La luce della notte sparì, e al suo posto arrivò quella del sole, mentre quest'ultimo iniziò a sorgere. Le onde del mare cambiarono le sfumature di colore: dal blu della notte con qualche chiarore e sfumatura per via delle stelle e della luna; ad un colore chiaro, come quello del cielo, e con i primi raggi del sole, deboli ma luminosi, le nuvole bianche macchiavano il cielo azzurro in punti sparsi.
Eravamo ancora seduti accoccolati sulla panchina. Io mi ero appena svegliato e Jaemin dormiva ancora appoggiato alla mia spalla.
Lo scossi un po' per svegliarlo, quando aprì gli occhi, vidi il suo sguardo molto assonnato e mi fece sorridere. Lui mi guardò e poi sorrise. Continuammo a guardarci, sorridendo in silenzio.
"Buon giorno." Interruppi il silenzio che si era creato.
"Buon giorno!" Sembrava felice, anche se vedendo i suoi occhi rossi e il segno sulla sua guancia sinistra, non credevo fosse davvero felice.
Ci alzammo dalla panchina e tornammo sulla spiaggia di fronte a casa mia. Passammo lì una buona mezz'ora.
"Ok, credo che ora io debba andare." Mi disse Jaemin.
"Vuoi andare a casa?" Gli chiesi.
"Sì." Abbassò la testa.
"Vieni a casa mia." Lo invitai. Non volevo che tornasse a casa sua, sentivo come se fosse pericoloso per lui.
"Oh, ne sei sicuro? Non vorrei dare fastidio..."
"Tranquillo, dai vieni!" Ci incamminammo verso casa mia.
Entrammo in casa, eravamo soli nell'abitazione, andammo in cucina per fare colazione.
"Tua madre? Dov'è? Non è in casa." Mi chiese Jaemin.
"È a lavoro. Il negozio di fiori qui sotto è di mia mamma." Risposi, preparando qualcosa di veloce da mangiare.
Mangiammo con calma e tranquillità latte e biscotti, le cose più buone e veloci che trovai in cucina, da mangiare.
Ci sedemmo sul mio letto in camera e guardammo un po' la tv.
Volevo chiedere a Jaemin un sacco di cose, ma avevo paura a far certe domande. Continuavo a fissarlo, non volevo metterlo a disagio, ma non riuscivo a distogliere lo sguardo da lui.
"Cosa c'è?" Mi chiese, continuando a guardare la tv.
"Niente." Risposi.
"E allora perché mi fissi?" Mi chiese.
"Non lo so..." Risposi, guardando un punto indefinito della stanza.
"Sì che lo sai."
Non risposi, non sapevo cosa dire.
"Se c'è qualcosa che non va, dimmelo. Così potrò aiutarti." Mi disse.
"Cos'è successo... A tuo padre?" Chiesi nervoso. Avevo paura a chiederglielo.
"Un incidente stradale quando ero piccolo..."
"Oh..." In realtà, pensai che non volesse dirmi nulla. Per questo quando mi rispose, mi sorpresi.
"Io ero a casa, mamma era con me, papà stava tornando da lavoro.
Ma poi, chiamarono mia madre, al telefono c'era un'agente di polizia, che disse a mia madre che mio padre era stato coinvolto in un incidente con un camion. Sia mio padre che il conducente del camion, morirono sul colpo. I medici sul posto cercarono di fare il possibile, ma purtroppo era troppo tardi." Sentivo che cercava di non piangere.
Lo abbracciai forte. Stringendolo tra le mie braccia. Non dissi nulla, non sapevo cosa dire.
"E tuo padre?" Mi chiese, staccandosi leggermente dall'abbraccio.
"Non l'ho mai conosciuto." Risposi.
"Oh, e perché? Non voleva diventare padre?" Mi chiese Jaemin.
"Beh, non lo so... Non lo sa neanche mia madre."
Non disse niente, continuava a guardarmi. E dal suo sguardo intuitivo che non aveva capito il motivo.
"Mio padre ha violentato mia madre, quando lei aveva poco più di diciotto anni." Risposi alla sua domanda che non mia aveva fatto, ma che sapevo che voleva chiedermi.
"Oh..." Anche lui non sapeva cosa dire.
Di fronte a certe situazioni, soprattutto se nuove, non si sa mai cosa fare o cosa dire. Anche se a volte si vorrebbe dire e fare qualcosa, non si sa come fare o dire, perciò non si fa nulla e si resta in silenzio.
In quel momento, io e Jaemin, volevamo dire qualcosa, ma non sapendo che parole utilizzare, restammo in silenzio.
"E, quindi tua madre ha un negozio di fiori..." Jaemin cercò un nuovo argomento di conversazione.
"Sì, era di mia nonna. Ma quando lei è morta, ha ereditato tutto mia mamma." Dissi, lui annuì in silenzio.
"E tua madre?" Gli chiesi.
"Sinceramente? Non so che lavoro faccia. Quando c'era ancora papà, era un'insegnante. Ma da quando è morto, ha cambiato lavoro. E questo lavoro le occupa anche un mese intero fuori casa. Non è mai a casa..."
"Ah... E qual segno sulla tua guancia?"
Non rispose, abbassò la testa e si girò dall'altra parte.
"È stato il mio patrigno." Sentivo la sua voce spezzata.
Forse era meglio parlarne un'altra volta. Avevo già chiesto anche troppo su di lui, forse era meglio far altro adesso.
Rimasi in silenzio, non sapendo cosa dire o fare.
"Non è la prima volta che succede..."
Stava piangendo.
Cercava di nasconderlo, ma lo sentivo.
"Ti va di parlarne?" Gli chiesi.
"Sì... Ok..." Si girò verso di me.
Aveva le guance rigate dalle lacrime.
Mi alzai e chiusi la porta della mia camera, poi mi sedetti sul letto. Lui si sedette di fronte a me sul mio letto.
"Qualche anno dopo che mio padre morì, mia madre si è risposata con un altro uomo. Lui era sposato, ma aveva divorziato, e ha una figlia più grande di me di circa cinque anni. Ho un fratello minore, che ha quattro anni, è nato dopo il matrimonio tra mia madre e il suo nuovo marito." Iniziò a spiegare.
Io annuii in silenzio, ascoltando attentamente quello che mi diceva.
"Io sono gay. L'ho detto a mia madre, e per lei non è un problema. Ma per il mio patrigno sì, lui mi ha odiato dal primo momento da quando mi ha visto.
Mi madre non c'è mai, così lui e sua figlia possono maltrattarmi quando vogliono." Continuò a piangere, anche se cercava di smettere.
"Io odio il sole. Ed esco di casa solo per andare a scuola o quando piove,per stare da solo."
"Prima eravamo fuori, con il sole."
"Sì, lo so. Ma tu eri così felice di star lì."
"Se non ti andava di stare al sole, dovevi dirmelo! D'ora in poi, non staremo più al sole. Va bene?"
"Sì, grazie." Sì asciugò le ultime lacrime che gli rigavano il viso.
"Scusa se ti ho interrotto, continua pure."
"Succede spesso che mi insultino e prendano in giro, mi umiliano, e a volte mi picchiano anche."
Lo abbracciai, mi venne spontaneo farlo. Volevo fargli capire che non era solo. Che presto avrebbe smesso di soffrire per colpa della sua famiglia.
"Ieri sera sono tornato tardi a casa, sapevo quello che avrebbero fatto. Avevo paura di tornare. Ma pensavo di riuscire ad entrare e chiudermi in camera prima che loro riuscissero a vedermi. Ma così non è stato." Ricominciò a piangere. Le sue lacrime mi bagnavano la maglietta sulla spalla.
Gli accarezzai dolcemente la schiena, per confortarlo.
"E lui mi disse che doveva educarmi, visto che mia madre non ne era stata in grado. E per farlo, mi colpì con la cintura, sul viso..."
Non potevo permettere che riaccadesse una cosa simile.
Non doveva più succedere.
"Quando puoi tornare a casa, sapendo che loro non ci siano?"
"Al mattino. Mia sorella è a scuola e il mio patrigno a lavoro. Perché?"
"Perché dovrai prendere l'essenziale perché poi ti porterò lontano da loro. Ti porterò al sicuro. Ma stai tranquillo, verrò con te. Nessuno ti farà più del male." Dissi, sicuro delle mie parole. Jaemin mi sorrise. Vedevo nel suo sguardo felicità e speranza.
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.Quando Piove. ~JaeNo~ -Ita-
FanfictionDove Jeno odia la pioggia, ma per Jaemin inizia ad amarla. Lee Jeno+Na Jaemin. NCT Dream. Boyxboy.