capitolo tre -Sofia

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La mia voce rimbalzava tra le pareti e al microfono era talmente robotica e macchinosa che stentavo a riconoscerla, eppure tutte quelle persone schierate davanti a me erano lì per quella, erano lì per sentirmi, per ascoltare e forse per condividere i miei pensieri, le mie convinzioni, il mio punto di vista. Il fatto che così tanta gente si fosse radunata in una libreria sconosciuta, oserei dire, in un luogo talmente diverso da Roma o Milano come bari, solo per me, solo per vedermi, era una cosa a parer mio inconcepibile, irrealizzabile. Eppure il mio sguardo vagava tra la folla, soffermandosi per qualche secondo sui visi sconosciuti, sulle giovani donne messe in tiro, con rossetti scarlatti e completi firmati Gucci, sui bambini dallo sguardo spaesato e innocuo, su donne che avevano ormai passato da molto il fiore degli anni esageratamente truccate. Tutti i loro occhi puntati su di me, impegnati a guardare le acrobazie delle mie mani e i movimenti delle mie labbra. Le mie parole altalenavano fra timore e sicurezza, e ogni mia singola sillaba tradiva l'emozione che albergava comodamente nel mio cuore. Cercavo di acquisire decisione tramite le mie convinzioni, attraverso i miei pensieri che avevo coraggiosamente trascritto nel mio piccolo libro. La mia così bramata concentrazione venne meno proprio in uno dei momenti meno opportuni, esattamente nel bel mezzo di un mio discorso, sentii la mia voce spezzarsi e ridursi in improponibili borbottii quando riconobbi, o almeno così mi sembrò, una chioma di ricci che ben conoscevo, dal fondo della sala: Ermal meta? Giurai di veder brillare, nascosto dai capelli, il piercing al sopracciglio e disperatamente cercai di riconoscere in lui qualche altro tratto fisico ma il muro di persone frapposto tra me e la misteriosa figura me lo impediva. L'individuo X se ne stava impalato con le braccia conserte così immobile da sembrare o estremamente concentrato o addormentato beatamente.

Quando tornai con la testa a me, mi resi conto di non sapere più quello che stavo dicendo e realizzai di aver parlato completamente a vanvera negli ultimi due minuti. E se quello davvero era Ermal, chissà cosa mi aveva sentito dire!

Tacqui, respirai. Bene, Sofia. Concentrati. Ci sei quasi.

Cambia le tue stelle

se ci provi riuscirai

e ricorda che l'amore non colpisce in faccia mai!

Che le canzoni del cantante avessero preso dal nulla a vibrarmi in testa non era un buon segno.

Ermal che sorride e quando canta muove la testa e i fianchi a ritmo di musica.

Balbettai qualche sorta di scusa al microfono e chiesi dell'acqua. L'individuo X uscì dalla sala- ma io giurai che prima avesse sorriso.

Il mio treno sarebbe partito alle 10 e io ero solo due ore in anticipo. Per quanto se ne dica, la vita degli anticipatori cronici è difficile quanto quella dei ritardatari, se non di più. La presentazione era andata benino se non fosse stato per quella decina di minuti che avevo passato col cervello in blackout- scrittrice si, ma il vizio di distrarmi nei momenti meno opportuni non lo perdevo mai.

Avevo perso la concentrazione la prima volta che ero andata in bicicletta rovinando sulla strada senza dignità, mi ero deconcentrata all'improvviso durante l'esame di maturità perdendo il filo del discorso, e poche settimane prima mi ero distratta rovesciando il vino sulla camicia di quello che credevo essere l'uomo della mia vita, al primo appuntamento. L'incontro non era andato bene e l'uomo della mia vita era fuggito via, lasciandomi come una povera cenerella derelitta. Ma questa è palesemente un'altra storia.

Ed è proprio in questo momento che colleziono un'altra delle mie fantastiche figure, perchè, con la testa in luoghi paralleli ben più interessanti della terra, sono andata a sbattere violentemente contro la porta del bar in cui avevo intenzione di entrare per mangiare qualcosa di simile ad una colazione. Sospirai con rassegnazione e mi guardai attorno per contare quanti sconosciuti avevano avuto prova della mia sbadataggine, tirai un respiro e cercai -per quanto possibile- di ricompormi, riguadagnando poca della mia apparente dignità, così feci il mio ingresso nel bar come una persone comune. Quasi comune.

"Un caffè, per cortesia!" biascicai trafelata.



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