Leonardo da Vinci: la ricerca di un mondo perfetto
In quello stesso periodo Milano era appena scampata alla peste, un fantasma che aleggiava ancora nel cuore dei suoi abitanti. Il mercato allestito nella piazza, solitamente ebbro di suoni e colori, era ora deserto. Le persone erano terrorizzate all'idea di subire un minimo contatto: la morte poteva giungere sotto le spoglie di un ratto ammalato, di un fanciullo che chiedeva l'elemosina, non era cosa prevedibile.
-Nonostante il drammatico momento, la vita e la speranza aleggiavano comunque per la città.
Da qualche tempo il famoso pittore Leonardo da Vinci era giunto sotto ordine di Lorenzo il Magnifico, fautore di diplomazia con le altre signorie italiane tramite la diffusione dell'arte: i maestri fiorentini venivano infatti inviati inviati in tutta Italia come rappresentanti del patrimonio artistico di Firenze. La sua partenza era stata quindi necessaria per consolidare l'alleanza politica tra Milano e Firenze.
Il pittore era giunto con in dono una lira d'argento creata per il duca Ludovico Sforza, soprannominato il Moro, il quale si era offerto come protettore riconoscendo le sue innumerevoli doti. A Firenze possedeva una nuova bottega proprio di fronte al Duomo, in cui viveva e insegnava l'arte della pittura usando i garzoni più belli come modelli per i dipinti. Era noto infatti, che il pittore fosse attratto non soltanto dalla bellezza della natura e dell'anatomia, ma avesse una predilezione per i corpi maschili, edera consapevole che questo fatto creava delle voci sul suo conto anche se non gli interessavano più di tanto, poiché queste non facevano altro che aumentare il suo prestigio e allettare le curiosità delle persone.
D'altronde, chi oltrepassava la soglia della sua bottega lo faceva sempre con una sorta di stupore e meraviglia, e non solo per i dipinti all'interno.
«Sembra di aver oltrepassato il cancello dell'Eden», dicevano. E ciò che Leonardo desiderava era proprio questo..Ormai erano otto anni che l'uomo non faceva ritorno a casa.
Milano era una città che nel tempo aveva imparato a comprendere e apprezzare, nonostante non fosse la sua Firenze dove aveva lasciato il cuore.
Leonardo si trovava spesso a passeggiare per le sue vie della città incompleta solitudine, confondendosi tra la gente comune, cosa che gli riusciva bene grazie a un volto ancora poco conosciuto.
Da tempo il pittore provava un senso di frustrazione, tuttavia quel giorno era ancora più intensa. Da qualche giorno era al lavoro su commissione di Ludovico il Moro, per un ritratto che raffigurasse la sua amante Cecilia Gallerani. Aveva avuto l'onore di conoscere la donna di persona e apprezzarla per la sua bellezza e grazia, ma anche per i suoi modi sinceri e genuini, un pregio che la nobiltà raramente possedeva. Gli era bastata solo un'ora per disegnare il ritratto e spennellare le prime tinture, dopodiché lo aveva abbandonato in un angolo della sua bottega, in compagnia di molti altri dipinti lasciati incompiuti. La verità era che da tempo Leonardo non si sentiva ispirato, era come se la sua mano si muovesse meccanicamente, mentre il cervello e soprattutto il cuore erano assenti. Il risultato era per lui insoddisfacente; creava degli ibridi armoniosi da un punto di vista del colore e della tecnica, ma privi di quell'anima che tanto ricercava.
Non erano mai abbastanza.
Sentiva necessario un cambiamento, un qualcosa che avrebbe risvegliato in lui il desiderio, e quella mattina era determinato a trovarlo più del solito. Era uscito infervorato dalla bottega, osservandosi intorno, come se il corpo e la mente lo stessero avvertendo che quel preciso giorno era necessario gettarsi nella città milanese inebriandosi dei suoi profumi e colori.
Leonardo passò l'Arengo e il Duomo, deciso a dirigersi presso la piazza centrale dove si svolgeva il mercato mattutino. Sentiva che lì avrebbe qualche soggetto interessante, magari un volatile ingabbiato di cui amava studiare l'anatomia, o un ragazzetto che avrebbe potuto ispirarlo per un futuro putto.
Quel giorno, il sole bruciava più del solito. camminò spedito e a testa bassa, giocherellando con la borsa di denari che aveva appesa alla cintola mentre ripensava con nostalgia a Firenze. Gli mancavano quei giorni di spensieratezza. A Milano era circondato da lussi e onori, ma anche da falsità e adulazioni della borghesia, e iniziava a temere che fosse stata colpa del suo ingresso nella nobiltà se si era spenta la fiamma dell'ispirazione.
Osservò il cielo azzurro privo di nuvole, perso nei propri turbamenti fino a quando venne richiamato alla realtà da una voce:
«Maestro, quale grande sorpresa!»
Leonardo si trattenne dallo sbuffare e roteò gli occhi esasperato. Si voltò, riconoscendo il conte Tadiolo. Il conte non era proprio quel tipo di uomo che si potrebbe definire in salute: magro quasi all'eccesso, con dei fini capelli neri che ricadevano sulle spalle spioventi, un naso importante e un mento sfuggente.
Gli occhi sottili e cerchiati, guizzavano spesso da una parte dall'altra senza mai soffermarsi suchi aveva di fronte, un particolare che Leonardo non amava. Quell'uomo gli rammentava un brutto corvo.
Tuttavia, la bruttezza era inversamente proporzionale al suo amore per l'arte. Leonardo avrebbe preferito passare quel giorno in compagnia dei suoi soli pensieri, tuttavia sarebbe stato scortese non conversare con il conte. Trattenendo un sospiro, si sforzò di sorridere.
«Mio caro conte come mai da queste parti?»
«Vi stavo cercando, maestro Leonardo!» gli disse l'uomo, avvicinandosi.
«Quest'oggi han fatto ritorno dalle vacanze estive la famiglia dei Della Padella, non so se ve ne rammentate». Fece una pausa eloquente in attesa di ricevere un segno da parte dell'artista, che tuttavia non arrivò. Non si lasciò scoraggiare e gli posò una mano sulla spalla, continuando a parlare. «In ogni caso, la signora è da sola a causa degli impegni del marito e per combattere la noia è solita passeggiare per la città assieme al figlioletto Giacomo. Ma l'altro giorno, maestro, è successa una cosa incredibile. Ho ricevuto la signora e il figlio nella mia tenuta, ma non erano soli: vi era un altro bambino con loro, figlio di una famiglia di contadini. Maestro voi sapete quanto io come voi ami discorrere dell'arte e del bello. E quel ragazzino! Seppur con abiti da contadinotto e le scarpe spaccate, aveva un meraviglioso aspetto al pari di un angelo. Una pietra grezza che nelle vostre mani potrebbe diventare un diamante!»
«Non ho bisogno di altri garzoni di bottega ma vi ringrazio per la vostra offerta.»
Leonardo liquidò con un gesto della mano l'offerta dell'uomo, ma l'altro non si fece scoraggiare e gli si avvicinò ancora di più, con la voce ridotta a un sussurro come a confidargli un segreto.
«Maestro, so bene che il ragazzo non potrà mai prendere in mano un pennello e men che meno dipingere, ma sono sicuro che il suo viso potrà esservi utile e che il suo corpo, una volta sviluppato, potrà rappresentare una bellezza senza confronti. Fidatevi di me.»
Era la prima volta che il duca si dimostrava tanto insistente e questo smosse la curiosità del pittore. Arricciò il naso, insospettito. «Davvero è così bello? Più di tutti i miei garzoni?»
«Di chiunque io abbia mai visto» asserì il conte annuendo. «Riccioli ramati, occhi grandi e pelle candida... Maestro Leonardo, sono sicuro che se vedeste questo ragazzino con i vostri occhi, allora non esitereste un attimo a prenderlo come vostro modello. Alla famiglia non potrà che fare bene se il figlio si prende tale impegno, potrà vivere con più agi se gli viene tolta una bocca da sfamare»
Quell'ultima affermazione, lasciò il pittore con le spalle al muro.
La gente sapeva del suo passato familiare; un figlio illegittimo vissuto per un periodo nella povertà e salvatosi da quella vita solo grazie alle sue capacità artistiche. Ora il conte gli stava chiedendo di salvare un bambino da un triste destino e permettere a una famiglia una vita più agiata. Leonardo sospirò sconfitto «Va bene conte, se lo dite voi allora acconsento a incontrarlo. Ma non voglio feste o pranzi sfarzosi: verrà direttamente nella mia bottega alle dieci in punto, fra due giorni.»
I due uomini si strinsero la mano e iniziarono a camminare lungo la strada che portava alla piazza del mercato. Sebbene avesse accettato l'offerta, tuttavia Leonardo non nutriva speranze in merito alle promesse dell'amico. Sentiva che sarebbe nuovamente rimasto deluso, quel ragazzino sarebbe stato un altro soggetto imperfetto e pertanto inutile alla sua arte. Riceverlo nella bottega sarebbe stato molto più semplice per lui: avrebbe potuto rifiutarlo inventandosi qualche scusa, dedicando al ragazzo un bozzetto che avrebbe poi regalato al conte o, magari, buttato tra le mille scartoffie nella sua stanza.
A Leonardo non importava granché.
Non poteva sapere quanto in realtà quell'incontro avrebbe inciso sulla sua vita, non avrebbe mai pensato quelle cose. In quel momento la delusione e la noia albergavano nel suo cuore, come una tempesta che temeva non si sarebbe mai dissolta.
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L'apprendista del pittore
RomanceNel lontano 22 giugno del 1490, il maestro italiano del periodo rinascimentale Leonardo da Vinci portò nella sua bottega, all'interno della Corte Vecchia, un giovine sconosciuto che corrispondeva al nome di Gian Giacomo Caprotti. Nonostante il nuovo...