Capitolo 14

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Mi guardai più volte allo specchio alla ricerca dell'outfit perfetto, volevo essere sexy, comoda, naturale, selvaggia e provocante. Tutto questo in un outfit. Un. Solo. Outfit.

Riguardai l'armadio per la decima volta di fila decisamente stanca, capendo che avevo bisogno di nuovi vestiti. Non potevo di certo andare a fare qualcosa di così pericoloso con una vestitino a fiori, e il mio armadio era praticamente composto da quelli.

Finalmente, trovai qualcosa che poteva andare, un paio di pantaloni neri pieni di tasche [1], pensai con cosa avrei potuto abbinarli e, senza un motivo ben preciso, mi passò in testa quell'adorabile top a fascia che non avevo mai sfoggiato. Lasciai i capelli sciolti e mi truccai come al solito, ero pronta.

Chiamai Jacob per dirgli di venirmi a prendere, si erano già fatte le una, i miei genitori mi credevano a dormire da Shawn. Quindi avevo tutta la notte per riuscire nel mio intento. Odiavo metterlo in mezzo ma era inevitabile, loro non conoscevano nessun altro mio amico, non perché non volessi rivelarglielo, ma perché non esisteva. Non avevo più amici. Zilch. Zero. Nil.

Ma, forse, un giorno, Jacob sarebbe potuto diventarne uno. La nostra intesa era amichevole e in lui ci vedevo un supporto per niente scontato, sopratutto in una situazione come questa. L'avevo perdonato, sul serio però, e mi sentivo meglio con me stessa. In realtà, si sa, tolto un problema, se ne fa un altro.

Il suono del clackson della sua macchina mi portò alla realtà, scesi velocemente vedendolo a bordo di una lussuosa Mercedes, la CC12 Concept. Mio padre, quando ancora lavorava come meccanico, ne andava pazzo. Rientrava fra le tre Mercedes più costose di sempre e non mi meravigliava affatto che ce l'avesse uno come Jacob.

 “Pronto?” aprii la portiera senza nemmeno salutarlo.

“Nato pronto!” nel suo viso si fece spazio un ghigno divertente che mi fece ridere.

Nella radio passò una delle mie canzoni trash preferite, SexyBack di Justin Timberlake. Iniziai a ballarla e cantarla con Jacob, e vedendolo atteggiarsi come una ragazza, risi a crepapelle.

“Sappi solo che Smith è manesco, se non riuscirai ad addormentarlo con il cloroformio ricordati di pigiare il pulsante sul tuo cellulare. Sarò lì in men che non si dica” disse fra un discorso e un altro.

“Tranquillo, ce la farò. Ce la faremo. In onore dei Bloods” gli diedi il pugno e senza che me ne accorgessi arrivammo a destinazione.

Sospirai, ero pronta a prendermi tutto, era arrivato il mio momento. Mio e di nessun altro.

“Ricordati: se sei in pericolo, spingi il bottone e cerca di scappare. Hai una pistola in tasca, non vorrei dirti di usarla perché sarebbe la tua prima volta, ma se serve, fallo, o ci metterai la tua di vita” mi scrutò quasi dispiaciuto.

Annuii e lui tirò fuori la scala per arrivare al secondo piano del loro covo, lì sarei giunta direttamente al bagno.

“Buona fortuna” mi sussurrò prima che cominciassi a salire, gli dedicai mezzo sorriso e mi occupai direttamente di finire ciò che stavo iniziando.

Arrivai al bagno, era nero per intero, mi piaceva l'architettura della loro villa. La maniglia cominciò a muoversi e io feci la prima cosa che mi passò per la testa: nascondermi dietro alla porta. Smith aveva addosso solo un paio di pantaloni, in effetti la casa era molto calda, forse troppo per starci un paio di ore. Rimasi lì finché non successe una cosa imbarazzantissima, lui iniziò a fare pipì. Sì, esattamente, avete capito bene. Quel giorno vidi le sue parti basse e non potei fare a meno che rimanere scioccata per le grandezze smisurate. Tutto avrei immaginato meno che trovarmi in una situazione del genere.

Quando terminò, passò accanto alla porta, ma tornò indietro poco dopo, avendo notato che c'era qualcosa che non andava: la mia presenza.

“Ma, cosa-” portai il fazzoletto al suo naso e lui svenne sul colpo. Sorrisi e per ricordare il momento decisi di scattargli una foto.

A quel punto corsi verso tutte le stanze controllando ogni cassetto e ogni materasso, finché non trovai quello che mi serviva. Come mi aveva descritto Jacob, il loro libro sacro aveva una copertina color bordeaux, che stava a rappresentare il sangue, molto raffinata. Lo presi sprizzando gioia da tutti i pori.

Scesi le scale del loro covo pensando che sicuramente se ne avessi saputo di più avrei potuto fare di meglio, e la curiosità si prese la meglio su di me. Jacob mi aveva raccontato che il loro floema si trovava in una stanza segreta e blindata, la cercai, volevo davvero conoscere quel posto perché sentivo, in un certo senso, che quella non sarebbe stata l'ultima volta che ci avrei messo piede.

A interrompere la mia ricerca, però, fu una ragazza dai capelli castani e corti. Johanna, ecco, proprio lei, Jacob me l'aveva descritta proprio così. Due grandi occhi marroni, come quelli di Emily, e un seno prosperoso.

“Tu! Tu, piccola peste!” venne verso di me ma la fermai con un calcio, non cadde a terra come succedeva nei film. Si fiondò sulla mia chioma scura e io tentai di prendere le sue mani per fermarla, dovevo proprio pestarla a sangue se volevo andarmene senza essere scoperta. Le tirai uno schiaffo, un altro calcio e un sacco di pugni quando rimase ferma sul muro, e pensai che a momenti Smith si sarebbe svegliato. Dovevo sbrigarmi.

Prendendola per i capelli sbattei la sua testa sul muro un numero indecifrabile di volte, fino a sentirmi addirittura in colpa. Da lì iniziò ad uscirle del sangue.

“Figlia di puttana!” gridò con gli occhi pieni di odio, eppure io avevo il controllo. Intrappolai nuovamente le mie mani sui suoi capelli e diedi il colpo finale, sbattendo per l'ultima volta la sua testa sul muro bianco, che era diventato rosso, prima che finisse per terra priva di sensi. C'era sangue su tutta la parete e mi piaceva. Nel nome Bloods c'era la parola sangue, e solo ora ne capivo il perché.

Mi affrettai a uscire dalla casa e Jacob mi strinse fra le sue braccia, prima che potessi raccontargli cos'era appena successo. Che avessi fallito o meno, l'importante per lui era che fossi viva, e lo potevo intuire da sola.

“Tieni, è vostro” parlai come se davanti a me ci fosse tutto il gruppo.

“Ora andiamo, convoco tutti i componenti della nostra squadra e gli faccio vedere cosa sei riuscita a fare. Intanto raccontami” mi aprì la portiera elettrizzato quasi quanto me.

E così, fra una delle più umide giornate di febbraio, feci una cosa che nessuno dei Bloods sarebbe mai riuscito a fare.

1: I pantaloni di Bella.

1: I pantaloni di Bella

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