Capitolo Undici - Sofia

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No, Milano non mi piaceva neppure un po'. E odiavo quella corsa continua in cui tutto era immerso, persino il tempo sembrava accellerasse il passo e..

Toc Toc. Due colpi nitidi alla porta della mia povera e squallida camera, che più che una camera rassomigliava sempre più alla tana di qualche bestia.E odiavo dover stare in un hotel a tre stelle, dedita al solo lavoro e a quell'odiato progetto megalomane di farmi scrivere fuori dalla mia bella Italia.

TOC TOC. E se c'era qualcosa che ancor meno tolleravo era l'insistenza dei cittadini, la loro impazienza: impazienza palese anche nel semplice bussare alla porta, senza lasciare il tempo alla povera Sofia di trovare un paio di pantaloncini da infilare al volo, per evitare di aprire la porta in mutande.

Toc toc. Tanto sarà stato qualcuno dello staff che mi avvisa con quella finta gentile impazienza che ho scordato per l'ennesima volta qualuno dei miei effetti in giro o che ho scordato la notte da pagare, probabilmente. Spalancai la porta, ringhiando tra i denti.

"Ciao Sofia."

Sua maestà mi stava davanti ma se fosse per i suoi occhi in quel momento non l'avrei riconosciuto. Gli brillavano ma erano scuri, bui, pieni di qualcosa che non saprei definire- colpevolezza, imbarazzo, confusione? Che hai, Ermal? Sorrisi, chinando la testa verso la spalla. Dovette capire subito la domanda che stavo per fargli perchè mi anticipò " Sapevo dove stavi ed ho chiesto di te alla hall. Nessuno dice di no ad un divo. " sorrise ma neppure quello bastò ad alleggerirgli il peso dallo sguardo "Avevo voglia di vederti. Spero di non aver sbagliato." Mi guardò negli occhi e lasciò che le sue occhiate scivolassero pure sul mio vestiario indecente. "No, scusa" ridacchiai "Mi cambio subito." Corsi dentro e gli chiusi la porta in faccia. Sofia, hai appena chiuso Ermal meta fuori dalla porta, dandogliela sul naso. Cazzo, cazzo, cazzo. La riaprii, lui era lì, divertito, ad osservarmi con le sopracciglia inarcate.

"Scusami, non ci ho fatto caso. Vuoi entrare mentre mi cambio?"

Senza aggiungere niente, Ermal mi scostò docilmente e si andò a gettare sul divano nell'angolo soggiorno. Io afferrai le mie cose e sparii nel bagno.

Fai come fossi a casa tua, Signor Meta.

Quando mi chiusi la porta alle spalle rimasi per minuti interi con la schiena incollata alle mattonelle fredde della parete, realizzando che alla fine, era stato Ermal a cercarmi. Un sorriso scemo comparse sulla mia faccia. Lui mi aveva cercata perchè voleva vedermi. Voleva vedermi.Voleva vedermi. Ci misi più tempo ad aprire la porta sapendo di trovarlo stravaccato sul divano che a vestirmi.Mi avvicinai a lui come fosse una creatura mitologica mai vista al mondo.

''Ciao.'' Azzardai. Lo so, non è stato il massimo, ma dovevo dire qulacosa.Mi guardò, sfoggiando uno dei suoi meravigliosi e giornalieri sorrisi.

'Hai la maglia la contrario.''

Dopo aver digerito l'ennesima figuraccia, e dopo aver messo a posto la mia maglia,Ermal mi caricò letteralmente sulla sua macchina con la scusante di '' portarmi in un posto'' .Non opposi troppa resistenza, perchè il suo tono non ne avrebbe ammessa alcuna. Guidava in silenzio e con gli occhi si beveva la strada. Arrivammo alla galleria nazionale e da dietro gli occhiali io non ne indovinavo lo sguardo e neppure disse parola per spiegarmi, lo seguivo: d'altronde la scelta non mi dispiaceva affatto, ero profondamente innamorata dell'arte perchè, da che mondo e mondo, la bellezza ci rende sensibili, ci schiude alla relaltà: esattamente come la musica di Ermal faceva con me e io, se avevo ben capito, facevo con lui. L'arte era forse il filo rosso che ci teneva uniti, che legava il mio mignolo destro al suo? Nella prima stanza, a lungo si soffermò su una statua di Venere semi-distesa. La donna di marmo era poggiata su di un gomito, sollevandosi e guardando di lato; Per due minuti contemplò la maniera in cui il marmo rifletteva la luce artificilale, soprattutto dov'era più levigato, come sulle ginocchia.

"Chi è?" sussurrò poi, senza guardarmi.

Ero lievemente in imbarazzo per lui. Come faceva a non capire? "Credo Venere."

"Quello lo so, direi. Però dico, per te chi è questa donna?"

Lo guardai con aria interrogativa. Lui mi afferrò il viso tra le mani, scuotendomi.

"dai,lasciati andare. Come se stessi scrivendo." tornò a guardarla ma ora parlava con estrema forza. "Per me questa è una donna che è scoinvolta. La sua vita sta subendo un sacco di cambiamenti e lei non vorrebbe. Perciò se ne sta lì, inerme, sul letto in questa poszione e pensa come cazzo fare. " la sua voce era diventata graffiante " Potresti essere benissimo tu." Sorrisi. Ermal stesso rendeva sensibili. La sua mente era arte e come quella ti rendeva completo.

"Mi piace questo gioco. Giochiamo?"

Mi guardò con approvazione, annuendo. "Così ti voglio."

Arrivammo a casa che era il tramonto e non c'era più l'ombra sul viso che prima gli avevo scorto. Ci fermammo davanti all'ingresso dell'hotel, ancora l'eco di una risata sulla bocca. Chissà per quanto tempo ora non l'avrei più visto. Questo era Di Ermal il dolore più grande- la sua liquidità, il suo essere inafferrabile. Avevo la sensazione mi sfuggisse costantemente dalle mani e per me, che nient'altro volevo che stringere la mia presa su di lui, era un delirio crudele.

"Beh, sono stato bene." si sporse in avanti e mi strinse contro di lui.

Dev'essere una controfigura, Ermal non lo farebbe mai.

''Domani devo partire'' Biascicai sulla sua camicia, forse ancora più indecente dei miei indumenti.

''non essere paranoica'' disse staccandosi dall'abbraccio che lui stesso aveva legato.'' tutti ameranno il tuo libro'' mormorò con una vocina patetica.con le narici piene del suo profumo nauseante e con gli occhi ubriachi di lui ci demmo la buonanotte, consapevoli che potesse essere una delle ultime volte in cui eravamo insieme. Non volevo lasciarlo così. Stupida Parigi. Mi avviai con rassegnazione verso l'ingresso dell'hotel, cercando da abituarmi che al fatto che Ermal dovesse essere solo un immagine del mio cervello, solo un ricordo.

'' Sofia'' mi sentii chiamare

Mi voltai.

L'Ermal che avevo congedato poco prima era scomparso. Ora i suoi occhi erano colmi di sicurezza, quasi di pazzia, avevo il fiato corto come se avesse corso chissà quanti chilomentri, ma stava solo prendendo coraggio. Con un gesto fulmineo, mi prese il viso tra le mani avvicinandolo pericolosamente al suo, il tempo di un sorriso soddisfatto, il tempo dell'ultimo battito in picchiata, e trascinò le mie labbra nel limbo dei baci crudeli, dati senza fiato, senza intervalli. Quando mi guardò, aveva negli occhi una quiete di mare mentre io ero un fremito ambulante.

"Rimani ancora un po', Ermal?"

Lui sorrise, mi accarezzò la spalla. "Buonanotte, Sofia. In bocca al lupo."

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