Capitolo Quindici- Sofia

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Il giorno della mia partenza era arrivato e Parigi mi aspettava a braccia aperte insieme al mio editore. Fu il mio primo pensiero la mattina dopo il sonno ristoratore indotto dallo speciale buonanotte di Ermal. Sarei dovuta partire alle quattro, e non sapevo che ore fossero in quel momento. Me ne stavo sdraiata sul letto a fissare il soffito attorcigliata nelle lenzuola. Se non altro, avrei potuto passare la mattina con Ermal. Sentivo provenire dal salone passi trascinati e suoni di tazzine, il divo era evidentemente sveglio. Il mio problema principale fu il fatto che dovessi fiondarmi nel bagno prima che Ermal potesse vedere che ero sveglia. Anzi, prima che Ermal potesse vedermi. Nessuno ha un bell'aspetto la mattina, soprattuto dopo mezza notte insonne. Dopo circa un quarto d'ora di inutili supposizioni, decisi di aprire lentamente la porta e di catapultarmi nel bagno. Ermal mi aveva indubbiamente sentito uscire- dato le mie maniere tanto delicate- ma non ebbe neanche il tempo di fermarmi. Dopo mille disperati tentativi di non sembrare Gesù risorto, mi decisi a uscire dalla mia tana.

La prima cosa che sentii fu la risata di Ermal.

''io capisco che la mattina si ha necessità di andare in bagno...ma così mi sembra troppo esagerato'' disse tra un gnigno e l'altro.

'' Dovresti ringraziarmi, Ermal. Ho cercato di risparmiarti un brutto spettacolo.'' affermai lanciandogli un'occhiataccia.

fece un ultimo sorriso.

'' Tieni'' disse passandomi una tazza.'' Per il latte che ti ho fregato ieri sera''

Sbiancai ricordando con chiarezza la sera precedente, guardai istantaneamente il pavimento e mi parve di trapassare con lo sguardo anche i piani sottostanti. Afferai timidamente la tazza e nascosi il mio continuo arrossire tra i sorsi di latte.

Ermal sfoggiò ancora il suo disarmante sorriso e si andò a stravaccare sul divano.

''Senti, dato che oggi pomeriggio parti'' iniziò.

'' e dato che tornerai tra due settimane'' si fermò mezzo secondo e mi sorrise '' ti va se ti porto in un posto?'' mi guardò, spostandosi un riccio ribelle che gli aveva ostruito la vista.

lo guardai con aria interrogativa.

'' verrai con me in studio, ti mostrerò la dura vita di un cantante superfamoso, ti va?''

gli rivolsi uno sguardo saccente.

'' oh, mi offrirai questo grande onore, come mi rendi felice, mio caro divo.''

mi lanciò un cuscino. "Muoviti"

In studio non c'era nessuno. Lo aprì lui con due mandate, si richiuse la porta alle spalle, accese il quadro elettrico e le luci illuminarono tutto.

"Siamo soli io e te, felice?" sogghignò, mentre lo guardavo di traverso. Entrò in sala registrazione: quello era il suo tempio e mi stava dando libero accesso- mi sentii come una bestemmiatrice davanti all'altrare del cristo: impura.

"Siediti in poltrona e non fare danni." sussurrò, accendendo il microfono. Ermal cominciò a cantare solo voce e la mia pelle rispose in maniera spontanea a quei suoni, accapponandosi. Le intonazioni di quell'uomo nude, senza musica e sottofondo, erano armonia esse stesse. Ermal la musica l'aveva nella voce, nelle corde vocali, come se da lui stesso, dall'armonia che era, la musica zampillasse spontanea, esattamente come l'acqua gelida dalla fonte di montagna. Ermal cantava, muovendo le mani, ad occhi chiusi perchè La musica è l'unica cosa che senti anche ad occhi chiusi perchè continua a vibrare ed era vero perchè pure ad occhi chiusi, sentivo le sue parole scivolarmi addosso e infilarmisi sotto cute. Rimasi con le palpebre abbassate non saprei dire quanto quando la melodia cessò.

Lo guardai che lui già guardava me. Sorrise e prendendo uno sgabello, lo avvicinò alla mia poltrona, e recuperata una chitarra, vi si sedette.

Le sue dita fecero cantare la chitarra e lui l'accompagnò a voce.

solo tu curi me

con le tue parole morbide

Il suo sguardo era immobile nel mio e questo faceva di me tutto un subbuglio. I suoi occhi sapevano parlare e dicevano così tante cose, tutte così delicate e dolci, che qualsiasi parola messa accanto sembrerebbe un brutto gobbo deforme. Ermal era elementare, intrinseco: non potevi spiegarlo. Come non potei, e non posso, dare parole a quello che provai ad avercelo davanti mentre, strimpellando, mi osservava tanto teneramente. Sfiorava le corde in maniera delicata e sorrideva ad ogni nota diversa, ad ogni cambiamento della sua voce.

la dolce melodia si interuppe tiepidamente.

'' tu sai suonare, vero?'' disse d'un tratto.

''Hai delle mani da pianista, le dita affusolate...''

'' all'età di 8 anni ho studiato per un pò pianoforte, poi ho smesso.'' spiegai.

non avevo neanche finito di parlare che subito lo trovai catapultato al piano.

''vediamo se ti ricordi qualcosa'' mi sorrise teneramente.

Iniziò dal fare qualche accordo, fino a suonare delle canzoni talmente docili e delicate da far piangere. Ermal era così perfetto, così reale e presente, non volevo abbandonarlo, non ora che l'avevo trovato.

La mattinata trascorse in maniera leggera e piacevole, d'altronde con la compagnia di Ermal non poteva essere tempo perso. Il mio principe azzurro mi accompagnò all'aereoporto quello stesso pomeriggio, con la scusa di '' evitare che io scappi di nuovo''. Avevo molta paura, molto di più della prima volta, e il fatto che di lì a poco avrei dovuto lasciare Ermal non aiutava. Quando ci abbracciammo per salutarci, temetti di piangere. L'odore di Ermal era ancora fresco per me, e avevo voglia di sentirlo ancora, tutti i giorni.

Quando fui sull'aereo, schiacciata tra un sedile e l'altro, mi misi a scrivere una storia impossible e irrealizabile di un amore perfetto, dando libero sfogo ai sentimenti che Ermal stesso aveva scaturito.

SofiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora