2 DICEMBRE 2038, 05:00:00 AM
Nathan's POV
Sono passati sei giorni dalla mia prigionia.
Sei giorni di buio.
Sei giorni di sbarre.
Sei giorni di oblio.
Arrivato qui, mi hanno legato ad un letto, e mi hanno iniettato qualcosa nei circuiti, con una siringa enorme.
Mi hanno detto che sarebbero serviti sei giorni per far sì che il liquido facesse il suo effetto.
Ho paura.
Non ho idea di cosa sia.
È il sesto giorno.
E mi sento diverso.
Qualcosa in me è cambiato.
I miei aguzzini hanno anche detto che oggi avrei incontrato il Dottore.
Non so cosa mi faranno.
Voglio solo uscire da qui.
Ho pianto tanto.
Ho pianto per Charlotte.
Non so se sia ancora viva.
L'ultima volta che l'ho vista, tutto bruciava intorno a noi.
Non ho saputo più nulla di lei, da quel momento.
Sono stato segregato, in questa piccola cella oscura.
Raramente vengono qui.
Mi hanno fatto visita solo un paio di volte, per informarmi di ciò che mi aspetterà il fantomatico sesto giorno.
Non sono mai uscito, dal mio arrivo.
E forse, non sono pronto a farlo.
Sono le cinque in punto del mattino.
La porta della cella si spalanca.
«Esci.» sento ordinare.
Io rimango immobile.
«Esci!» sta volta, in modo più aggressivo.
Sporgo il volto dal buio.
Vedo un uomo.
Riconosco gli occhi.
È l'uomo che mi ha sfregiato il volto.
Che ha ferito Charlotte.
Questa volta, senza passamontagna.
Provo odio crescente, più mi avvicino alla porta per uscire.
È affiancato da un secondo uomo.
Mi afferrano per entrambe le braccia, mi tengono stretto.
«Il Dottore vuole conoscerti.» annuncia il capo.
Ho una strana sensazione.
A livello del petto.
Ho i brividi.
Sento il mio corpo più sensibile.
Più vivo.
Cosa mi sta succedendo?
Sorpassiamo dei corridoi sporchi, che cadono a pezzi.
Mi guardo attorno: vecchie finestre impolverate, mobili distrutti, scritte sui muri.
Più andiamo avanti, più il luogo muta.
Il prossimo corridoio assomiglia a quello di un ospedale.
Pareti bianche, luci fredde al soffitto.
Camminiamo ancora più avanti.
Io non oppongo resistenza, sarebbe inutile.
Non posso scappare.
Siamo in un sotterraneo.
Non so dove sia collocato, o se siamo ancora a Detroit.
Quando sono arrivato qui, mi hanno coperto il volto con un sacco, per non permettermi di vedere.
Giriamo a sinistra, ci fermiamo davanti ad una grande porta a due ante, con due oblò.
Guardo l'alta porta inquietante.
Uno dei due uomini la apre, e mi buttano dentro.
Ci sono luci sparate che mi accecano, socchiudo gli occhi per qualche istante.
Appena li riapro, vedo davanti a me un letto d'ospedale.
Ci sono delle cinghie, ai lati.
Il mio cuore inizia a battere più velocemente.
La stanza è molto grande, ci sono vari tavoli con sopra degli oggetti.
Coltelli affilati, aghi, tenaglie, cacciaviti, forbici, asce, martelli, seghe, mannaie. mazze ferrate.
Strumenti di tortura.
Mi guardo intorno: ci sono macchie di sangue blu al suolo.
La mia pompa nel petto perde un battito.
Sembra il laboratorio dei vecchi manicomi di cento anni fa.
I due uomini mi spingono sul letto.
Io provo ad impedirlo, dimenandomi, ma mi immobilizzano.
Iniziano a spogliarmi.
Mi tolgono la maglietta, i pantaloni, le scarpe ed i calzini.
Poggiano i miei vestiti su un tavolino lì a fianco.
«Fa' il bravo, il Dottore sta arrivando.» mormora il capo, mentre stringe una cinghia intorno al mio braccio.
Il compagno mi blocca l'altro bracci.
Poi passano alle gambe.
A lavoro finito, si spostano ai lati del letto, guardando una porta in fondo alla stanza.
Pochi secondi dopo, si apre.
Vi compare un uomo.
Cammina a passo lento verso di me, mani dietro la schiena.
È molto alto, pallido.
Ha un camice bianco.
L'uomo al mio fianco si schiarisce la voce.
«Dottore, i nostri compagni Mike e Sam sono stati presi dagli sbirri. Ma non si preoccupi, non parleranno.»
Polizia?
Due di loro sono stati presi?
Come hanno fatto a scoprirli?
Chi li ha avvertiti?
Un barlume di speranza si accende dentro di me.
Forse Charlotte è ancora viva.
«Sono stati educati a qualsiasi tipo di tortura. Non riusciranno ad estorcere loro nemmeno una parola.»
La voce è tremolante.
L'uomo dal camice gli arriva davanti.
Lo guarda, serio.
«Verranno al più presto rimpiazzati da altri più prepara-» il Dottore lo zittisce con un pugno ben assestato nello stomaco.
«Faranno meglio a non spifferare nulla alla polizia...» sussurra, mentre l'uomo si regge il ventre con le braccia, cercando di riprendere fiato.
«O tu ne pagherai le conseguenze.»
Si gira di spalle.
«Ed ora andate.» ordina.
I due uomini escono rapidamente, lasciandomi solo con lui.
«Nathan, giusto?» dice, avvicinandosi al mio letto.
Mi arriva di fronte.
Io lo fisso, rabbioso.
«Sei un modello androide particolare, sei un pezzo raro.» annuncia, iniziando a girovagare per la stanza, con fare misterioso.
«Chi è lei? Cosa vuole da me?!»
Si volta, tornando a guardarmi, ancora con le mani dietro la schiena.
«Io sono il Dottor Martin Blaine, sono uno scienziato, e questo è il mio laboratorio sotterraneo.
Sei qui perché sei stato scelto come cavia per i miei esperimenti sui Devianti...»
Si avvicina ad un tavolo, prende in mano un dei coltellini.
«Sei giorni fa, ti abbiamo iniettato un liquido, ricordi?»
Ne accarezza la punta affilata.
«Il suo nome è "Painsaver".»
Torna accanto mio al letto, osserva il mio corpo nudo.
Impugna saldamente il coltello.
«Ed ora, scopriremo se avrà fatto effetto.»
Con uno scatto cieco, affonda violentemente la lama nella mia coscia sinistra.
Un dolore acutissimo parte dalla gamba e si propaga per tutto il corpo.
Sgrano gli occhi.
Provo un male indescrivibile, che mi fa lacrimare.
I miei muscoli si contorcono in spasmi incontrollabili.
Stringo i pugni.
Grido con tutto il fiato che ho in gola.
L'uomo continua a spingere la lama in profondità, mentre io lo supplico di smettere.
«Ti prego, toglilo! Toglilo!»
Lui mi guarda, ghignando.
Affonda ancora di più nei miei circuiti.
Sento la pressione bruciante.
Quantità ingenti di Thirium schizzano ovunque, sporcando il suo camice.
La sofferenza che sto provando non è paragonabile a ciò che dovrebbe provare un androide.
Cosa mi hanno fatto?
Piango, provando a resistere al dolore fisico che provo, invano.
Tira fuori la lama tagliente con uno scatto, lasciandomi boccheggiante, lì, legato al letto.
Prende dalla tasca laterale del camice un fazzoletto bianco, e lo passa sulla punta del coltello, per pulirla.
«Affascinante.»
Il mio pianto è implacabile.
I miei lamenti sono tutto ciò che si ode.
«Il siero ha funzionato alla perfezione.
Sei il primo Deviante ad avere una reazione così immediata, dopo solo sei giorni d'attesa.»
«Cosa mi hai fatto, stronzo?!» esclamo, mentre alzo di poco il busto e poso gli occhi sulla ferita aperta.
Posso vedere i circuiti lacerati all'interno della mia coscia.
Distolgo lo sguardo, per il disgusto.
«Si tratta del liquido che hai nel sangue.
È in grado di alterare la programmazione software di cui siete dotati voi androidi, distruggendone la barriera.»
Posa il coltello con il fazzoletto sul tavolo, e torna davanti al letto, con in mano un taccuino.
Inizia ad annotare qualcosa.
Io mi ributto sul letto, stringendo gli occhi.
Dio, quanto fa male.
«Voi Devianti siete stati in grado di buttare giù la barriera del dolore mentale.
Potete provare sensazioni, emozioni umane. Potete piangere, ridere, arrabbiarvi, spaventarvi, gioire... ma non avete distrutto la seconda barriera: il dolore fisico. Che a quando pare, è molto più debole, negli androidi Devianti, rispetto alle Macchine...»
Io fisso l'uomo, singhiozzando.
Lui fa qualche passo, arrivandomi di fronte.
«Tramite il Painsaver, gli androidi sono finalmente in grado di provare dolore fisico come la specie umana...»
Si china, arrivando con il volto a pochi centimetri dal mio.
«Dopo anni ed anni di tentativi, ho raggiunto la perfezione... non posso far altro che migliorare e diminuire ancora di più l'attesa di effetto.»
Tremo.
La ferita brucia.
È questo, che provano gli umani?
È questo, il dolore fisico?
È questa, la sofferenza?
«Sai, ho fatto una scoperta piuttosto preziosa.» inizia, non togliendomi gli occhi color ghiaccio di dosso.
«A lungo andare, se si continua ad infliggere dolore insostenibile agli androidi, essi, come difesa, arrivano a rigettare il loro stesso software deviato, tornando ad essere gelide Macchine senza emozioni.»
Il suo sguardo è freddo, mite.
«Non è meraviglioso?»
«Tu sei un pazzo.» ringhio.
Lui china la testa da un lato, osservando il mio sfregio lungo il volto.
Avvicina una mano.
Accarezza delicatamente la ferita, per poi fare improvvisa pressione con le dita, al suoi interno.
Emetto un ennesimo lamento.
Spinge le sue unghie nel taglio.
Sento i circuiti fare uno strano suono.
Simile a carne umana che si strappa.
Mi contorco dal dolore.
Fa male.
Fa male.
Fa male.
Vorrei fuggire.
Ma sono legato lì.
Poco dopo, tira fuori le dita.
Le osserva.
Sono macchiate di Thirium.
Le porta alle labbra.
Lecca il mio sangue.
Vedo la sua lingua muoversi nella bocca.
Lo assapora.
Mi sento male.
Torna a guardarmi.
«Purtroppo, non ho ancora avuto modo di confermare questa teoria, tutti gli androidi su cui ho lavorato si sono autodistrutti durante le prime sessioni....»
Lo seguo con gli occhi, mentre si aggira per la stanza, come un fantasma.
«L'ultimo Deviante che è stato qui, sì è forato il cervello conficcandosi un cacciavite nell'occhio destro, otto giorni fa.
Mi sembra si chiamasse Ralph.»
Lo ascolto, tentando con tutto me stesso di non perdere i sensi.
Continua a sgorgare sangue dalla ferita alla gamba.
«È stata una mia svista... le cinghie non erano abbastanza strette.»
L'uomo fissa i suoi strumenti sul tavolo.
Sospira.
«Charlotte mi troverà.» mormoro.
Mi gira la testa.
L'uomo sussulta.
«Che hai detto?» domanda, sorpreso.
«Charlotte!» ripeto, più forte «So che è ancora viva, verrà a cercarmi assieme alla polizia.»
Cammina rapidamente nella mia direzione.
«Charlotte, chi?»
Arriva al mio fianco.
Io lo guardo, disteso, polsi e caviglie bloccati.
Non rispondo alla sua domanda.
«Perché dovrei dirtelo?»
Lo fulmino con gli occhi.
Lui, in uno scatto, colpisce la mia gamba sanguinante con un pugno, provocandomi un dolore lancinante.
«Cazzo!» impreco, stringendo i denti.
«Charlotte, chi?!» domanda di nuovo, aggressivo.
Non voglio dire il suo nome.
Ma devo farlo.
Il male è insopportabile.
Qualcuno mi aiuti.
«Blake!» urlo, «Charlotte Blake!»
Un'altra lacrima riga la mia guancia.
Perdonami.
Martin indietreggia di colpo.
«Tu sei l'androide di...»
Si porta una mano alla bocca.
Sembra sconvolto.
Pochi istanti dopo, torna serio.
«Allora è così che stanno le cose...»
Schiocca le dita.
La porta dietro di lui, da dove è entrato poco prima, si spalanca.
Entra un equipe di due donne e tre uomini, vestiti da infermieri.
Trainano un macchinario enorme, munito di un braccio meccanico di ferro.
Due uomini si avvicinano con dei fili collegati ad una macchina più piccola.
Me li attaccano tramite delle ventose su tutto il corpo nudo.
Sulle gambe, sul ventre, sul petto, sulle braccia, sul volto.
«Cosa mi state facendo?!» urlo, nel panico.
«Ti stiamo attaccando dei sensori, per tenere sotto controllo il tuo livello di stress. Non vorremmo che ti autodistruggessi prima di avermi dato i risultati che mi aspetto...»
Si avvicinano gli altri tre infermieri, allungano il braccio meccanico alla mia testa.
È grande, e spaventosamente doloroso.
«Aiuto! Aiutatemi, per favore!» urlo, dimenandomi come un matto.
«Nessuno può sentirti, qui. Nessuno può trovarti.»
Dice il Dottore, facendo un passo verso di me.
«Nemmeno la tua piccola, dolce Charlotte.»
Fa un ghigno.
Si allontana di poco, tornando con le mani dietro la schiena.
Un uomo accende il macchinario, poggia la punta del braccio meccanico sulla mia fronte.
Fuoriescono rapidi fulmini di elettricità.
Gli altri mi tengono fermo.
Lui mi guarda, freddo.
Distaccato.
«Buonanotte, angioletto.»
Le mie grida strazianti sovrastano il suono acuto di 500 volt che attraversano il mio corpo.
Il mio pianto disperato riecheggia nella stanza, come il lamento di un condannato a morte.
L'energia è tale da causare dei cali di tensione.
Le mie urla non cessano.
Le mie lacrime continuano a scendere.
Finché, non mi azzittisco di colpo.
Tutto tace.
Tranne per il rumore della corrente elettrica, che continua a causare spasmi sul mio corpo privo di sensi.
Su quel letto di tortura.
Sono solo.
In trappola.
Per sempre.
Nessuno mi sentirà.
Nessuno mi aiuterà.
Nessuno verrà a salvarmi.
Né ora.
Né mai.Spazio autrice:
Spero che il capitolo di introduzione a Nathan vi sia piaciuto :3
Fatemi sapere cosa ne pensate~
Al prossimo capitolo,-Fran//Machine
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My Light || Detroit: Become Human
Fanfiction[COMPLETATA] - Un androide ed un'umana. Diversa specie, diversa vita. Uniti da una promessa. Per sempre. «Lo salveremo, te lo giuro.»