d i c i a s s e t t e: "sei la mia Luce, ricordalo sempre"

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5 GIUGNO 2039, 16:07:52 PM

Northville è una cittadina del Michigan, a circa quaranta minuti da Detroit.
È celebre per la presenza, in periferia, di un ospedale psichiatrico, ormai in disuso.
È stato chiuso nell'anno 2002, ed ora si trova in stato di totale abbandono.
Leggende dicono addirittura che sia infestato dai pazienti deceduti, e da quando sono piccola, sento storie terrificanti su quel manicomio.
Il taxi si ferma su una strada ghiaiosa, in mezzo ad un vastissimo campo di erbacce.
Scendo, l'auto si allontana poco dopo, lasciandomi sola nel nulla.
Guardandomi attorno, noto ergersi a circa cento metri di distanza, un palazzo gigantesco con decine e decine di finestre, si estende per lunghezza.
Eccolo, penso.
Lì dentro c'è Nathan.
Comincio a camminare in direzione dell'edificio, sempre più determinata.
Oggi avrei portato quell'androide in salvo, a qualunque costo.
È la mia missione.
Ma mille pensieri e sensazioni attanagliano la mia mente.
Mi distraggono, mi fanno riflettere.
Darei di tutto per poter stringere un'ultima volta Connor fra le mie braccia, ripetergli all'infinito quanto io lo ami.
Sono spaventata da ciò che potrà succedere, dai pericoli che mi troverò davanti.
E se fosse troppo tardi?
E se Nathan fosse morto?
Scuoto la testa, per scacciare quel pensiero orribile.
Connor sarebbe in grado di mandar via le mie paure.
Ma non è qui, non deve essere qui.
È una missione destinata a me, devo farlo io, da sola.
Le vite di Connor ed Hank mi stanno a cuore più di qualunque altra cosa.
E saperli al sicuro, protetti, ignorando ciò che sto facendo, è tutto quel che desidero.
Avanzo, facendomi strada tra rovi ed arbusti.
Più vado avanti, e più cresce in me l'innata sensazione di essere osservata.
Mando occhiate a destra e sinistra, ma non vedo altro che quel vasto territorio fantasma.
Alzo gli occhi al cielo, che lentamente, viene nascosto da una coltre di nubi grigie.
Alla mente, fa ritorno anche un altro ricordo inerente a prima alla centrale, che mi turba non poco.
Il bacio con Gavin.
Mi sento in colpa per averglielo dato?
Forse un po'.
Avrei certamente preferito baciare le labbra del mio fidanzato, ovvio.
Ma quello era l'unico modo che avevo per lasciarmi passare: dare alla bestia la sua carne.
Sapevo che avrebbe funzionato, ne ero certa.
Ma io, per Gavin Reed, non provo nulla.
Il mio cuore appartiene ad un androide detective, e lo sarà per sempre.
Al di là di come finirà tutto questo.
Se il bacio veloce scambiatoci quella mattina, prima che lui andasse a lavoro, sia stato o no il nostro ultimo.

Giungo di fronte al palazzo.
È imponente, estremamente grande, quasi mi turba.
Molte finestre sono rotte, ci sono vetro e macerie al suolo, tutto potrebbe cadere in pezzi da un momento all'altro.
Lì, anni addietro, vi erano rinchiusi malati di ogni tipo.
Uomini a cui fu sottratta la libertà, per diventare pazienti e cavie di dottori più psicopatici di loro.
A vederlo, sembra un ospedale uscito dal più terrificante di tutti i film horror.
Il vento soffia, grida.
Sembra che mi stia urlando di tornare indietro, di mettermi in salvo, mentre mi avvicino alla lugubre porta d'ingresso.
La spingo, si apre con un cigolio.
Entrando, noto subito alla parete davanti a me una tabella di sughero, con affissi vecchi fogli ingialliti, avvisi o annunci.
Su uno di loro, rovinato dal tempo, c'è scritto in grandi caratteri:

Psychiatric Hospital of Northville, since 1952.

O, a detta di molti, l'Inferno in terra.
Al mio fianco ho una porta chiusa, probabilmente la hall.
Non l'avrei aperta, sarebbe stato inutile.
Se qui tengono Nathan, lo avranno nascosto per bene.
Devo andare avanti.
Sento l'ansia salire, mentre mi volto verso i bui corridoi che ho su entrambi i lati.
Ci sono delle indicazioni attaccate alle pareti.
Su quella a destra c'è scritto "mensa".
Scruto la via, notando con un pizzico di timore, che la strada è bloccata dalle macerie di un muro crollato.
Non posso passare per di là.
Mi giro a sinistra, dove mi viene indicata la strada per i dormitori.
Faccio un respiro profondo, mentre osservo quel lungo corridoio oscuro che può celare una qualsiasi minaccia.
Faccio un passo in quella direzione, poi un altro.
Una porta a sbarre di metallo nero mi blocca la strada.
Un tempo, veniva chiusa a chiave, ed era un modo per isolare i pazienti dal resto del mondo.
Solo gli infermieri potevano attraversare quella soglia, per raggiungere le cellette dove era rinchiusa la gente.
La spingo, si apre senza troppa difficoltà, emettendo un suono quasi straziante.
Avanzo, fino a ritrovarmi in mezzo a quel tunnel, sono ormai lontana dall'ingresso.
Davanti a me vedo solo muri distrutti, vari fogli sparsi a terra, porte scardinate o mobili impolverati, in mezzo alla via.
Il corridoio è illuminato da una finestra che si alterna ad un'altra circa ogni tre metri, sulla sinistra.
Le pareti sono macchiate di spray di bombolette colorate, vi sono vari graffiti e scritte che non sembrano avere un senso, lasciate dai vandali che visitano questo posto.
A destra ci sono le porte per le singole celle.
Passo in rassegna le varie stanze, buttandoci l'occhio man mano che avanzo verso la fine del corridoio, che sembra eterno.
Molte camere sono chiuse, altrettante sono aperte: all'interno noto dei letti singoli, certi in ordine, altri ridotti a brandelli. Ci sono scritte ossessive sul muro, tavoli, sedie, oggetti gettati al suolo, tra la polvere.
Rabbrividisco, mentre sento nuovamente una presenza palesarsi alle mie spalle.
Mi giro di scatto, cuore in gola.

My Light || Detroit: Become HumanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora