19 AGOSTO 2039, 09:25:06 AM
Mi chiamo Charlotte Blake, ho 22 anni, e sono in coma da settantaquattro giorni.
Si dice che, di solito, chi è in coma cada in un profondo sonno vuoto, in cui l'unico senso funzionante è quello dell'udito. In determinati casi, si è infatti in grado di sentire ciò che proviene dall'esterno: voci, rumori, senza però poter reagire in alcun modo. Altre volte, invece, è un continuo ed eterno sognare e creare con la mente, un sogno che può durare anche decenni.
Io, da quando sono addormentata, non ho mai sognato, sono sempre stata vigile ed in allerta, sempre in ascolto del mondo.
Sono immobile in un letto d'ospedale, nutrita tramite un tubo di plastica.
Rinchiusa dentro un corpo distrutto, un corpo che sarebbe dovuto morire su quel maledetto tavolo della cella oltre due mesi fa, ma che per qualche motivo a me sconosciuto, respira ancora.
Ho un polso ingessato, numerose fasciature sull'addome, e molti punti di sutura sulla testa.
Ogni giorno Hank viene a trovarmi, mi porta fiori, pupazzetti, vestiti puliti.
Spesso è seguito da Gavin.
Mi parlano, raccontano la loro giornata, i casi a cui stanno lavorando, poiché ormai sono diventati partners temporanei, data l'assenza di Connor.
Hank piange spesso quando è qui, mi accarezza il viso, e prega che io mi possa risvegliare presto.
Ciò che desidero io, invece, è che mi possa definitivamente spegnere.
Adagiarmi fra le braccia del Tristo Mietitore per la mia ascesa negli Inferi.
Aspetto, e aspetto, e aspetto.
Ma ogni giorno sembra uguale al precedente, ed uguale al successivo.
È una fastidiosa e ripetitiva routine.
Potessi, strapperei i tubi che mi tengono in vita, e mi lascerei andare.
È così inutile, è tutto così inutile.
La vita non mi interessa più.
Ma qui, mi costringono a viverla, a tenere duro, ma sono stanca.
Sono stanca.«Buongiorno, Cha.» esordisce Hank, entrando nella mia camera d'ospedale.
Accosta la porta alle sue spalle, ha in mano un mazzo di roselline rosse.
«Come stai oggi?» domanda, sapendo che non otterrà risposta.
Fa qualche passo verso di me, insicuro.
Posa i fiori sul tavolino accanto al mio letto, dove giaccio ad occhi chiusi, sotto una sottile coperta, seppur sia piena estate.
Si avvicina alla sedia posta di fronte al materasso, prende lo schienale e la sposta poco più indietro, per sedersi.
Fa piuttosto fatica a fare anche i più piccoli e normali movimenti, ultimamente. È dimagrito di molto, ed ogni giorno la puzza di alcool che emana si fa sempre più forte. Persino il colorito della pelle è cambiato: ora è più pallido, sembra un fantasma. I suoi capelli grigi sono visibilmente più lunghi e spettinati, ed i suoi occhi, Dio, i suoi occhi.
Ogni giorno sono più vuoti, ogni giorno più spenti, persi.
Ha delle occhiaie nere spaventose sotto essi, da quanto non dorme?
Quell'uomo si sta distruggendo con le sue stesse mani, anche lui come me, sembra aver irrevocabilmente perso la voglia di vivere.
Dopo la morte di Cole, aveva trovato in Connor e me due figli da accudire ed amare con tutto se stesso.
E Connor ed io, un padre. Una figura di riferimento, da seguire, rispettare.
Ora, Hank ha perso entrambi.
È di nuovo solo, a fare i conti con i mostri del passato che infestano il tuo cuore.
Semplicemente troppo, per lui.Il suo sguardo si sposta di colpo sull'anellino d'argento a pietra blu, che mi regalò Connor per il mio compleanno mesi prima, quando la nostra vita si teneva ancora in piedi.
È anch'esso abbandonato sopra il tavolino di fianco, a prendere polvere dal mio arrivo lì.
Quell'anello stette al mio dito per tutto il tempo: fu con me quando torturai Mike, fu con me a Northville, quando persi Connor, fu con me in quella cella della prigione, dove trovai la Morte.
Hank fissa quell'oggetto che gli ricorda il suo amato Connor, contraendo leggermente le labbra in una smorfia di somma tristezza, poi torna a guardarmi.
«Ieri Gavin ed io siamo tornati al manicomio.» comincia, piuttosto agitato, fatica a stare fermo sulla sedia.
«Abbiamo controllato da cima a fondo, per l'ennesima volta, ma non c'è traccia del laboratorio...»
Ovvio Hank, è sottoterra!
È tutto inutile.
Non lo troverete mai.
Non così.
Si abbandona ad un lungo sospiro.
«Connor è ancora nelle mani di quel pazzo.»
Nega lentamente con la testa, in un'amara risata, sprezzante.
«Dopo tutti questi anni...»
Dopo tutti questi anni, cosa, Hank?
Cosa sai?
Si porta una mano alla fronte, inizia a massaggiarsi le tempie, in silenzio.
Rialza il volto dopo qualche secondo, fissa la finestra aperta, alla parete sulla destra, poco lontana da noi.
Entra una fresca brezza estiva, che smuove i suoi capelli ed i miei, sciolti lungo le spalle.
«Ho parlato con un infermiere ieri sera.» continua voltandosi, mi guarda con i suoi stanchi occhi azzurri, un tempo espressivi, vivi.
Ha due righe rossastre che partono dai lati degli occhi fino alle guance, non passano inosservate.
Piange molto, per me. Piange disperatamente, per ore intere, senza sosta.
Piange fino a crollare a terra svenuto, a causa della quantità d'alcool in corpo con cui si distrugge ogni giorno di più.
Ogni giorno, è sempre peggio.
«Mi ha aggiornato sulla tua situazione: il polso è quasi completamente guarito, e presto ti toglieranno il gesso.»
Ha un'espressione abbattuta in volto, di chi si è arreso.
Di chi non ha più nulla da perdere.
Ma nonostante questo, prova ad accennare un piccolo sorriso.
«I punti dietro la testa e sulla guancia dovranno rimanere per ancora un paio di settimane, ma le ferite sono in via di guarigione.»
Getta gli occhi sul pavimento, li assottiglia.
«Per quanto riguarda le quattro costole fratturate, ha detto che servirà ancora molto tempo...»
Alza lo sguardo sull'elettrocardiogramma al mio fianco, che monitora costantemente il mio battito cardiaco, che risulta piuttosto regolare.
Si morde il bordo del labbro inferiore, volto mite.
«Quella testa di cazzo ti ha fatta a pezzi.»
Ascolta silenzioso il mio cuore, con l'angosciante terrore che possa da un momento all'altro cessare di battere.
«Ma non ti preoccupare, ha ottenuto ciò che meritava... si è beccato vent'anni ed è stato trasferito alla prigione di Reentry.»
Non che faccia differenza, dopotutto.
La sorte di Sam Lane non mi interessa.
Hank e Gavin mi hanno trovata in una pozza di sangue, quella notte, con le mani di quell'uomo strette al mio collo, su cui ora ho un segno violaceo che non accenna ad andar via.
Non c'era battito, il mio cuore si era fermato per mancanza di ossigeno, ed il mio sangue continuava a fuoriuscire dalla preoccupante ferita alla testa.
Mi hanno ritrovata morta.
Sono stata portata d'urgenza all'ospedale più vicino, e sottoposta a diverse operazioni per salvare il mio polmone destro, che rischiava la perforazione a causa di una costola rotta che gli premeva contro, oltre ovviamente ai gravi danni alla laringe, che risulta tutt'ora danneggiata irreversibilmente.
La situazione era disperata, Hank mi ha raccontato di essere deceduta altre due volte, quella notte: la prima fu sul tavolo di quella cella, poi in seguito alla rianimazione, appena arrivata in ospedale, ed infine poche ore dopo essere stata portata nella mia stanza, per un'insufficienza respiratoria.
I dottori combattevano per tenermi in vita, il mio corpo combatteva per spegnersi.
E questa maledetta volta, la medicina ha vinto.
Sono entrata in coma in seguito alla mia crisi, le vie respiratorie erano di nuovo ostruite.
Ancora una volta, venni salvata ad un passo dal baratro.
Caddi in quel sonno profondo, che a detta dei medici, sarebbe potuto durare numerosi mesi, se non anni.
E nei casi peggiori, sarebbe maturato in morte cerebrale.
Ma in ogni caso, ero ancora viva.
Almeno per ora.
Hank, dopo oltre due mesi, continua a parlarmi ogni giorno, nel vano desiderio di una mia reazione, che non sarebbe arrivata.
Perché continui a sperare, Hank?
«Ho domandato anche riguardo il tuo risveglio, ma continuano a dire che le possibilità di guarigione sono molto basse, seppur non nulle.»
Perché continui ad illuderti?
Sospira ancora, sfregando le mani fra loro.
«I dottori non capiscono un cazzo.»
Il suo tono si fa freddo, cinico.
«Ti risveglierai, Charlotte, non preoccuparti. Ce la farai.»
Oh, Hank, quando capirai che non voglio più svegliarmi?
Quando capirai che tutto ciò che desidero è morire?
Porta il busto in avanti, allunga un braccio ed afferra la mia mano abbandonata sul lenzuolo bianco.
Il mio polso buono è attaccato all'ago di una flebo in alto a destra, il mio corpo è pallido e molto più magro rispetto a quello di mesi fa, quando la mia esistenza non era ancora andata a rotoli.
Stringe le sue dita alle mie, immobili e piuttosto fredde.
«Scusami per tutto, piccoletta.»
I suoi occhi si fanno lucidi, ma non scendono lacrime lungo le guance.
«Quando avevi bisogno di me, io non c'ero. È solo colpa mia, se ora ti trovi qui.»
Stringe più forte, portando anche la seconda mano sulla mia.
Mi osserva, concentrandosi sul mio volto all'apparenza rilassato.
«Non avrei dovuto permettere tutto questo.» continua, con un accenno di pianto.
«Spero tu possa perdonare questo vecchio ubriacone.»
Accarezza le mie nocche, piuttosto sporgenti, tremante.
Abbassa il busto, posa delicatamente la testa sulla mia coscia, mi guarda dormire.
Ha nel cuore una tempesta implacabile, che sa di rammarico, di impotenza.
Dinnanzi a cotanta perfidia, all'infelicità.
Dinnanzi ad una figlia costretta in un letto d'ospedale, al pensiero di un figlio disperso e torturato, ed al ricordo del suo vero bambino, che potrà riabbracciare solo una volta varcate le porte dell'aldilà.
«Il mio compito era proteggerti, è questo che mi chiese.»
Chi? Chi lo chiese?!
Morde il labbro fino a farlo sanguinare, in un vano tentativo di sopprimere le sue lacrime.
«Ho fallito, ho fallito in tutto.»
Di cosa stai parlando? Dimmelo.
Parla Hank, sono stufa dei segreti.
Voglio chiarezza.
Di colpo, qualcuno bussa alla porta socchiusa della stanza.
Entra Gavin, sguardo serio.
Al seguito c'è Emily, che richiude la porta alle sue spalle.
Hank rialza la testa, colto di sorpresa.
Si volta a guardare i due, che si avvicinano a testa bassa verso il letto.
«Hank, ci hanno chiamati per un altro caso.» inizia Gavin fissando l'uomo, non abbassa gli occhi su di me nemmeno una volta.
Che stia soffrendo anche lui?
Se non sono ancora morta, è anche per opera sua.
Una parte di me lo ringrazia, un'altra si dispera.
Sono bloccata. Bloccata in un corpo passato oltre, ma la mia mente è ancora qui, tra i viventi.
Incatenata ad una vita che non vuole più vivere.
Cos'è peggio, la frustrazione dell'essere sopravvissuta?
O l'incapacità di morire?
Cos'è meno sopportabile?
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My Light || Detroit: Become Human
Fanfiction[COMPLETATA] - Un androide ed un'umana. Diversa specie, diversa vita. Uniti da una promessa. Per sempre. «Lo salveremo, te lo giuro.»