Capitolo 4

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L'acqua che scorreva lentamente sul mio corpo non faceva altro che farmi morire di curiosità, volevo e dovevo sapere cos'era successo a Justin e perché aveva una pistola con sé. Tra l'altro, non sapevo nemmeno chi fosse quel ragazzo che aveva cercato di ucciderlo e che ruolo ricopriva nella sua vita.

Quando terminai di insaponarmi per bene mi sciaquai il corpo e lo avvolsi infine nell'accappatoio viola, cercai di fare il più presto possibile. Indossai l'intimo in pizzo nero, un paio di jeans di tonalità chiara, un top beige e una giacca militare sopra. Applicai un filo di mascara sulle ciglia e feci la solita base, per poi uscire.

Avevo una certa fretta di andare a scuola, stranamente.

"Mamma, io vado" gridai a un passo dalla porta.

"Tesoro, non fai colazione?" mi raggiunse con un asciugamano tra le mani mentre se le puliva, con un'espressione stupita.

"Sono sincera, non ho molta fame. Ci vediamo a pranzo! Ciao papà!" chiusi la porta alle mie spalle e mi avviai, mettendo le cuffie alle orecchie e proiettando la playlist che solitamente ascoltavo durante la doccia o durante i viaggi in macchina.

Quando fui davanti all'istituto mi guardai attorno sperando di non vederlo, non ne sapevo il motivo ma all'improvviso non volevo avere risposte per paura di trovarmi davanti una persona che giudicavo come cattiva. Dopo l'idea che mi ero fatta di lui, non volevo rimanerci delusa.

Al suono della prima campanella mi ritrovai a cercare disperatamente il libro di storia dell'arte, che trovai solo quando erano già tutti entrati, tranne me e Justin.

"Dobbiamo parlare" si presentò davanti a me quando chiusi l'armadietto.

"Vai in classe, è tardi ─ tentai stupidamente di andarmene, ma lui mi afferrò per il braccio e io, colta di sorpresa, vacillai ─ Ma che cazzo fai? Chi ti credi di essere per tirarmi così, eh?"

"Abbassa i toni, ieri ti ho detto di andartene, perché non l'hai fatto?" non lasciò la presa continuando a stringere forte.

"Perché avevi una pistola con te?" gli chiesi come se fosse ovvio che avevo la precedenza, mille domande mi frullavano nella testa e molto probabilmente non sarei neanche riuscita a fargliele tutte.

"Sh, zitta! Non urlarlo...potrebbero sentirci. Ascolta, nessuno deve sapere di questa faccenda, chiaro? Con nessuno io intendo proprio nessuno, nel senso che nessuno deve sapere di quello che tu hai visto" precisò duramente.

"Voglio delle risposte, sai che non posso fingere che non sia successo nulla. Perché avevi una pistola con te e chi era quello?" riproposi la domanda, stavolta con un tono più basso.

"Non penso neanche che ci crederai, è una cosa strana" si guardò attorno.

"Dimmelo" obiettai.

"Ti conosco da qualche giorno, Bella. Non posso dirtelo, è troppo privato. Nemmeno i miei amici lo sanno" si tirò indietro.

"Okay, non dirmelo. Resta il fatto che io ti ho visto con una pistola in tasca e che sicuramente non lo dimenticherò, quindi, fai ciò che ritieni giusto" feci spallucce fingendo che fosse irrelevante sapere o meno la motivazione.

"Tu non vuoi saperlo realmente, e fidati che è meglio così. Se tu sapessi certe cose, te ne succederebbero altre. È una trappola questo giro, tu non cascare in tentazione" disse guardandomi intensamente negli occhi.

"Cosa cazzo intendi? Cosa pretendi di farmi capire così?" gli presi le braccia per i polsi, togliendole dagli armadietti su cui si era appoggiato precedente.

"Vai...vai in classe" sussurrò deglutendo.

"Io voglio sapere!" mi buttai fino al collo in quella massa di speranza, volevo sapere tutto, non avevo paura di ritrovarmi stordita da quello che lui faceva nella sua vita. Era già stato arrestato una volta, certe cose potevo anche immaginarle, e per quanto potessero spaventarmi, avevano dell'attraente.

Lo guardai un ultimo secondo, sperando di riuscire a capire qualcosa di utile per dare delle risposte alle mie domande, ma erano dei tentativi invani e inutili quasi quanto quel suo continuo mistero. Così me ne andai ed entrai in classe, in ritardo.

"Scusi il ritardo, stamattina c'era molto traffico" mi andai a sedere e per tutta la lezione non feci altro che pensarci, arrivando ad una conclusione che poteva essere più che una risposta.

Il Deep Web.

Al suono della campanella portai lo zaino in spalla e cercai disperatamente Shawn per il corridoio, ma rimasi delusa quando lo vidi in compagnia di altra gente, fra cui Jacob.

"Bella! Bella, vieni qui! Ti presento i miei amici!" urlò appena mi vide come se per me non significasse nulla.

"Ho da fare" risposi andando nella toilette, entrai nel primo bagno vuoto e mi accovacciai a terra, pronta a spendere delle lacrime per persone che non ne valevano la pena, ancora una volta.

Cercai un fazzoletto dentro il taschino dello zaino, non trovandolo, così utilizzai il metodo del lavandino. Non sarebbe stata sicuramente una bella visione per le ragazze che sarebbero entrare, ma poco importava. Le mie preoccupazioni al momento erano altre.

Arrivai nuovamente all'armadietto e ci trovai un biglietto sospetto, con su scritto in caratteri cubitali CARTER JENKINS, probabilmente chi me l'aveva portato non voleva farsi scoprire dalla calligrafia. In un modo o nell'altro sarei riuscita a trovare chi era il ragazzo.

La prima cosa che feci fu ricercare il suo nome su Google il pomeriggio stesso, scoprendo che era un ragazzo della mia età che non frequentava la mia scuola ma che abitava, come me, a Manhattan. Era un genio dell'informatica, forse la soluzione per scoprire chi era realmente Justin era rivolgermi a lui.

La mia intenzione era quella di chiedere a Shawn, che frequentava da anni un corso ambito di informatica, se sapeva entrarci e se avrebbe potuto entrarci per ricambiare il favore che gli avevo fatto venendo alla festa e come scusa per avermi praticamente dimenticata. Non riuscivo però a parlarci dopo quello che avevo visto, quindi l'unico metodo era rivolgermi a quel tizio.

Sicuramente, se nel mio armadietto era finito un bigliettino con il suo nome, c'era qualcosa sotto.

E io volevo scoprire cosa.

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