Capitolo 2

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La luce tenue che filtrava dalle tende di un bianco panna era sempre più fastidiosa, anche di pomeriggio, e io avevo sonno, molto sonno. La scuola era iniziata da più o meno due settimane e in essa erano cominciate pure le interrogazioni, le partite di basket, le candidazioni per formulare il nuovo gruppo di cheerleaders, le file per comprare fantastici snack alla macchinetta, le verifiche, le battute stupide del professore di scienze, le lamentele e i gruppi di studio.

Visto che non participavo ad alcuna attività extra per accumulare crediti, la professoressa di arte e immagine voleva che fossi io a scrivere un articolo sulla nuova squadra di basket, che aveva nuovi volti, ovvero i ragazzi del primo, ancora matricole che piano piano si trasformavano in cretini con la C maiuscola, e ciò comportava a vedere le prove della squadra e spesso fare delle visite programmate negli spogliatoi, quando erano ancora tutti vestiti, ovviamente. Volevo rifiutare, ma più che una proposta mi era apparsa come un obbligo, quindi forse non avevo molto potere in merito.

Jacob aveva iniziato a salutarmi nei corridoi, ridendo o sorridendo con i suoi amici, come se non fosse niente di che, come se la nostra storia non fosse realmente finita per colpa del suo tradimento.

I miei pensieri furono momentaneamente interrotti da Shawn che mi chiamò al cellulare, risposi, rimanendo distesa sul letto matrimoniale della mia stanza.

“Bella, domani sera c'è una festa. Ti ricordi del mio libro? Hello, My Old Heart? Ho pensato che per scrivere certe scene devo vivermeli i miei diciassette anni, quindi domani ci vado. E tu verrai con me” disse senza fare neanche una pausa, colgendomi di sorpresa.

“Non capisco perché avverti questa volontà di cambiare, ma se ti fa stare bene vengo volentieri” risposi brevemente.

“Okay, ti dico tutto domani. Ora vado a procurarmi dell'erba! Ciao!” riattaccò di scatto.

Guardai un punto impreciso della camera confusa, e poi feci spallucce tornando a fare quello che stavo facendo prima, pensando alle stesse cose, nello stesso modo. Tutto questo finché non fui nuovamente disturbata, stavolta da mia madre.

“Tesoro, noi andiamo al Berfis per comprare il pane e altre cose, vuoi venire?” chiese tirando fuori le chiavi della macchina dalla borsa.

Nonostante io non avessi mai deciso di venire con loro, i miei genitori non si erano mai arresi e mi avevano sempre chiesto se volevo andare a fare la spesa con loro, in più, pensandoci, il Berfis si trovava davanti a Pet.

E quindi?

“Okay, vengo con voi” accettai e vidi mia madre scioccata, probabilmente non riusciva a crederci.

Mi alzai dal letto ed indossai una giacca verde militare, insieme ad una t-shirt nera ed un paio di jeans strappati del medesimo colore. Sciolsi i capelli, lasciandoli leggermente mossi. I capelli erano la parte che più preferivo di me stessa, biondi e lisci, il più delle volte si creavano morbidissime onde che trovavo comode e donatrici di una naturalezza innata.

“Come mai oggi ci sei? Che succede, figliola?” domandò mio padre guardandomi con aria sospetta.

“Nulla, papà. Voglio solo passare del tempo con voi e devo comprare un libro” eliminai ogni suo dubbio.

Entrai in macchina ed accesi direttamente la radio, godendomi un po' di 5SOS nonostante fossimo in pieno inverno e la loro musica non fosse proprio adatta al periodo. Il supermercato era abbastanza vicino alla nostra casa, per questo i miei genitori lo frequentavano di più rispetto agli altri, e in più, lì c'erano le mie fette biscottate preferite. Amavo spalmarci sopra generose quantità di marmellata alle ciliegie o all'albicocca.

Spostai i miei capelli dalla fronte mettendoli dietro l'orecchio, lo facevo continuamente, e così si intravedevano gli orecchini a cerchio di piccola misura. Vidi mio padre Chris, diminutivo di Christian, sorridermi dallo specchietto della macchina. Lo trovavo felice della mia presenza. Finalmente a qualcuno importava avermi con sé.

Io e mio padre quando ero più piccola avevamo un rapporto pazzesco, lui faceva il meccanico di professione e mi aveva insegnato tutto del mestiere. Poi cambiò lavoro e il tempo che passavamo insieme diminuiva sempre di più.

Quando arrivammo al Berfis, scendemmo contemporaneamente. Mia mamma Katia mi chiese di andare a prendere un carrello e mi diede anche una specie di moneta per sbloccarlo, quando ci riuscii mi sentii fiera. Era la prima volta che lo facevo.

“Allora...adesso io vado nel reparto salumi per ordinare del prosciutto crudo, tu vai a prendere i cereali per la mattina, quelli che vuoi” disse mia madre ed io mi limitai ad annuire.

Il mio concetto di fare la spesa era differente, tutti insieme, a ridere, scherzare, ma evidentemente erano di fretta e io con loro. Cercai attentamente i miei corn flakes preferiti con pezzi di cioccolato al latte deliziosi, ma quando vidi nel reparto che si trovava davanti al mio Justin Bieber, feci cascare molte scatole della fila in cui stavo guardando.

“Porca puttana!” sibilai raccogliendo velocemente tutto ciò che avevo buttando con il mio modo impacciato di fare, finché non lo vedi raggiungermi.

“Ehm, scusa, lavori qui?” mi chiese da qualche metro di distanza, forse per il fatto che stavo sistemando e riordinando i pacchi di cereali.

“No, mi dispiace” risposi, alzando di poco lo sguardo.

“Aspetta...sei l'ex ragazza di Jacob? Jacob Winston, intendo” si fermò guardandomi intensamente.

“Sì, sono io. Qualche giorno fa hai sbottato perché ti sono finita praticamente addosso, che cosa buffa!” mi grattai la nuca evidentemente imbarazzata, anche se, allo stesso tempo, volevo intrattenere una conversazione con lui.

“Non mi ricordo di te, so solo che Jacob ti ha tradita. Mi dispiace, gliel'ho detto che non eri quel genere di tipa” fece spallucce, facendo per andarsene.

“Cosa? Cioè...come? Quale genere di tipa?” balbettai alzando il sopracciglio curiosamente.

“Quella che accetta una relazione a tre, insomma, lui ci ha sperato in una cosa a tre con Brittany. Io gliel'ho detto ed ho avuto ragione, sai com'è” tornò indietro solo per rispondermi.

“Purtroppo...ora sì” guardai in basso scuotendo il capo.

“Dai, era già tanto se ti si filava. Non l'ho capito cosa ci trovava in te, le sue ex sono molto diverse, curve da pantera, disposte a tutto pur di averti. Non sono impegnative e non si arrabbiano se non riesci a tenertelo nei pantaloni con qualcun'altra” rispose come se il suo fosse un modo di consolarmi.

“Si chiamano ragazze che non ci tengono o preferibilmente oche, ma non capisco neppure perché ci sto parlando con te” cercai di andarmene.

“Domani sera c'è una festa, ci verrai?” si mise le mani in tasca.

“Non ci penso neanche” lo guardai come se ne fossi sicura andandomene.

Non potevo dire di no a Shawn, eppure non riuscivo a pensare di rivederlo, lo odiavo, era insopportabilmente devastante.

Che schifo, provavo solo ed esclusivamente pudore per uno come lui che trovava quel genere ragazze superiori a me. Mi sentivo intellettualmente offesa da quella persona e il fatto che anche per un attimo soltanto l'avessi creduto sexy, bello e da scoprire, mi faceva ribrezzo.

“Tesoro, hai trovato i cereali che volevi?” domandò mamma Katia con la sua voce stridula e a volte insopportabile.

“No, mamma. Non ne mangio più, ho scoperto che c'è l'olio di palma dentro” le dissi allungando il passo il più possibile verso la cassa per uscire presto.

Quello che aveva detto non m'importava, oppure sì? Oppure le sue parole mi toccavano realmente e io non ero altro che una povera illusa che si faceva piacere sempre quelli più stronzi?

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