Capitolo 9

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La classe era ancora piena di persone che chiaccheravano e si scambiavano appunti, quando oltrepassai la soglia della porta mi sentii liberata da un peso enorme. Erano passati diversi giorni da quello che era successo fra me e Justin, non facevamo altro che lanciarci occhiatacce nei corridoi.

Noi non possiamo permettercelo un noi.

Queste sue parole risuonavano nella mia testa come una sinfonia, erano incoerenti, dato che il giorno dopo mi aveva ribaciata.

In più, necessitavo un cambiamento, non caratteriale. Odiavo la monotonia e per questo vedere sempre la stessa cosa allo specchio infastidiva.

Prima che potessi pensare qualcos'altro qualcuno pronunciò il mio nome. Mi voltai notando la figura di Shawn avanzare verso di me con un sorriso sul viso.

Oh, quindi si ricordava di me.

“Hey Bella, è da un po' che non parliamo” mi rivolse la parola.

“Già, e non a causa mia. Scusami, ma devo proprio andare” mi voltai ma lui mi fece rigirare.

“Aspetta! Domani do una festa a casa mia, mi piacerebbe se venissi” annunciò con un tono di voce che faceva intendere il suo voler sistemare le cose.

“Perché? Io non ti capisco, Shawn” lo guardai confusa.

“Ci siamo allontanati dopo una festa e voglio che ci riavviciniamo sempre dopo una festa” rispose sfacciatamente.

“È troppo tardi, mi dispiace” me ne andai.

Ciò che ebbi davanti a me mi fece pensare che forse sarebbe stato meglio non girarmi mai. Justin stava baciando una ragazza, a primo impatto sembrava quella a cui stava sorridendo quando ero arrivata alla festa che aveva cambiato tutto.

Infondo non doveva importarmi, io e lui non eravamo nulla. Cosa mi turbava?

Uscii dall'istituto direggendomi verso casa un po' strana, mi sentivo arrabbiata con l'intero mondo senza una motivazione specifica. Così mi ritrovavo con il petto stretto in una morsa a scavare dentro di me a due, a quattro mani, finché non sarebbero venuti fuori migliaia di tasselli. Un puzzle inestricabile.

| Justin |

Perché mi sentivo improvvisamente come se le avessi mancato di fiducia, come se le avessi nascosto qualcosa? Non dovevo sentirmi così, perché tra noi non c'era niente. Quando mi aveva visto la sua vista si era rabbuiata ed avevo avvertito un certo senso di colpa invadermi il corpo e la mente.

“Scusa, Ashley. Ho un impegno importante di cui mi ero dimenticato” mentii spudoratamente.

Corsi verso la mia auto, una Camaro gialla con due righe nere al centro, e la cercai, per poi passarle accanto senza che nemmeno si accorgesse di me. Il suo profilo era rigido e la sua mandibola scattava di secondo in secondo; sbuffò sonoramente.

“Lo vuoi un passaggio? ─ le domandai sperando che rispondesse di sì ─ Dai, che ho fatto? Sali, ti prego”

“Solo perché sono stanca” rispose di rimando, sbattendo la portiera con audacia.

“Fai piano! Che è successo? Perché sei arrabbiata con me?” la guardai con la coda dell'occhio.

“Non lo sono con te, bensì con Shawn. Lo conosci, vero? Ha avuto la faccia tosta di chiedermi se sarei venuta alla sua festa, riesci a crederci?” la scrutai attentamente.

“Allora non hai tutti i torti per essere così furiosa. Ma sai, dovresti andarci o penserà che non ti è passata, mostragli chi ha perso” cercai di darle un consiglio che avrebbe potuto apprezzare.

“Non ti facevo così...profondo” ridacchiò prendendomi in giro.

Ad un certo punto il motore iniziò a mostrare segni di cedimento ed io ricorsi subito a girare e rigirare la chiave.

“Oh, dannazione! Che cazzo, riprenditi! Forza...ha dei problemi, diciamo” le parlai come per giustificarmi.

Con le staffe perse e una rabbia incontrollabile alzò le braccia e si legò disordinatamente i capelli che le finivano sul volto. Rimosse la giacca dalle sue spalle.

“Apri il cofano” alzò gli occhi al cielo uscendo dall'auto. Si piegò davanti allo scrigno e io avvertii la mia volontà vacillare pericolosamente.

Ci trovavamo in un posto in cui molto probabilmente non ero mai passato, Bella doveva passare sicuramente per di lì come scorciatoia. Davanti a noi c'era un campo di grano coltivato a frumento, non credevo ce ne fossero ancora in una città come Manhattan.

“Woah, bei collettori. Hai un carburatore alto a doppia pompa” commentò mentre io ero fisso a guardare la scollatura profonda del suo body a maniche lunghe.

“Te ne intendi, eh?” non riuscii a trattenere un sorriso.

“Mio padre faceva il meccanico, mi ha insegnato tutto lui” disse.

“E perché non l'ho mai saputo prima di oggi?” reclamai attendendo la sua risposta.

“Jacob non voleva che si sapesse, odia quando le ragazze sanno di motori più di lui” roteò gli occhi, sospirando.

“A me piace...la femmina che mi aggiusta la macchina” continuai a guardare come quegli skinny jeans le fasciassero bene ogni forma.

“Ce l'hai una chiave inglese?” mi chiese continuando a guardare attentamente groviglio di macchinari, cercando di capire dove fosse il problema. Si morse il labbro.

“Sì, aspetta un attimo...eccola qui. Sei sicura di potercela fare? La macchina è nuova” la stuzzicai, sapendo che la avrebbe fatta infuriare il mio mettere in dubbio le sue capacità.

“Anche il fatto che io ti stia aiutando è una cosa nuova, come la mettiamo, hm?” alzò un sopracciglio apparendo ancora più sexy. I suoi occhi azzurri rendevano il tutto affascinante, se li guardavi a lungo ti sentivi trasportato in un'altra galassia.

“Domani andrò alla festa del tuo amico se verrai anche tu, ci sarai quindi?”

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