L'unica cosa che mi è rimasta di quella conferenza a Parigi è l'ansia. L'agitazione che mi travolse prima, dopo e durante l'evento fu spaventosa e rendeva tutto più difficile di quanto non fosse già. La cosa peggiore, però, era il fatto che qualunque cosa io sentissi o provassi, non potevo tirarmi indietro, anche se lo avessi voluto. E lo volevo tanto.
A ostacolarmi , oltre all'ansia da prestazione che poteva essere perdonata, c'erano i miei dolci ricordi duvuti ai problemi di cuore . Non sentire Ermal nemmeno una volta al giorno, per me, era terribile. Per lui non sapevo, credevo che di me ne sapesse fare benissimo a meno, non gli mancavo per niente. Esattamente per questo motivo -mentre Luca era tutto su di giri e il francese avevo preso la forma di una banconota- io, che dovevo essere la più felice per il mio sogno diventato realtà, non stavo per niente bene.
L'incontro sarebbe stato alle sei e mezza e quando la fatal ora scoccò, mi sedetti muta davanti alle decine e decine di persone che- con gli occhi enormi e il fiato sospeso- aspettavano solamente che proferissi parola. Cominciai a parlare con la voce incerta e dietro a me stava un traduttore che interrompeva regolarmente ciò che tentavo di dire. Un pensiero scivolò tra le sinapsi: di quando, all'ultima conferenza che avevo tenuto, il mio discorso era stato interrotto da quell'apparizione del misterioso individuo che, per sua sfortuna, non era riuscito a camuffare quella foresta scura e adorata di ricci. Sorrisi al pensiero di quel blackout e per poco non ne rischiai un secondo. D'altronde avevo sempre sofferto di nostalgia inopportuna: dettagli minimi, particolari vibrazioni dell'aria, sentori lontani di odori erano treni unici su cui la mia mente viaggiava per approdare a mete lontane dal momento corrente. A dire il vero, consideravo questo il sintomo di una patologia ben più grave e generalizzata: il romanticismo. Ed Ermal istigava al romanticismo più sordo con quello sguardo carico di non so cosa, con quelle maniere fini- e pensare che così a lungo, nella mia camera da ragazza, e poi nella mia casa disordinata da giovane donna l'avevo sognato-; Tutto in quella situazione sapeva di romanticismo e io avrei voluto essere ovunque, ma non lì, non a Parigi, non senza di lui, il mio principe azzurro: perchè si, credevo fermamente d'averlo trovato il mio uomo da favola, e mancava all'appello solo un castello e una carrozza-zucca; Ma a quelli sicuramente avrebbe provveduto il destino felice che ci attendeva.
Le parole si impastavano tra le labbra, come a corto di acqua e farina, e venivano fuori informi e difficili, dure. La mia voce, che non accennava una singola variazione, piatta, si alternava con regolarità a quella del traduttore, grigia almeno quanto la mia. Non pensavo a nient'altro se non a terminare quella disastrosa performance. Presi a parlare più velocemente, senza respiro. E pure le mie mani, che fin da bambina, avevano accompagnato i miei discorsi con danze e piroette, se ne stavano immobili e gelate, come se anch'esse, mie somme alleate, si fossero arrese a quella situazione del tutto avversa. Mangiai le sillabe senza sentirne sapore e suono fino a scandire l'ultima. Seguì un attimo di silenzio prima che il pubblico esplodesse: le prime due file si alzarono e tutte le mani si urtavano con una cadenza aritmica, facendo il rumore più fastidioso ma appagante del mondo. Mi girai incredula verso Luca e il conte francese, il traduttore, il diretto interessato per la condizione attuale: uno se ne stava ad ululare e a sbracciarsi con gli occhi a forma di euro, il francese mi stava approvando più dignitosamente, picchiandosi leggermente il dorso della mano con due dita. Possibile non mi fossi resa conto del tenore della mia performance? A quanto pareva, era proprio così. Pensavo di aver compiuto il più completo disastro ma era il disastro meglio riuscito dalla mia carriera. Luca mi corse accanto e, con la voce quasi rotta, mi comunicò che non mi aveva mai sentito parlare così ad arte. Nessuno si astenne dal chiedermi un autografo della copia del libro, una foto, una semplice- ma importantissima- stretta di mano. Sorridevo con le guance in fiamme, scrivevo, incespicavo sui piedi perchè infondo, io, Sofia, restavo io. Ripensai a quando, qualche settimana prima, mi ero tenuta lontana dalla folla che aveva investito Ermal: e quello stesso bagno di persone ora travolgeva me e io mi ispirai a lui, alla sua cordialità e sicurezza, in quella maniera tutta unica e gentile di tenere fermo lo sguardo in quello delle altre persone. Probabilmente non ci riuscii ma quando la mareggiata finì, mi ritrovai estenuata ma enormemente soddisfatta. Quella sera fu deciso che ci sarebbero state altre tre date che mi avrebbero consentito il ritorno a Milano solo a Settembre inoltrato e fu quella stessa sera che tra le mie lenzuola inviai il primo messaggio ad Ermal riportando il felice esito della conferenza. Visualizzò subito, non rispose.
Le altre tre date furono inferno. Dopo Parigi arrivarono Londra, Barcellona, Berlino, una più destabilizzante dell'altra. Io mi sentivo sempre più oppressa, chiusa in una scatola, intrappolata nel mio stesso sogno. Chi l'avrebbe mai detto. Ero esausta e ormai anche disgustata da ogni tipo di mezzo di trasporto. Il successo della mia opera era una gran soddisfazione, ma non era la mia felicità. Immaginavo continuamente il giorno del mio rientro in Italia, lo stesso in cui avrei riabbracciato Ermal. Vedevo entrambi con lacrime di gioia lungo il viso, allacciati l'uno all'altro, e fantasticavo ancora in terre ben più lontane, dove Ermal mi diceva di essere indispensabile per lui e mi proponeva un viaggio insieme seguito dalle nostre ipotetiche nozze. Bella cosa impossibile i miei film mentali, ma mi aiutavano ad andare avanti, mi facevano credere che non fossi sola e che Ermal mi stesse pensando almeno quanto lo stavo pensando io. L'idea che mi terrorizzava, che mi mozzava il fiato ogni volta che si presentava, era il fatto che lui si potesse essere scordato di me, che potesse anche non ricordarsi il mio nome o la mia faccia, che potesse aver dimenticato i giorni in cui mi aveva ospitato, o il momento in cui mi aveva incoraggiato. Era una possibilità buia, forse minima, che mi spaventava, ma era pur sempre una possibilità, che poteva benissimo mutare e introdursi nella mia vita, spaccandomi il cuore in due metà esatte.
Gli avevo inviato l'ultimo messaggio, rimasto senza risposta come gli altri sei, la sera prima di predere l'aereo per Milano. Mi sarebbe venuto a prendere all'areoporto con un fiore, un bacio e dei motivi validi per la sua assenza. Ermal poteva benissimo non trovare tempo per rispondere a degli sms ma sicuro avrebbe trovato il tempo per vedermi dopo così tanto tempo senza me.
Quando uscii dal cancello dello sbarco, lui non c'era e Milano d'autunno era desolata come non mai.
__Spazio tipe che scrivono__
ci scusiamo per l'assenza di questi giorni ma non essendo a Roma, e non avendo connessione dati e supporto digitale per scrivere, siamo state davvero impossibilitate. Vi ringraziamo per le oltre 400 views, ci fate bene al cuore!
Stasera vi vogliamo dire che abbiamo incontrato Sofia: era una ragazza che camminava distratta per il marciapiede, urtando leggermente un signore accanto a lei, con dei bellissimi capelli castani chiari, rovinati appena. Non poteva che essere la nostra dolce ragazza.
Un bacio.
STAI LEGGENDO
Sofia
Fanfiction!!!COMPLETA!!! Sentire il mondo con la stessa sensibilità. E Poi? Le parole di Sofia sfiorano in Ermal corde tese, danno ai suoi dolori una voce che non hanno mai avuto; La musica di Ermal fa danzare l'anima di Sofia, dando note dolci ai suoi affann...