Infine gli porse un'ultima cosa da mettere.

"Vostra madre vuole che la indossiate." Era una mascherina chirurgica di satin nero. Harry
le aveva viste solo illustrate sulle riviste mediche francesi che trattavano di teoria dei germi.

Protestò ma la sua rabbia si dissipò velocemente in singhiozzi silenziosi, come quelli di una bambino assonnato consumato dall'agitazione. Si girò e chinò la testa, lasciando che Charles annodasse la mascherina. Il volto coperto per metà gli conferiva un'aria sinistra.

"Non dovresti indossarne una anche tu?"

"Lo scopo è quello di proteggere voi, vostra grazia. È più facile se la indossate voi soltanto piuttosto che tutto il personale."

Charles aprì la porta per lui.

Per la prima volta in settimane, Harry uscì dalla sua stanza.

Anche se non più come se stesso.

Adesso era il Duca di Somerset.

***

Il corpo era in soggiorno. Ogni tradizione funebre era stata osservata: le tende erano state tirate, gli orologi fermati al momento della morte, gli specchi coperti per impedire allo spirito del defunto di rimanere intrappolato. La salma di suo padre era adagiata con dei cuscini sul divano e circondata da alloro, da tasso barbasso e da Icandele aromatiche per mascherare l'odore. Indossava l'uniforme militare. Qualcuno gli aveva messo in mano la pipa e aveva dato alle sue guance del belletto. Eppure, non sembrava nemmeno lui, non assomigliava più a nessuno. Il volto della morte era quello di una bambola, un mero ricordo della persona che era in vita.

La madre di Harry stringeva un fazzoletto e un rosario al petto. Indossava un pesante
abito nero, lungo la schiena una fila di piccoli bottoni di perla come una seconda colonna vertebrale. Un velo nero le copriva il viso. Non sapeva dire se stesse piangendo. Harry
voleva stringerla ma sapeva quando lei trovasse ripugnanti le dimostrazioni d'affetto.

"Madre." Prese la sua mano guantata nella propria.

La veglia durò tre giorni e vi parteciparono alcuni parenti, ma la sepoltura fu veloce, Harry
e sua madre accompagnati solo dalla servitù. Suo padre venne deposto con la testa rivolta
ad Ovest e i piedi ad Est. L'aria era fresca ma il terreno tratteneva il tepore estivo. La terra smossa cadde sulla bara come una coperta.

Per giorni dopo l'accaduto furono apatici, senza sapere né cosa fare né avendo voglia di fare alcunché.

La Duchessa era più protettiva con suo figlio di quanto non lo fosse mai stata. Lui assecondò la sua nevrosi e indossò la maschera ogni giorno e non lasciò mai il maniero, neanche per visitare le stalle o la tomba di suo padre. Paradossalmente, lei era anche contraria al fatto
che si sposasse velocemente e generasse un erede. Harry non sapeva come avrebbe potuto corteggiare una donna, figuriamoci sposarne una considerato che non gli avrebbe permesso
di lasciare la tenuta.

Svolgeva tutti i suoi rituali quotidiani sotto il suo occhio vigile e quando non aveva nulla
da fare inventava nuovi rituali. Insieme aprivano e leggevano le lettere di condoglianze
ogni pomeriggio all'ora del tè.

Le lettere arrivavano in massa, di un color avorio quasi identico e una bordatura nera.
Sua madre leggeva a voce alta, appollaiata come un corvo sul bordo della poltrona di
pelle di suo padre nel vestito nero iridescente.

"Non è gentile da parte loro," diceva piegando la carta e infilandola nuovamente nella
busta. A lui suonavano tutte uguali. Un poetico giro di parole. Patetiche frasi fatte.

Harry ne scelse un'altra. Allungò la mano nella sacca e invece di una busta avorio, ne prese una che era rosso sangue.

Ruppe il sigillo e i suoi occhi esaminarono il contenuto della lettera.

"Rossa... Da chi arriva?" chiese sua madre.

La gola di Harry si seccò. "Dal Duca di Warwick."

Lei rimosse una briciola che le era caduta in grembo. "Il ragazzo che ha rubato la tua Bertie?" lo provocò. "Premuroso da parte sua spedire le condoglianze."

"Non l'ha fatto."

Le parole erano in rilievo dorato, l'inchiostro fresco, la lettera inviata dopo la scomparsa di suo padre ma senza che se ne facesse menzione.

"È un invito."

Victorian Boy || Italian translation || Larry Stylinson ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora