Capitolo 27

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Sergio's pov

Quando mi sveglio siamo già oltre lo stretto della manica. Siamo in Francia, vicino a Lione, dov'è previsto uno scalo. Veronica dorme con la testa sulla mia spalla e per non svegliarla rimango immobile. Dopo poco però mi viene da starnutire e la sveglio.
«mh... Sergio, cosa c'è? » mi chiede praticamente dormendo. Prima che possa dirle di tornare a dormire si è già stropicciata gli occhi e stirata le braccia.
«nulla, tranquilla » le dico anche se ormai so che rimarrà sveglia. Non si riaddormenta mai quando si stira.
Guardo l'orologio. A Cagliari sono le Tre di notte. Domani mattina dovremmo essere lì verso le undici.
«non hai fame? » mi chiede sperando di non essere l'unica
«in realtà no... Comunque vado a prenderti qualcosa»
«grazie»
Mi alzo e vado verso il vagone bar. Le prendo un tramezzino molto invitante e già che ci sono ne prendo uno anche per me. Torno al mio posto e le passo la sua cena
«vedi che avevi fame! » ride indicando il mio panino. Sorrido per gentilezza, anche se non ne ho minimamente la voglia e lei sembra averlo notato perché comincia a fare battute inutili e senza senso.
«che bella cenetta romantica, eh» oppure
«toc toc! Chi è? Il tramezzino che ti farà ingrassare di otto chili! » e cose così.
Finché poi non smette e si limita a guardarmi negli occhi con un'espressione seria e triste che riassume il vero stato d'animo di entrambi.

Veronica's pov

Dai suoi occhi, nonostante cerchi di sorridere, vedo bene che soffre.
Capisco che per farlo stare bene dovrei parlarci, ma ho paura che abbia bisogno di sfogarsi e magari non ci tiene a piangere in treno. Chiedo comunque.
«vuoi parlare? » dico seria ma dolce
«prima vedrò come sta, poi riuscirò a parlare con te, grazie. » risponde abbastanza secco. Poi mi lancia uno sguardo che sembra chiedere scusa, probabilmente per la risposta non molto amorevole( a cui non avevo fatto più di tanto caso) ha la faccia di quando si sente in colpa per qualcosa, e anche se sono sicura che sia così perché è nervoso, so che non mi piace che pensi che mi sia offesa per una piccolezza.
«ti amo» decido quindi di dirgli al posti di un banale "ehi, ti perdono" che certamente non lo avrebbe fatto sentire protetto.
«sai benissimo che vale lo stesso per me» dice abbracciandomi forte.

È ormai una settimana che Sergio passa tutta la giornata in ospedale. Torna a casa solo di sera e spesso mi sento in colpa per non poterlo supportare. Ha sempre supportato me, anche quando il bisogno era minimo. E ora che lui ha veramente bisogno non si lascia aiutare.
Apre la porta di casa ed entra esausto
«Veronica, sono arrivato » dice abbracciandomi. Gli lascio un bacio su una guancia e torno a preparare la tavola
«come va? » chiedo appena ci se diamo a tavola
«nulla di nuovo, non sembra cambiare»
«tesoro, ti prego, lasciami venire a trovarlo con te... Non posso saperti in un ospedale tutto il giorno mentre sono a casa con Nami»
«per favore, lascia stare»
«come faccio a lasciar stare? Non ti vedo mai, e quando ti vedo sei triste. Non sopporto di vederti o saperti triste! Anche se non mi porterai con te, volevo che tu lo sapessi. E ora che lo sai non è cambiato nulla» dico velocemente, il tono un po' alterato.
«non voglio che questa cosa pesi anche a te, ma... »
«come fa a non pesarmi? So che una persona a me e a te cara sta male, so che TU stai male. E non posso stare accanto ne a te né a tuo padre. Questo mi fa sentire egoista, e sentirmi egoista mi fa state male. »
«se lo vedessi ti peserebbe molto di più, credimi. Comunque, se proprio ci tieni, la prossima settimana puoi venire» sul suo volto si è disegnato un sorriso triste mentre parlava.
«andiamo a dormire, su» lo prendo per il polso e me lo tiro dietro in camera prima che pensi cose tristi.
Ci stendiamo sul letto a fissare il soffitto, poi lui rompe il silenzio
«scusa se mi sono arrabbiato... Sono nervoso, cerca di capirmi, ti prego. E un'altra cosa. Lo sai che ti amo, vero? »
«certo che lo so» gli sorrido girando mi verso di lui. Rimaniamo a fissarci negli occhi per un po', poi ci addormentiamo entrambi.

Anche oggi Sergio parte alle otto di mattina, va a lavoro, poi va diretto in ospedale e rimane fino alle otto di sera.
Rientra a casa mentre sono sul terrazzino a stendere i panni e non avendolo sentito né visto entrare, quando torno in cucina e me lo trovo davanti mi prende un colpo. Appena mi accorgo che è lui, mi viene da ridere, ma vedendo la sua faccia spenta mi trattengo.
Lo faccio sedere sul divano e mi siedo accanto a lui.
«tutto bene? » gli chiedo, immaginandomi già la risposta
«non lo so, non credo... » risponde trattenendo un singhiozzo
«tuo padre sta peggio? » chiedo ancora
«no»
«sta meglio? »
«no»
«sta sempre uguale, allora? »ho paura della risposta, che mi arriva in faccia come uno schiaffo
«no... » sussurra trattenendo le lacrime.
Stringe i pugni per non esplodere a piangere. Appena li noto cerco do fargli rilassare le mani, e appena ci riesco le occupo con le mie prima che possano irrigidirsi di nuovo.
«hai capito cosa intendevo? » chiede dopo un lungo silenzio con la voce spezzata, riferendosi al fatto che non mi ha detto direttamente che suo padre se ne è andato.
«ho capito. Solo, non so cosa dirti. Vorrei consolarti, ma non credo di potere. Vorrei abbracciati, ma non credo che cambierebbe nulla. Vorrei lasciarti piangere, è l'unica cosa che riuscirei a fare ora, ma ti stai trattenendo, quindi non so cosa fare. E non pensare che se piangerai ti reputerò debole. Non sarà mai così. » rispondo senza nemmeno pensare a quello che dico, la mia mente è spenta, sto parlando con il cuore, quindi probabilmente ho detto due parole in croce, che messe assieme non hanno senso. Invece Sergio sembra capire quello che cercavo di dire, perché appoggia la fronte sulla mia spalla e si abbandona su di me piangendo. Gli cingo la schiena con le braccia e lo lascio piangere.

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