12) Una parola detta piano

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«Sei il mio campione! Sapevo che presto ce l'avresti fatta, piccolo!» dire che Niall gli aveva rotto un timpano, era poco.
Lo aveva chiamato quella sera dopo la gara e lo aveva riempito di complimenti, di commenti su tutta la corsa - come se lui non l'avesse vissuta e avesse bisogno davvero della telecronaca... - e di parole piene d'orgoglio. Già, sentirgli dire chiaramente: «Sono orgoglioso di te, piccolo Valeryera stata la cosa più soddisfacente di tutte.
«È stato solo il fattore pioggia. Se Jonah non si fosse fermato, non avrei vinto.»
Elaja non sapeva perché fosse arrivato a quella conclusione, ma Niall si era arrabbiato comunque.
«Stronzate. Hai fatto una gara splendida. Lo avresti battuto anche se non si fosse fermato. Perché sei migliore di lui. E si vede proprio nei momenti peggiori, quando ci sono di mezzo fattori fastidiosi come la pioggia. El, se non riesci veramente a batterlo, è solo perché pensi di non riuscire a batterlo. È solo un limite mentale.»
Ecco. Quello era il suo psicologo personale. Il suo consigliere, il suo mentore, suo fratello, il suo migliore amico. Niall aveva ragione. Forse. O forse no.
E poi qualcuno gli era saltato addosso, quasi sulle spalle e per poco il telefono non gli era cascato giù dal parapetto del terrazzo. Elaja stava lì da solo, a guardare il panorama e a godersi la sua chiamata, quando qualcuno aveva deciso di rovinare tutto.
«Ma sei scemo?» non sapeva neanche chi fosse, ma lo aveva già insultato.
«Grazie, piccolo. Sei molto gentile, cazzo.»
«No, Niall... non parlavo con te. Scusami. Parlavo con...» voltò la testa per incontrare gli occhi del suo meccanico. «Con l'idiota di Nick.»
«Andiamo a festeggiare? No, non te lo sto chiedendo. Andiamo a festeggiare!» praticamente glielo urlò, facendolo gemere esasperato. Niall rise dall'altra parte.
«Ni, aiutami.»
«No, piccolo. Hanno ragione. Va a divertirti. Te lo meriti.»
«Oh, andiamo.» piagnucolò, mentre Nick gli tolse il telefono dalle mani e urlò: «Ciao, Niall!» per poi chiudere la chiamata al suo posto.
Infine, fece al suo pilota un sorriso gigante. «I ragazzi sono già di sotto. Va a metterti una camicia e andiamo a fare baldoria. Muoviti.»
E a Elaja non restò che fare come gli era stato detto. Dieci minuti ed era pronto, con un paio di jeans e una camicia nera sbottonata e forse un po' troppo trasparente. Ma al diavolo, ogni tanto era giusto così. Anzi, una volta che fu di sotto, Harry allungò la mano e si premurò di far uscire dall'asola anche un altro bottone. Elaja lo guardò in silenzio, roteando gli occhi ma lasciandolo fare.
«Harry, non corrompere il bambino.» lo ammonì Louis, facendo ghignare l'ingegnere.
«Aspettate, prima di andare, io ho una condizione.»
Tutti si voltarono a guardarlo. Elaja non si perse il modo in cui Nick aveva sollevato gli occhi al cielo. «Sentiamo.» aveva pure borbottato.
«Voglio andare al McDonald's.»
E i lamenti e le proteste si levarono da tutti.
«Andiamo, El. Sono solo schifezze.»
«Il tuo personal trainer ti ucciderà.»
«E se poi ti senti male?»
Elaja emise un grugnito e poi uno sbuffo. «Andiamo, ragazzi. Ho vinto. E non mangio lì da un secolo. Fatemi felice. E poi verrò con voi in qualsiasi stupido pub.»
Un sospiro generale. Come si poteva dire di no a quel faccino? Sembrava un cucciolo. E tutte quelle lentiggini sul viso erano perfette per sembrare ancora più tenero.
«E poi non lo chiedi più per i prossimi due mesi.» lo additò Harry.
Elaja cercò di trattenere una smorfia. Due mesi? Non sarebbe riuscito a mangiare sano per due mesi di fila, senza neanche un piccolo sgarro. Ma se serviva per andare in quel momento, non gli restava che annuire.
Come se mettesse su qualche grammo di troppo, dopotutto. Elaja mangiava sempre come un lupo affamato e si giustificava tutte le volte con il fatto che dovesse crescere ancora.
Beh ad essere sinceri non lo aveva più fatto da quando, durante uno dei pranzi in hotel, Jonah gli aveva detto: «Se speri che ti cresca il pacco mangiando, non è così che funziona.»
Il più piccolo aveva spruzzato l'acqua che stava bevendo praticamente ovunque.
Ad ogni modo, il suo metabolismo era fin troppo veloce e se davvero avesse smesso di abbuffarsi, avrebbe potuto anche perdere chili, visto quanta energia e sudore consumava dentro la sua trappola preferita. E quello non sarebbe stato di certo un bene. Ecco perché aveva un personal trainer e un nutrizionista che lo controllavano per bene. Caspita, neanche Niall ai suoi tempi era così complicato.
Lasciando perdere tutto, comunque, in qule momento era contento. Perché aveva appena vinto e poteva spendere tutti i soldi che voleva per il suo cibo spazzatura preferito.
Era ridicolo avere attorno un Louis che non mangiava e un Harry con una tristissima insalata. Solo Nick aveva ceduto. Per solidarietà, aveva detto. Giusto per non lasciare da solo il suo pilota.
Una volta usciti da lì, si erano diretti verso uno dei pub più vicini e più carini. Era ridicolo il fatto che Elaja andasse ancora in giro con il cartone delle patatine? Ne aveva prese due porzioni, una come antipasto e una come consolazione finale.
«Vuoi buttare quelle schifezze?» gli aveva intimato Louis, ma il pilota non se ne sarebbe sbarazzato fino a quando non sarebbero state completamente finite. Anche a costo di portarle dentro al locale, proprio come effettivamente aveva fatto.
Nick gli aveva messo un braccio intorno alle spalle e gli aveva urlato sopra alla musica: «Offri tu?»
Ecco cosa significava per loro festeggiare la vittoria: il suo team che si sfondava di birra e alcool con i suoi soldi, mentre lui continuava a mangiare patatine e a bere aranciata. Ogni tanto si sentiva veramente un bambino, ma se lui poteva anche pensarlo, nessuno doveva definirlo tale. Nonostante tutti lo facessero, a partire da Niall, sua sorella, Harry e perfino Jonah.
Il pilota più grande, però, lo faceva solo per ricordargli ogni sacrosanta volta di essere uno scricciolo in confronto a lui. Ecco perché era più fastidioso degli altri.
Elaja voltò la testa quando qualcuno si lasciò cadere sullo sgabello vuoto accanto al suo: ecco, proprio un esemplare di Jonah Wislow in carne ed ossa. In pantaloni neri e camicia dello stesso colore, in total black insieme alla bandana tra i capelli.
Il rosso riuscì a non squittire quasi per miracolo. Da quando erano tornati in hotel dopo la gara non si erano nemmeno incrociati. E per Elaja era stato un bene, perché non voleva neppure parlargli. Era stato stronzo in pista ed Elaja si sentiva... offeso.
Ma quando Jonah ricambiò lo sguardo e gli fece quel sorriso che... oddio, per fortuna era seduto o sarebbe caduto a causa delle gambe tremanti... ecco, dopo quel sorriso, qualcosa cambiò immediatamente dentro di lui. Fottuto di un Wislow.
«Patata?» chiese come se fosse la cosa più normale del mondo, allungando la mano con il cibo verso l'altro pilota.
Jonah si morse il labbro e scosse la testa. «Non mi piace la patata, piccolo. Pensavo l'avessi capito ormai.»
Ecco come fare arrossire Elaja per bene. Dopotutto era facile, no?
«Che stai bevendo?» chiese il più grande, quando capì che non avrebbe ricevuto risposta. Elaja si era appena ficcato le ultime due patatine in bocca e aveva fatto una smorfia, prima di afferrare il bicchiere e scolarsi metà bevanda.
«È aranciata? Andiamo, scricciolo... Non c'è alcool lì dentro, vero?» e si mise a ridere, gettando perfino la testa indietro.
Elaja si fermò a fissare le vene su quel collo... e il pomo d'Adamo. Oddio, perché faceva così caldo lì dentro?
Doveva distogliere lo sguardo prima che Jonah tornasse a puntare gli occhi su di lui, ma era difficile.
«Mi devi dire una cosa, però. Hai qualche strano patto da pilota con te stesso? Del tipo...» e si avvicinò un po' troppo, tanto che Elaja riusciva a sentire il suo respiro sul proprio collo. «Niente sesso, niente alcool?» le labbra del più grande erano a pochissimo dall'orecchio di Elaja. «O sei semplicemente astemio?»
«L-la...» deglutì. «Seconda.»
Riuscì a trattenere un gemito, ma non un sospiro quando Jonah poggiò le labbra fredde - o era Elaja ad essere bollente? - sotto il suo lobo.
Ed ecco che quel bacio lo riportò quasi alla realtà.
Il rosso lo allontanò con le mani e schizzò in piedi.
«Elaja, dove vai? Aspetta!»
Non voleva essere seguito da quell'idiota. Voleva solo che gli stesse lontano. Le parole di Nick - a proposito, dove diavolo erano finiti quei tre? - gli rimbombavano nella testa: "Vuole solo attirarti nella tela".
Elaja si voltò di colpa e per poco Jonah non gli andò addosso. «Devi lasciarmi in pace!»
«Ma che ti ho fatto? Anzi, sono qua perché volevo farti i complimenti per la gara.»
Ed ecco che Elaja ribollì internamente. Come faceva ad essere così ipocrita?
«Ficcateli dove non batte il sole i tuoi complimenti falsi.» esclamò, puntandogli un dito contro il petto.
«Non sono falsi.»
«Ma se pensi che io abbia vinto soltanto per fortuna...» un nodo si stava formando lentamente nella sua gola.
Jonah aggrottò le sopracciglia. «Non è quello che penso.»
Credeva che Elaja fosse così stupido?
«Sei solo un ipocrita. Che non riesce ad accettare il fatto di aver commesso un errore in pista mentre io no. Che non riesce ad accettare che io abbia vinto. E non so di preciso cosa tu voglia fare adesso, ma... vaffanculo, Jonah. Non devi fingere con me per scopi sporchi, devi solo lasciarmi in pace.»
Jonah lo afferrò per il polso, fermandolo.
Il più piccolo sentì una scarica elettrica partire dalla mano e percorrere velocemente il resto del corpo.
«È solo che...»
«Non voglio nemmeno ascoltarti.» Elaja si allontanò con uno strattone e riprese a camminare, senza dare la possibilità all'altro pilota di continuare.
Solo che Jonah era testardo e continuò a seguirlo fin dentro al bagno dalle luci soffuse del locale.
«Lasciami in pace. Devo pisciare.»
«Devo anche io.» Jonah si mise all'orinatoio accanto e abbassò la cerniera dei pantaloni. I suoi occhi erano comunque fissi su Elaja, la sua testa palesemente voltata verso di lui. E il più piccolo non aveva il coraggio di tirarlo fuori con quello stronzo che lo fissava.
«Che cosa vuoi, Jonah?» chiese con voce tremante, voltandosi a sua volta verso di lui.
Nonostante la musica che veniva dall'esterno, riuscivano a sentirsi chiaramente. C'erano solo loro due lì dentro.
Elaja sentì gli occhi scuri del diavolo vagare sul suo corpo. Scendere dal suo viso verso la sua camicia aperta, fino alle gambe fasciate dai pantaloni aderenti.
«Te.»
Una parola. Un sussurro.
Perché una parola, anche se detta piano, può cambiare tutto.
Elaja non fece nulla quando il più grande lo afferrò e lo spinse contro al muro del bagno. Era come se non stesse capendo che cosa stava succedendo. Sapeva solo che il corpo di Jonah era spinto contro il suo. Talmente vicino da sentire il forte profumo del primo pilota della McLaren. Poteva percepire il membro duro di Jonah contro lo stomaco.
Il più grande infilò una mano sotto alla camicia di Elaja e poi affondò il viso nel suo collo. Il rosso rabbrividì quando le labbra di Jonah gli lasciarono una scia di baci sulla pelle. Per poi fermarsi in un solo punto. Elaja si irrigidì, mentre l'altro si stava impegnando a succhiare e a lasciargli il segno.
"Ha avuto solo fortuna".
"Se vinci ti scopo".
"Non cadere nella sua tela".
Jonah gemette nel momento in cui Elaja lo allontanò con forza e iniziò a colpirlo sul petto con entrambi i pugni chiusi.
Il più grande cercò di fermarlo, ma era inutile. I suoi occhi si spalancarono quando Elaja scoppiò a piangere.
«Scricciolo...»
«Lasciami in pace.» urlò, evitando che Jonah lo avvolgesse con le braccia come stava per fare e rompendo ogni contatto. Jonah fece solo un passo laterale ed Elaja, non più messo al muro, uscì dal bagno.
Le lacrime continuavano a scorrere sul suo viso e i singhiozzi a scuotergli il petto. Non incrociò nessuno fino all'esterno e si mise a correre. Raggiunse l'hotel in pochi minuti e ringraziò di avere la card per aprire la porta della camera nella tasca dei jeans.
Diavolo, non riusciva a smettere di piangere. Si infilò nel bagno e si costrinse a guardarsi allo specchio. Piegò la testa di lato e il segno rosso divenne immediatamente visibile. Si era lasciato fare un succhiotto da Jonah.
Stava per avere un attacco di panico? O forse era solo il pianto disperato. Le sue unghia stavano cercando di grattare via il succhiotto, procurandogli solo dolore e facendo ancora più casino sul suo collo. In quel modo non avrebbe risolto nulla.
Si fermò, mettendosi le mani sul viso e poi lasciandosi cadere per terra.
Dio... Perché era così stupido?
Si raggomitolò sul tappeto del bagno e si mise le braccia sulla testa. La felicità della vittoria era sparita, la gara di quel giorno ormai lontanissima.
Fu proprio lì e in quella posizione che si addormentò, troppo sfinito da quel pianto incontrollabile.
E fu in quel modo che Jonah lo trovò circa un'ora dopo. Serrò la mascella e si abbassò. Lo prese in braccio con facilità. Elaja era talmente stanco che non si svegliò neanche, sospirò soltanto nel sonno e poggiò la testa contro il petto dell'altro pilota. Jonah lo poggiò delicatamente sul suo letto e rimase a guardarlo per qualche secondo. Sapeva esattamente ciò che stava provando dentro di sé. Ma non aveva la minima intenzione di ammetterlo. Dispiacere. Delusione. Era talmente insopportabile, difficile da gestire, che fuggì da quella stanza. Non poteva dormire lì quella notte. Non dopo quella cazzata.
Scese le scale e qualcuno lo afferrò per la camicia.
«Dov'è Elaja?» Louis sembrava incazzato. E lo era.
«In camera.»
«Che diavolo gli hai fatto, Wislow?»
«Niente...» e poi si liberò dalla stretta. «È lui che ha fatto qualcosa a me.» dichiarò prima di dirigersi di nuovo verso l'esterno dell'hotel.
Louis si girò a guardarlo mentre si allontanava. Il meccanico aveva una strana sensazione che gli annodava lo stomaco. Ed era convinto che da quel momento in poi le cose si sarebbero complicate. Sarebbe stato un disastro. Un cazzo di totale e maledetto disastro.

My Dream Is You (Spinoff Ad Alta Velocità)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora