Capitolo Dieci- Sofia

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Una settimana. Era passata una settimana da quella delizioziosa e disastrosa cena con Ermal. Da una settimana non lo sentivo. Io non gli avevo scritto e lui neanche, come se avessimo litigato, ma era anche peggio. Non riuscivo a realizzare che il motivo per cui non ci eravamo più parlati fosse l'imbarazzo. Semplice e puro imbarazzo. Non potevo immaginare in quel momento una conversazione con lui senza quel terribile sfondo di disagio che non poteva che essere immancabile. Io, nella mia vita, ne ho fatte di figuracce; ma quella, per la miseria, quella è stata la più brutta. Mi ero illusa, come sempre. Avevo creduto che la cosa che avevo sempre desiderato si potesse realizzare, e invece avevo beccato un palo bello grosso. Trecento all'ora, in piena faccia. I miei giorni erano un completo via vai di rimorsi e indecisione. Da una parte avrei voluto raggiungere Ermal e pregarlo senza dignità di countinuare a sentirci, perchè che lui lo volesse o no, era diventato parte anatomica del mio ossigeno.Per di più c'era anche il lavora che richiedava costante concentrazione, cosa che a me, soprattutto in quel periodo, mancava del tutto. Scrivevo due parole, ne cancellavo tre. Scrivevo Ermal nero su bianco e osservavo, sperando sbucasse dallo schermo con la stessa espressione che aveva quando c'eravamo quasi-baciati. L'editore mi tempestava di domande informandomi che il lavoro di traduzione procedeva alla grande- mentre il resto della mia vita naufragava- e che Parigi si preparava ad accogliermi.

Niente da fare, il dolore dell'abbandono, del rifiuto- quel dolore sordo che dall'amore nasce- ti trancia le gambe e poi ti urla cammina. Pativo così intensamente, come qualsiasi innamorata, che decisi di fare qualcosa di assolutamente incredibile. Qualcosa che Sofia, la cara ragazza prudente e fifona, mai avrebbe fatto. Se Ermal non veniva da me, allora sarei stata io ad andare da lui. L'indirizzo lo sapevo, era vicino a dove mi trovavo, dieci minuti a buon passo e l'avrei avuto davanti. Infondo, cos'altro avrei potuto volere?

Immaginavo quelle labbra- il loro contorno ormai mi ossessionava- sorridermi non appena mi fossi trovata di fronte a lui, quegli occhi, quelle fossette di pura gioia...

Divagavo di nuovo. Fuori sentii un cinguettio, come un invito ad uscire. Il tempo era bello e piacevole- il caldo era reso gradevole da uno strano venticello che mitigava le temperature.

L'urgenza di vederlo allora mi spinse: mi cambiai al volo la maglietta, lasciando per terra quella informe del pigiamone che mi ero sfilata, raccolsi i capelli, li sciolsi, li raccolsi. Sfiorai il fondotinta ma ricordai della sua allergia al nichel, preferii evitare- magari mi avrebbe ribaciato proprio perchè si sarebbe accorto della mia premura?

Sbrigati, Sofia. Aprii la porta della camera e volai giù dalle scale- per una delle prime volte i miei piedi non incespicarono quando ero di fretta- e in men che non si dica ero sul vialone alberato da percorrere per arrivare da lui. Abitava in un piccola palazzina storica, dietro al Duomo. Quanto veloce potevano spingersi le mie gambe? Beh, a quanto pare raggiungevano picchi di velocità notevoli se stimolate al pensiero di Ermal. Riconobbi il posto per come l'aveva descritto, mi fermai e presi un respiro profondo. La dimensione temporale sembrò dilatarsi e se per arrivare ci avevo messo 6 minuti volando, ci misi due anni a raggiungere il citofono - che cercai disperatamente ovunque. Tremai alla sola vista del suo cognome inscatolato nella carrellata dei residenti. Rimasi immobile. Tutto quello che volevo era racchiuso nel solo gesto di spostare il mio dito sul pulsante nella fascia meta. La soluzione alle mie preoccupazioni, una soluzione che poi di ansie me ne avrebbe sicuramente procurate altre. Mi stavo per decidere. Stavo finalmente per muovere la mia maledetta mano quando sono stata costretta a spostarmi per colpa di uno stupido residente che aveva deciso di uscire di casa in quell'esatto momento. Un uomo, anzi, più un ragazzo, sulla trentina, forse, ma di anni ne dimostrava molto meno di trenta. Mi sembrò piuttosto spaesato e per niente sicuro di essere al mondo, un pò come me in quel momento. Un accenno di barba gli ricopriva il viso e rabbrividii quando mi guardò con degli occhi talmente disarmanti da intenerirti. Biascicai delle scuse per essermi piazzata davanti al portone d' ingresso e lui scrollò le spalle, pronto a lasciarmi dove ero rimasta. Fece qualche passo avanti, poi si bloccò, come se avesse realizzato la più grande delle consapevolezze.

'' Sofia?'' chiese con un tono incerto quanto la sua espressione, se non di più.

mi girai guardandolo in maniera confusa chiedendomi perchè sapesse il mio nome.

''ehm...sì, sono io, ma non credo di riconoscerti. Ci conosciamo?'' chesi leggermente sulla difesa.

'' Oh,no,no. Tranquilla. Non volevo spaventarti, ecco. Solo che, ehm, cerchi Ermal percaso?''

chiese lui con un sorriso un pò finto, quasi preoccupato.

'' ma tu come....cosa...'' mi fermai, tentai di ragionare. Presi un bel respiro

'' sì, cerco Ermal. Ma tu...''

''Io sono Andrea, sono...un amico di Ermal. Puoi chiamarmi Vige.''mi interuppe lui.

'' Lui mi ha parlato di te,quando ti ho vista calzavi a pennello con la descrizione che mi ha fatto'' mi guardò, guardò a terra e mi guardò di nuovo.

'' Sì...se lo cerchi ti dico che è un pò impegnato. Sta registrando. Sono andato via proprio per quello...'' continuò con un tono di voce un pò spezzato, come se ci fosse rimasto male lui per l'ennesimo palo preso. Non so che faccia avessi fatto in quel momento,ma di sicuro non risultai felice. Sai com'è, tutti i miei piani mandati all'aria.

'' Ma se vuoi, ti offro io qualcosa, in mancanza di Ermal...'' propose lui timidamente.

Avevo ascoltato il suo monologo in silenzio sempre più in tilt, un pò perchè Ermal gli avesse parlato di me,un pò perchè mi aveva invitato a prendere qualcosa insieme, ma, nonostante tutto, accettai. Parlare con qualcuno mi avrebbe fatto solo bene.

Andrea era simpatico. Un ragazzo timido, composto. Mi parlò di come lui ed Ermal fossero diventati amici, di come anche lui sapesse suonare la chitarra e di come amasse la musica.

'' Mi dispiace per Ermal, scusalo, magari tu volevi parlargli, è solo che sta dormendo...quindi...''

rimasi interdetta dal modo in cui fosse diventato serio.

'' ma non stava registrando?'' chiesi, titubante.

'' oh...ehm, sì. Registrando. A volte mi confondo''

rise.

''ah, ti capisco'' ammisi.

La piacevole chiaccherata con Andrea mi fece dimenticare l'argomento ''Ermal'' per qualche oretta,che, comunque, risprese a tormentarmi nella quiete serale.


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