Capitolo Dodici- Sofia

161 10 0
                                    

Mostrai il biglietto alla hostess, mi sorrise e fece buon viaggio.

Non lo sarebbe stato per nulla. Mi sentivo come un pesce rosso cresciuto in una bolla d'acqua che viene buttato in mare: disorientato, si dimena contro la corrente, crede che questa la risucchi e spinge con la coda più forte, terrorizzato. L'editoree stava dicendo qualcosa sulla montagna di soldi che avremmo fatto ma io neppure lo stavo a sentire.

La sensazione di morbidezza che le labbra del divo mi avevano impresso sembrava tanto più un solo ricordo tanto più andavo verso l'aereo e a Parigi, ne ero sicura, sarebbe stato il solo eco. Non volevo che accadesse, avrei passato il resto della mia vita appiccicata alle gambe del riccio, se solo avessi potuto e se solo non avessi avuto una dignità da difendere.

Guardavo con un odio profondo la mia valiga, la stessa che mi ero impegnata a chiudere poche ore prima credendo di essere sicura del mio gesto. Sapevo che l'italia mi sarebbe mancata, sapevo che più di tutto mi sarebbe mancato Ermal, le sue mani di velluto che sfioravano le mie guance come fossero corde di chitarra- e quanto mi sarebbero mancati i suoi riccioli?

I sensi cominciarono a stringermi in una morsa d'acciaio che mi opprimeva il petto e stringeva tanto più i secondi passavno al vaglio. Com'è che avrebbe detto un medico? Ah, si: attacco di panico.

"Tutto bene, Sofia"

Annuii. Ormai ero quasi sull'aereo, dovevo salire la rampa di scale.

"Ho scordato un bagaglio all'ingresso, che sbadata!" articolai in tutta fretta "Lo recupero e torno subito" voltai le spalle e quasi corsi.

No, non avevo dimenticato nessun bagaglio. Più semplicemente, non avevo voglia di sprecare mesi a fare qualcosa che non mi andava di fare: la vita dura già troppo poco se la usiamo tutta.

Il mio telefono iniziò a squillare a ripetizione, e quando fu ormai partito il volo, cessò.

Guardai l'aereo decollare e gioia più grande io non decollai con lui.

Uscii dall'ereoporto e chiamato un taxi, diedi all'uomo l'indirizzo della Mescal. Avrei trovato Ermal lì: non c'era altra persona che volessi vedere.

Milano scorreva fuori dal finestrino e , illuminata dal sole delle dieci, parve quasi materna nel volermi riaccogliere nelle sue braccia. Forse sbagliavo. Forse non era poi tanto male, ma sfido chiunque: nulla al mondo può essere brutto dopo aver incontrato così teneramente Ermal, come era successo la sera prima. I miei occhi non vedevano più brutture, accecati duratamente dalla luce di Eros- pareva avessi le retine squarciate da non poter cogliere altro se non la bellezza.

"Sono trenta" disse l'uomo alla guida.

Allungai una banconota e mi precipitai fuori, dimenticandomi del resto. Entrai nell'ufficio di registrazione e probabilmente avevo tutto l'aspetto di un'invasata perchè colsi numerose occhiate di rimporvero. Passai oltre. Volevo solo vedere Ermal: era lì, dietro il vetro di una stanza, imbracciava una chitarra con fare esperto e rapito e aveva l'aria di un professionista sul suo cavallo di battaglia. Rimasi imbabolata ad osservarlo. I suoi ricci selvaggi erano più scombinati del solito e sembrava non avesse dormito. Era completamente assorto nel suo lavoro che non mi vide. Bussai debolmente al vetro. Ripetei il mio gesto più volte prima che potesse notarmi. Mi guardò con degli occhi stupefatti, che non avevo mai visto prima. Mi trascinò velocemente dentro la stanza. Non gli diedi tempo di parlare che subito gli gettai le braccia al collo, come se non lo avessi visto per mesi.

lui ricambiò l'abbraccio.

''Sofia che ci fai qui?''

chiese riberandosi dal koala che lo aveva appena assalito.

''Non parto più per Parigi'' dissi con una ingenua felicità.

'' Lo vedo che non sei più partita. Ma perchè?''

'' Perchè non voglio'' risposi con una sincera scurezza che non sembrava mia

Lui, con mia grande sorpresa, sgranò gli occhi.

''Scherzi, vero?'' disse con un tono alterato.

'' Perch dovrei scherzare? Non è giusto fare le cose controvoglia, no? Perchè dovrei fare una cosa che non voglio?''

'' Perchè hai tirato in ballo tutta la tua carriera, Sofia!'' gridò, fuori di sè.

Ci rimasi male. Ci rimasi molto male. Non credevo avrebbe reagito così.

'' Ermal...io...'' la mia sicurezza andava scemando sempre più, rotta dalla sua furia.

'' Tu cosa, Sofia? Potevi realizzare il tuo sogno! potevi diventare una grande scrittrice al livello europeo! e tu che fai? Ti tiri indietro? Andiamo, Sofia. Non puoi averlo fatto veramente. Non puoi aver fatto una simile bambinata. Sofia, le paure vanno affrontate! Non lasciate in bella vista!'' urlava, e non sembrava lui. Nei suoi occhi non c' era più ombra della dolcezza che una volta avevo scorto, c'era solo una furia immensa che mi spiazzava. Si lasciò cadere in poltrona, il pugno stretto sul manico della chitarra come su un pugnale: indovinano la veemenza della sua presa dal fatto che le nocche gli fossero sbiancate. Respirava a stento, come una bestia dopo un combattimento: abbassò lo sguardo e si riavviò i capelli. Guardò me, con lo sguardo mi linciò ancora una volta. Stavo in piedi davanti a quegli occhi crudeli, con le mani congiunte davanti alla pancia, il viso in fiamme.

"Cosa cazzo ti viene in mente.." mormorò così a bassa voce che pareva parlasse con sè. "Vai in hotel e.."

"Ermal io.."

"Tu che?"

"Non ho più la stanza dell'hotel e.."

Si frugò in tasca, mi porse le sue chiavi. "Vai da me, l'indirizzo lo sai. Fatti accompagnare da un taxi. Torno tra qualche ora."

Da quando ero entrata nel suo appartamento, mi ero seduta sul divano ed ero rimasta lì fino al suo arrivo. Non mi ero mossa nemmeno di un centimetro, e l'unica cosa che mi riusciva era piangere. Perchè sì, Ermal poteva aver ragione ma forse nessuno poteva capire come io mi sentissi: stordita e addolcita dall'odore dell'uomo che mi aveva frullato il cervello. Miseria, che situazione.

Quando sentii la chave girare nella toppa per poco non svenni. E se quei bei occhi scuri fossero ancora accecati dalla rabbia?

Una volta entrato, Ermal si chiuse la porta alle spalle e rimase sull'uscio a fissarmi, con la testa poggiata alla parete. Io non osavo guardarlo, nè osavo parlare. Ma infondo, lui ormai era perso, e qualcosa la dovevo pur dire.

'' Hai ragione. Ho avuto paura. Penso che tornerò a Roma, forse domani. Così questa faccenda sarà chiusa. Scusami, Ermal, per averti fatto perdere tempo'' dissi, con la voce spezzata da lacrime ed emozione, con lo sguardo puntato a terra.

Non lo vidi ma lo sentii sedersi accanto a me, passarmi il braccio attorno alla vita e afferrarmi un fianco tanto da farmi male. Sprofondò il viso nell'incavo tra spalla e collo e ci mise due minuti buoni prima di parlare.

"Ho reagito male, scusami. " si distaccò,guardandomi. "E' che tu sei brava, Sofia. Sei tanto brava e non sopporto " per un momento la voce gli tremò ancora dalla rabbia " Che tu possa permettere alle tue paure di offuscarti. Le tue parole fanno bene a tanta gente. E anche a me." lo stavo a guardare, incredula. Lui mi sorrise debolmente, si tolse i capelli dagli occhi "Però non dirlo più: tu non sei una perdita di tempo e non lo sei mai stata. Promettimi che ti prenderai un paio di giorni per pensare se partire o meno per Parigi."

Annuì e feci per cecare il numero dell'hotel che avevo ormai memorizzato in rubrica.

Ermal sbottò a ridere "Signorina, la casa è abbastanza grande per due. Alle volte anche per tre, visto che Montanari spesso ci alloggia abusivamente. Per un paio di giorni puoi restare."

Si era alzato e sembrava aver riacquistato il suo proverbilale buonumore. "A patto che non ci proverai spudoratante con me."

Gli lanciai un cuscino diritto in faccia "Cretino!"

SofiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora