Capitolo 17

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Poi la porta si spalanca e mi ritrovo addosso una Veronica del tutto in lacrime. Si sta lasciando andare, sta praticamente urlando, non si regge in piedi. Cerco di sostenerla, ma essendomi piombata addosso all'improvviso non ero preparato e per poco non la lascio cadere sulle scale. Nami le sta annusando le caviglie, come a cercare di capire perché sta male. Alza gli occhi su di me e ancora gli abbassa a Nami. Si libera da me e si inginocchia a terra. Mi chino per capire cosa sia successo. Poi alzo gli occhi su sua madre cercando spiegazioni. Anche lei piange, in piedi sulla soglia di casa. Sembro essere l'unico cretino a non capirci nulla. Mi siedo accanto a Veronica e la stringo forte. Appoggia la testa sulla mia spalla e ancora piange. Cerco di alzarla, ma è un peso morto e vuole rimanere a terra. Nami sembra preoccupata e ci gira intorno uggiolando. La madre di Veronica è ancora in piedi e piange sempre di più. Decido che rimanere fermo è la cosa migliore e aspetto qualche minuto prima di chiedere spiegazioni.
Dopo un po' Veronica si calma. Continua a singhiozzare, ma ha finalmente smesso di piangere, cercando di dire qualcosa.
Provo a tirarla su e questa volta si lascia alzare.
«entra caro » dice la mamma di Veronica asciugandosi le lacrime. Sono sempre più confuso e sempre più preoccupato. Provo a lasciare Veronica in piedi, ma non riesce a sorreggersi da sola e per poco non cade.
«siediti» aggiunge poi la donna, con un tono di voce dolce ma piatto, per evitare di singhiozzare.
Con un piede allontano una sedia dalla tavola e mi siedo, continuando a tenere Veronica per i fianchi, per evitare che cada. Non riesco a tenerla da seduto, così la faccio sedere sulle mie gambe. Rimanendo seduta si lancia avanti, appoggiando i gomiti sulla tavola e tenendosi la testa tra le mani.
Sono troppo confuso per parlare, ma dopo un po' riesco finalmente a chiedere
«cosa è successo? »
Alla mia domanda Veronica viene scossa da un singhiozzo ancora più forte. Le avvolto la vita con le braccia perché ancora rischia di cadere.
«Sergio... »dice dopo un po' la mamma di Veronica « hanno offerto un posto di lavoro a Milano a Simone, Luca e papà. Laura avrà il suo lavoro da insegnante in centro a Milano. Noi ci dobbiamo trasferire. Non abbiamo la possibilità economica di avere due case. Mi dispiace. » comincia pure lei a piangere.
Rimango fermo, perso con lo sguardo nel vuoto.
«Veronica può rimanere a casa mia. »dico alla fine. «in fondo siamo entrambi maggiorenni, vivo da solo nella casa dei miei nonni. Non dobbiamo pagare l'affitto, la casa è mia. Prenderò un letto più grande, nel frattempo dormirò io sul divano, non ci sono problemi. La prego, la lasci rimanere. » parlo velocemente, cercando di trattenere le lacrime.
Veronica cerca di alzarsi, ma mi ricade pesantemente sulle ginocchia.
«dobbiamo parlare prima con tua madre» risponde la donna cercando di evitare di guardare la figlia distrutta che probabilmente non sta nemmeno più seguendo il dialogo, limitandosi a singhiozzi sommessi. Non riesco più a sopportare di vederla così, ma d'altra parte non so se darle una speranza e poi vederla rovinare se mia madre dirà di no.
Decido di non dirle niente della possibile soluzione, ma lasciarla così farebbe male a me e sopratutto a lei, così la sollevo alzandomi in piedi e provo a farle fare qualche passo attorno alla tavola. Dopo un po' riesco a farla camminare da sola, ma dopo pochi passi le mancano ancora le forze e si sbilancia. Quasi cade, ma prontamente le afferro le braccia e la ritiro su. Penso che per ora sia abbastanza e mi limito a tenerla in piedi.
«portala via, ti prego» dice la mamma di Veronica riferendosi alla ragazza. Evidentemente anche alla donna fa male vedere la figlia così, ma non può farci nulla. Pensa che magari io possa aiutarla, quindi spera. Ma non credo di riuscire a fare niente. Veronica si sta lasciando del tutto trasportare, non si regge in piedi. Sembra un burattino. Esco sul pianerottolo, dove Nami ancora ci aspettava uggiolando. Faccio sedere Veronica sulle scale e mi siedo accanto a lei. Ha quasi smesso di singhiozzare, ma ancora non si decide ad alzare gli occhi. Da quando la ho fatta entrare per parlare con sua madre non sono riuscito a vederla in faccia, e un contatto visivo aiuterebbe.
«Veronica, guardami» mi ritrovo a chiederle disperato. All'apparenza forse non sembra ma anche io sono molto scosso in questo momento e anche io ho bisogno di lei.
Non alza ancora lo sguardo, così le prendo il viso fra le mani e la faccio girare verso di me. I suoi occhi, solitamente marroni, sono diventati più scuri, la pelle delle palpebre è totalmente arrossata. Il trucco è colato assieme alle lacrime e le riga le guance. Non la avevo mai vista in questo stato, non pensavo che potessi vederla ridotta così per me. Perché il problema sono io. Potrebbe rimanere in contatto con Anna, trovarsi a metà strada, videochiamarsi tutte le sere, l'amicizia a distanza non è difficile da mantenere. La relazione si. Come farei senza vederla tutti i giorni, proprio non lo so...
Penso questo in una frazione di secondo e anche io comincio a piangere. Lei sembra capire che ho bisogno di lei come lei ha bisogno di me e si alza tendendomi la mano. Mi alzo e prendo la mano tesa per me, poi la aiuto a scendere le scale e usciamo in strada. Cercando di non dare nell'occhio, camminiamo fino in centro, a casa mia. Saliamo le scale del mio condominio e ad ogni gradino sono sempre più convinto che questa è casa mia e che posso viverci con chi voglio. Così spalancò la porta di casa e stringendo la mano di Veronica le dico dolcemente
«benvenuta nella tua nuova casa»
Non c'è bisogno di chiedere nulla a mia madre. La casa è mia. Non decide lei chi vive con me.

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