Un destino già scritto

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 Era come se quell'incontro tanto atteso fosse già avvenuto in un altro mondo e tempo.


Come se anche allora avesse incrociato quegli occhi celesti, rendendoli la ragione della propria esistenza. Nonostante tentasse in ogni modo di rammentare l'origine di tale pensiero non riusciva proprio a trovare una risposta. Eppure quelle iridi parevano così conosciute alla sua mente come ai suoi sogni.
Gian Giacomo non era mai stato un credente nonostante la sua educazione glielo imponesse, eppure per la prima volta si ricredette.


Era talmente preso da quei pensieri da non essersi nemmeno presentato al Maestro fiorentino, anche se nessuno degli altri  pareva averci fatto caso.
Soltanto il pittore continuava a cercarne la figura a ogni suo movimento, scrutandolo al punto da farlo sentire vulnerabile.
Una volta superati i saluti e i convenevoli, Leonardo da Vinci si staccò dalla conversazione per avvicinarglisi e di fronte a lui si inginocchiò, in modo che i loro volti fossero alla stessa altezza.
Gian Giacomo si impose di restare immobile come una statua e non distogliere lo sguardo, sperando che quell'agonia terminasse in fretta.
Dopo un tempo infinito reso ancora più pesante dal silenzio e da tutti gli sguardi che li fissavano, l'uomo si mosse.


Gli porse una mano « Piacere di conoscerti, il mio nome è Leonardo Da Vinci»

La sua voce sembra quella di un'artista, pensò scioccamente Gian Giacomo: soave e delicata con l'accento tipico fiorentino.
Ricambiò la stretta, timido e in silenzio. La madre del suo amico gli lanciò un'occhiataccia per questo, ma al pittore il suo silenzio non parve dare fastidio.
«Mi perdoni maestro». La madre di Giacomo si fece avanti con riverenza, seppur non nascondesse il fastidio del non essere lei il centro dei pensieri del pittore.
«Ha intenzione allora di accettare l'incarico che le ho commissionato?» Leonardo si volse sorpreso. Soltanto in quel momento parve ricordarsi che oltre a loro vi erano altre persone all'interno di quella dimora.
« Ah, si certamente»


Riportò nuovamente la sua attenzione verso Gian Giacomo. Allungò una mano egli sistemò un ricciolo scomposto dietro l'orecchio, un gesto che fece rabbrividire il bambino. Incuriosito a sua volta, Gian Giacomo osò allungarsi a sua volta per sfiorare la barba incolta del pittore in un punto in cui il blu ciano ne colorava i peli dorati. Fu allora che la madre di Giacomo perse la pazienza e si intromise tra di loro: con grandi falcate li raggiunse sollevando le pesanti gonne e afferrò rudemente la spalla del bambino nascondendolo dietro di sé.
«Arrivederci maestro. Verrò dopo domani nel vostro studio
 Senza attendere risposta scomparve in un turbinio di fronzoli color crema, portando via con sé i due ragazzini. 


 Quando fu sicuro di essere rimasti soli, il Conte Tadiolo gli si avvicinò complice con un sorriso sul volto scarno e la voce emozionata.
«Allora, Maestro Che ne pensate?»
Leonardo da Vinci continuò a fissare il punto in cui Gian Giacomo era scomparso dalla sua vista. Ripensò ai boccoli ramati, ai grandi occhi nocciola e a come la vita lo  avrebbe trasformato. Rispondendo al conte, non si sorprese di come la sua voce uscisse tremante.


«Meraviglioso»

***
Gian Giacomo aveva fatto ritorno a casa, quando due settimane dopo i Dellapadella gli diedero la notizia di persona.
Adesso correva lungo le strade erbose di Oreno, singhiozzando. Poteva ancora sentire il pianto della madre e le grida irate del padre che gli ordinava di tornare indietro ed eseguire gli ordini. É un grande onore, aveva detto, dovresti esserne fiero invece che metterti a piangere come un bambino.
Appena tornato a casa aveva raccontato ai genitori e le sorelle invidiose della meraviglia di Milano; eppure adesso che i Dellapadella gli avevano detto che si sarebbe dovuto trasferire per sempre lontano da casa, Milano gli sembrava un luogo di torture e supplizi. Sua padre aveva subito acconsentito; il grande pittore Da Vinci ha richiesto mio figlio!
Cosa poteva importargli del pianto di Caterina e le proteste del figlio?


Tradito, abbandonato. Ecco cos'era.

Venduto.

Conscio che ogni protesta non avrebbe portato a nulla, si era voltato ed era scappato lungo i campi di Oreno, e ora correva sempre più veloce lontano da quell'inferno, nonostante il fiato ansante e le gambe doloranti. Fece il suo ingresso nel bosco lontano dal villaggio e solo allora si concesse di fermarsi. Il verde rigoglioso dominava tutto, nascondendo il villaggio alla sua vista. Soltanto una debole luce di sole filtrava fra le foglie degli alberi. Piangendo si fermò, osservandosi intorno e non riconoscendo il posto dove si trovava.

Meglio così, pensò, almeno nessuno mi troverà mai.


Asciugò il moccio con la manica della camicia e si sedette sull'erba. Alzò le ginocchia e avvolgendo le braccia attorno, nascose il volto.
Si concentrò sui battiti frenetici del suo cuore e sul suo respiro. Aveva smesso di piangere e nel suo petto restava solo una cocente delusione e amarezza.
Come avevano potuto fargli questo? Aspettare che lui tornasse col cuore pieno di gioia e voglia di raccontare, per poi acconsentire a non rivederlo mai più.
Erano così desiderosi di non averlo più fra i piedi? Era stato così cattivo?


I suoi occhi si riempirono di nuove lacrime ma lui le scacciò via con rabbia.

Non avrebbe mai e poi mai pianto ancora. Nessuno di loro meritava le sue lacrime.
Si stese nell'erba con le braccia e le gambe aperte e i suoi occhi corsero a scrutare il cielo di un intenso azzurro e privo di nuvole. Quella particolare tonalità di celeste gli ricordò il colore degli occhi del pittore e stupidamente si sentì arrossire.
Una volta sua mamma gli aveva raccontato che i pittori erano in qualche modo degli "stregoni" perché erano in grado di far apparire delle meraviglie nelle tele che dipingevano. Forse era questo il motivo per cui non riusciva a smettere di pensarci: anche a lui aveva fatto un incantesimo.

Da quel fatidico incontro, Gian Giacomo lo aveva sognato spesso. Erano sogni illogici e privi di logica, dove l'uomo gli parlava. A volte lo sognava visibilmente invecchiato, con la barba lunga e candida come la neve.
Chissà cosa avrebbe pensato la mamma se gli avesse raccontato che davvero i pittori erano anche degli stregoni e entravano nei sogni degli altri ogni notte.
Con questi pensieri intesta si assopì.


Si risvegliò che il cielo aveva iniziato ad imbrunire. Il sole calante bruciava sul suo viso accaldato.
Il senso di vuoto lo colpì nuovamente: dove sarebbe andato? Cosa avrebbe fatto da quel momento in poi? Voleva restare a casa per sempre e non abbandonare sua mamma, tuttavia questo era quello che il destino aveva scelto per lui. Non aveva provviste, non aveva un luogo dove andare o dove stare. Incapace di trovare una qualsiasi risposta alla fine si rassegnò.
 Tanto valeva dunque, tornare con la coda tra le gambe a casa.


Almeno per l'ultima volta.


L'apprendista del pittoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora