Capitolo Quattordici - Sofia

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Settembre avrebbe da lì a poco allungato le sue mani verso noi e lo si capiva bene dalla maniera in cui pioveva: avrei detto di quella pioggia che fosse nostalgica, cadeva giù e s'incollava al vetro, agli alberi, all'asfalto della Milano notturna. Erano quasi le quattro e non prendevo sonno nella camera che Ermal mi aveva riservato: mi ero rigirata un paio di volte al buio tra le lenzuola fresche e mentre ascoltavo lo scroscio romantico dell'acqua, giocavo a indovinare l'odore dell'uomo che dormiva qualche stanza più in là. Lo immaginavo dormirmi accanto, spaparanzato a pancia all'aria e io, dalla penombra della mia insonnia, l'avrei guardato al posto dello spazio vuoto che osservavo invece in quel momento. Che cosa crudele: avercelo così vicino eppure non a fianco. Quei pensieri mi turbavano ulteriormente, così, per scacciarli e non doverli sentire, mi alzai e tesi l'orecchio: nessun rumore proveniva dal resto dell'abitazione, Ermal dormiva. A piedi scalzi, proseguii verso il salotto e misi su un pentolino con del latte. Mi avrebbe fatto bene: forse non mi avrebbe fatto dormire, ma mi avrebbe calmato. D'altronde, in quelle condizioni, con la pioggia e a quell'ora tarda, il salotto del Divo aveva tutto l'aspetto di un ottimo pensatoio. Con il latte caldo, mi sedetti al tavolo. Le grandi vetrate che davano sul corso lasciavano vedere il temporale in atto: le fronde degli alberi strusciavano leggermente al vetro, provocando sibilli e scricchioli- che si univano al rumore denso dei tuoni. Parigi sarebbe stata tra qualche giorno e seppur volessi negarmelo, avevo ancora paura- e ne avevo tanta di più al pensiero che non mi sarei potuta tirare indietro, non stavolta. Per la prima volta, la prima volta in vita mia, sentii di star varcando il confine dell'età adulta: nonostante la mia sbadataggine, avevo avuto una vita tutto sommato felice, esclusi i normali alti e bassi della vita di ognuno. Ma si sa, non è la felicità che fa crescere. La felicità fa essere felici, mica adulti. Non avevo mai avuto modo di misurare me stessa in qualcosa di duro e spinoso e questa mancanza era stata palese nell'ultimo periodo: Ermal aveva avuto ragione, mi ero comportata come una bambina, messa davanti al primo ostacolo.

Fu allora che, girandomi, colsi la sua sagoma infondo al salone, al lato del divano.

"Non dormo" gli sorrisi

"Per me è normale non dormire." rispose lui, venendosi a sedere accanto a me. Osservò la tazza ancora tiepida, la prese, bevve un sorso socchiudendo gli occhi- pensai alla prima volta che l'avevo visto, in quel bar barese, angolo di paradiso- e sorrisi a quella visione.

"Hai pensieri, vero?"

Annuii. Mi passò le mani sulla testa, mi accarezzò i capelli, ridacchiando.

"Ti sta davvero bene questo pigiama."

Gli ringhiai qualcosa, un attimo prima che la sua presa sui miei capelli si facesse più salda e mi sospingesse verso di lui, verso la sua bocca. Mi guardò negli occhi- e nulla c'è di più intenso che quello sguardo visto da vicino- con un viso serio e pieno di premura, le labbra leggermente schiuse. Perchè tentennava? Cosa stava aspettando?

"Lo vuoi, Sofia?"

annuii una seconda volta e approdai timidamente al suo viso. Era un bacio che sapeva di indefinibile ma che era dolce da struggere il cuore. Si distaccò, mi fece una seconda carezza, bevve altro latte. "Ti va di parlarmi dei tuoi pensieri?"

'' Avevi ragione'' sospirai. '' Mi sono comportata da bambina''

lui mi sorrise, ancora vicino al mio viso.

'' Già'' disse teneramente. '' Ma non c'è bambina più graziosa di te.''

mi passò il pollice sulla guancia, in maniera tanto delicata da sembrare un soffio di vento. Eravamo ancora a poca distanza l'uno dall'altro, potevo tranquillamente avvicinarmi nuovamente, ma non lo feci. Ero troppo impegnata ad affogare in quella profonda sincerità dei suoi occhi, due pozzi di buio e dolcezza. I nostri sguardi erano l'uno nell'altro, a riempirsi di sottintesi ed emozioni. Ermal unì ancora le nostre labbra, così adiacenti e complete insieme, con una mano mi carezzava dolcemente il viso e con l'altra mi teneva il fianco. Io posso assicurare che non c'era posto migliore di quello. Tutto ciò che vedevo era la dolcezza, l'infinita delicatezza e sensibilità della leggiadria unica delle labbra di Ermal, del suo profumo e delle sue braccia, il mio posto felice.

Ma no, era troppo per me.

Troppo da sopportare per il mio misero cervello.

è così che impedii al mio instinto di agire dove non doveva agire, così che proibii alle mie mani di scivolare sulla pelle di Ermal, perchè io non l'avrei sofferto. Parlammo ancora un po' e tornai in camera. Me ne stavo rivolta alla finestra, pioveva ancora, dando le spalle alla porta. Mi ero stretta nelle lenzuola- quando aveva cominciato a fare così freddo?- e se prima non avevo sonno, ora ne avevo meno che mai. Non passarono dieci minuti che, dopo aver bussato leggermente, Ermal schiuse la porta ed entrò in camera.

"Non dormi, vero?"

Gli dissi no, continuando a guardare fuori. Ci fu un minuto in cui non percepii alcun rumore: poi sentii che si avvicinava al letto, si stendeva vicino a me, su di un fianco. Sentivo il calore che il suo corpo emanava ma non mi sfiorò in alcun modo.

"So che hai paura, Sofia. " sussurrava appena " Ma io nella vita, la paura a stento ho potuto permettermela. Vedi, quello che ti voglio dire è che spesso ci capita di trovarci in situazioni così grandi in cui dobbiamo agire subito, dobbiamo svegliarci e fare perchè se poco poco ci fermiamo...ecco, finiamo sotto. Capisci che dico?"

"Credo di si."

"Mi guardi, per favore?"

Mi misi sul fianco, dandogli il viso, finalmente: se ne stava poggiato su un gomito, i capelli che perdevano i loro contorni nella penombra della camera. Sembrava una sagoma venuta dal buio. Mi sfiorò con le dita la guancia e appena il collo, scrutandomi dal profondo. Mi diede un leggero bacio sulla fronte, soffiandomi una buonanotte, mentre si alzava e in silenzio usciva.

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