Capitolo 7

95 8 5
                                    

La rabbia incontenibile che provavo nei confronti di Justin mi aveva portata a contattare Carter Jenkins, mi aveva detto, tramite Messanger, di riceverlo in una vecchia biblioteca di cui non avevo mai sentito parlare, Alexandra, perciò mi ero cambiata ed ero pronta a risolvere il mio problema. Portai lo zaino alla spalla e con un passo veloce e l'aiuto del cellulare trovai il posto.

La biblioteca era semi-vuota e molto grande, antica, aveva perso la sua clientela negli anni, presumibilmente. Fra le poche persone presenti, una alzò lo sguardo insieme alla mano, per salutarmi. Capii che si trattava proprio di Carter Jenkins. Diverso da come mi aspettavo, aveva i capelli di un castano scuro e gli occhi verdi, portava una camicia bianca ed aveva un sorriso contagioso.

“Bella Walmart, piacere” gli porsi la mano che lui strinse immediatamente, con forza, guardandomi negli occhi in modo insistente.

“Carter Jenkins, tutto mio. Siediti pure, stavo semplicemente lavorando al mio romanzo” eliminò la pagina su cui era rimasto.

“Wow, mi piacciono i romanzi” cercai di iniziare una conversazione per arrivare il più presto possibile al punto.

“Sei quel tipo di ragazza che legge?” ridacchiò incredulo.

“Non sono nessun tipo di ragazza, suppongo. Sono una ragazza...come dire... comune” risposi.

“Se tu fossi comune non mi avresti cercato, cosa ti serve?” arrivò dritto al dunque.

“Devo entrare nel Deep Web e non so come fare, mi serve il tuo aiuto” gli dissi.

“È pericoloso qui, lo sai questo?” mi guardò come se ne dovessi essere certa.

“Creami un account quando puoi e mandamelo via Messanger” gli risposi prendendola come cosa semplice e per niente impegnativa.

Per uno come lui sicuramente non rientrava fra le cose complicate da fare. Per nulla.

“Non si tratta di semplici nomi utenti e semplici password, devi esserci anche tu mentre faccio tutto. Che ne dici, andiamo a casa mia, ora?” propose credendo che gli avrei risposto velocemente di sì.

“Non credo sia proprio adeguato...” gli accennai il mio pensiero.

“Insomma, cosa ti preuccupa? Il tempo scorre e io ne ho poco, è la tua ultima occasione, e la prima, tra l'altro” continuò.

In effetti, cos'era a preuccuparmi? Lui era uno di quei tipi che non sapevano farci con le ragazze e di certo non mi avrebbe implicato a compiere azioni indesiderate. Poi mi tornò in mente la forte voglia di capire e conoscere il passato di Justin, erano giorni che cercavo in tutti i modi di farlo, e dovevo cogliere l'attimo.

Prima che potessi fare la stupida mossa di accettare, sentii il cellulare vibrare dalla tasca dei jeans.

Da: Sconosciuto

Sei in trappola

Scappa

Mi guardai attorno incredula e Carter mi chiese cos'avevo, e nel largo di pochi secondi sentii uno sparo e una persona trascinarmi via per poi buttarmi in un'auto. Quasi quasi ci stavo prendendo l'abitudine perché, infondo, aspettavo di saperne qualcosa da settimane.

“Sei una grandissima testa di cazzo, porca puttana! ─ urlò una voce che avrei riconosciuto fra mille, Justin era al volante, era stato lui a portarmi via ─ Ti avevo detto di starne fuori, non fai mai niente di quello che ti dicono di fare, eh?”

“E io ti avevo detto di dirmi chi eri realmente! Non puoi pretendere di veder fatta qualsiasi cosa vuoi, okay? Calmati e lasciami andare, tu non sei nessuno per me!” sbottai.

“Neanche tu per me, ma almeno io non mi ostino a mettermi nei guai per avere informazioni su di te e sulla tua vita privata” cacciò fuori un qualcosa di perfetto per ribattere con successo.

“Almeno io non stavo per baciarti” alzai un sopracciglio convinta di aver detto la cosa più adatta e giusta possibile.

“Avresti ricambiato se fosse successo, non dire che non è vero. E ti è pure piaciuto quel poco” rimase sull'argomento.

Uh, sì. Mi era piaciuto...e con questo?

“Tu non sai quello che provo, quello che penso e quello che faccio. Puoi tentare sfruttando la tua immaginazione, ma non riuscirai mai a capire niente di me. Per questo, lasciami andare!” gli puntai il dito contro.

Rimase in silenzio.

“Dove cazzo stiamo andando? Cosa hai intenzione di fare?” lo bombardai di domande incredula del suo comportamento taciturno dettato dal nulla.

“Voglio darti le risposte che cerchi, magari capendo il pericolo che corri smetterai di rovinarti il resto della vita” rispose trattandomi come se avesse preso le veci di mio genitore.

“Questo tuo fottuto modo di fare il misterioso mi sta uccidendo, sputa il rospo!” sbraitai sentendo che tutte quelle cose che lo riguardavano mi stavano facendo impazzire.

“Okay. Io sono il capo dei Bloods, una gang conosciuta in tutti gli USA. Ci sono diciotto Justin Bieber in America e io sono due di essi. Justin Bieber, ventitré anni, nato in Canada, violento e ricco capo dei Bloods. Poi, Justin Bieber, diciotto anni, studente al liceo. Siamo i più bravi al mondo nella falsificazione dei documenti e nella deportazione di armi” rivelò.

“E come cazzo me lo colleghi il carcere? Lì quale Justin c'è stato?” mi mostrai ancora più curiosa.

“Diciamo che l'unica cosa che li accomuna è il carattere, non riesco mai a mantenere il controllo e certe volte finisco per fare cazzate anche con chi non vorrei” spiegò.

Sospirai, nonostante avessi immaginato qualcosa del genere, averne la conferma era tutt'altra cosa.

“Pensa solo che al liceo hanno paura di me quando non sanno niente. Immagina se sapessero chi io sono realmente” spostò finalmente lo sguardo su di me.

“Ehm, quindi la persona che ho davanti a me è un ventitreenne?” ridacchiai ancora confusa.

“Sì” sorrise teneramente.

“E...toglimi una curiosità, qual era il Justin che stava per baciarmi?” domandai con un tono di voce più basso, quasi in un sussurro.

Lui passò qualche secondo a fissarmi negli occhi, facendomi sentire i fuochi d'artificio nello stomaco finché, nel più lento dei movimenti, non si avvicinò al mio collo, portandomi a trattenere il respiro per evitare di fare casini. Baciò il mio collo e da lì partì un sentiero che arrivò alla mia mandibola per giungere infine alle mie labbra. Il nostro non era decisamente un bacio innocente, bensì aveva qualcosa di rude, di eccitante.

“Oh, i-io ─ provò a fermarsi senza risultati, continuò a lasciare baci umidi sul mio collo ─ Io non p-posso farlo”

“Shh, continua. Ti prego” appoggiai la mia mano sulla sua guancia mentre la sua lo tradiva andando a finire sulla mia coscia destra che massaggiava cautamente, provocandomi un numero indefinito di emozioni fantastiche.

“Noi non possiamo permettercelo un noi” si staccò con enorme sforzo della volontà.

Non c'era una spiegazione a tutto ciò, noi non eravamo niente ma allo stesso tempo eravamo tutto, c'era qualcosa di forte che incontrollabilmente ci legava e noi, per quanto volessimo opporci e non ammetterlo, eravamo costretti ad accettare quanto c'era di reale.

Bad Things.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora