One shot

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Ciao a tutti!
Come state? 💖
Vi chiederete come mai io stia scrivendo proprio qui (ok, facciamo finta che ve lo stiate chiedendo veramente) ma mi sono ricordata di una one shot che ho scritto l'anno scorso e che non ho mai pubblicato, sempre ambientata nel Principato di Monaco ma dopo gli eventi della guerra contro Re Leonard. Non mi sembra giusto tenerla solo per me, quindi ve la presento e spero vi piaccia. Un bacio 💖


Eterno ritorno

La nave partita dal porto di Portsmouth arriva sulle coste francesi, lanciando l'àncora e avvinghiando le corde alla banchina.  Il ponte levatoio viene abbassato mentre il fumo continua ad abbandonare la grossa nave che ha salpato le acque della Manica.
Scendo velocemente, seguito da Jonas, il mio accompagnatore, che si trascina dietro la pesante valigia. Mi guardo intorno, assaporandomi quei primi raggi di sole prima che la luce diventi insopportabile. Sollevo il cappuccio sulla fronte mentre Jonas aspetta al mio fianco, appoggiandosi la valigia ai piedi. La gente mi passa accanto, ignorandomi, portandosi dietro cestini in vimini e mantenendosi le gonne lunghe in cui i piedi inciampano. Vedo una carrozza parcheggiata poco più avanti, così mi avvicino e intanto infilo la mano nella cinghia del pantalone. Mi fermo ai piedi del cocchiere, schiarendomi la gola per catturare la sua attenzione. Sostengo in mano il sacchetto di monete, facendole tintinnare tra loro. L'uomo abbassa lo sguardo su di me, sollevando un sopracciglio. Si solleva il cappello sulla fronte magra, su cui si intravedono alcuni capelli bianchi. Sbatte le palpebre un paio di volte. "Mi dica" risponde in francese.
"Un viaggio per Monaco. Grazie" dico, allungando il gruzzoletto. L'uomo lo prende, sentendone la pesantezza. Se lo infila all'interno della giacca.
"Accomodatevi, è un lungo viaggio" dice, preparando in mano le briglie dei cavalli scuri. Abbasso il capo con rispetto, salendo sulla carrozza e aiutando Jonas a far salire la valigia. Una volta seduti sui sedili coperti di velluto, il cocchiere scuote le briglie e inizia a scorrazzare per quelle strade piene di francesi e turisti venuti dal mare.
Dopo tre giorni di viaggio, intorno alle sei del pomeriggio la carrozza ci lascia finalmente a Monaco, all'interno del villaggio. Salutiamo il cocchiere e attendiamo sul ciglio della strada che il signor Tomlinson ci venga a prendere.
"Siete stanco, Altezza?" chiede Jonas, con delle leggere occhiaie sotto gli occhi scuri.
Scuoto la testa, "Non più di tanto. Appena torniamo a palazzo puoi andare tranquillamente nelle tue stanze. Hai già fatto molto per me."
Jonas abbassa il capo mentre la nuova carrozza arriva lungo la strada. Louis si blocca esattamente di fronte a noi, abbassando le braccia sulle gambe. Saluta con un cenno del capo. Il suo viso è increspato in un sorriso, le rughe sono evidenti intorno alla bocca e agli occhi azzurri e la pelle resa scura dal sole. I suoi capelli sono striati di grigio sui lati. "Bentornato, mio signore" dice, stringendo gli occhi azzurri per i raggi che arrivano direttamente dalla linea dell'orizzonte.
"Grazie, Louis."
"Spero sia andato bene il lungo viaggio di ritorno."
"Altroché" rispondo, aprendo lo sportello e facendo salire Jonas con la valigia pesante. "E' stato anche molto rilassante."
"Ne sono felice." Appena lo sportello viene chiuso, Louis scrolla le briglie e fa procedere i cavalli lungo la salita, scorgendo pian piano tratti del castello ricostruito. Le bandiere svettano sulle cime delle torri, i cancelli sono chiusi e gli alberi ne costeggiano il perimetro. Guardo fuori dalla finestrella, sentendo gli scossoni della strada. Gli zoccoli dei cavalli calpestano il terriccio e aumentano il ritmo non appena varcano il cancello principale appena aperto. Louis gira intorno alla grande fontana allestita nel mezzo del cortile e si ferma di fronte il grande portone di ingresso. Scendo dalla carrozza, lasciando lo sportello aperto per Jonas. Gli sfilo la valigia dalle mani, permettendogli di tornare nelle sue stanze. Due guardie poste all'ingresso mi si accostano, accompagnandomi verso il portone aperto e trascinandosi dietro la valigia. Saluto Louis con un rapido gesto della mano e varco l'ingresso. Amanda mi passa avanti con della stoffa in mano. La cuffietta è sollevata sulla fronte, i suoi occhi si gettano immediatamente su di me. "Bentornato, signore" saluta, andando dall'altra parte della stanza. Esteban istruisce nell'angolo delle nuove cameriere che sono in trepidazione sui loro talloni e guardano estasiate i dipinti della famiglia che ricoprono i muri nella sala centrale. Ammirano quello mio e di mia sorella, lasciandosi scappare dei commenti e delle risatine. Esteban, con i capelli bianchi ai lati della testa, le ammonisce, facendole girare verso di me. Mi abbasso il cappuccio della giacca, scoprendo i miei capelli biondi.
"Salutate il principe, signorine."
"Salve, Vostra Altezza" dicono in coro, stringendo le labbra.
"Buonasera a voi, mademoiselles" rispondo, spostando poi lo sguardo sulla grande scala che conduce ai piani superiori.
Mi avvicino agli scalini di marmo, sentendo alcune cameriere indicare poco delicatamente verso l'alto e lasciare trasparire alcuni gridolini di agitazione. Abbassano tutte il capo rispettosamente mentre mia madre appare in cima alle scale, appoggiandosi al corrimano in marmo bianco. "Liam!" dice a voce alta, mentre le ragazze alla mia destra dicono in coro "Vostra Maestà", salutando la regina.
Amanda mi si accosta e appoggia le mani sulle mie spalle, invitandomi a sfilare la giacca scura.
"Ciao, mamma" rispondo, vedendola scendere rapidamente le scale. Il vestito color prugna scivola delicatamente sui gradini mentre si avvicina sempre di più a me. Quando appoggia i piedi per terra mi abbraccia forte, stringendomi al suo petto.
"Sono così felice che tu sia tornato."
"Sono stato via solo tre settimane" dico, alzando gli occhi al cielo.
"Com'è andato il viaggio?" chiede, scostandosi da me. I capelli scuri sono sollevati in una strana acconciatura sulla nuca, una tiara é incastrata sulla fronte e un collana pesante le circonda il collo. I suoi occhi scuri sono contornati da piccole rughe e le occhiaie evidenti sulla sua pelle pallida.
"E' stato bellissimo" dico, mentre Amanda si allontana con la mia giacca in mano. "La regina Vittoria mi ha ricevuto subito e ha molto apprezzato i tuoi doni. In più Londra è più bella di quanto avessi potuto immaginare. Pensa, se fossi rimasto lì per un paio d'anni avrei visto l'inaugurazione del Tower Bridge. E' così.. grande, mamma. Perché non commissioni opere del genere anche qui?"
Mia madre Margot, regina di Monaco, prende un ampio respiro. "Il nostro regno è grande quanto tutto il territorio londinese, non servono collegamenti di così ampia portata."
Alzo gli occhi al cielo, mentre mi lascia una carezza sul viso. Mi passo una mano tra i boccoli biondi, sentendo dei sospiri dall'altra parte della stanza. Sollevo un sopracciglio, guardando le cameriere che vengono rimproverate da Esteban per l'ennesima volta. "Che succede?" chiedo, superando mia madre che sale più lentamente le scale.
"Ti trovano bellissimo, ovviamente. E hanno ragione."
"Mamma, smettila."
"Ma è la verità!"
"So perfettamente che è la verità" dico, sentendo chiaramente mia madre alzare gli occhi al cielo. Da questo punto di vista le assomiglio moltissimo. "Mi imbarazza solo sentirtelo dire. Non vorrei che le donzelle si ingelosiscano."
Guardo mia madre scuotere la testa. "Dove vai, ora? Devi salutare tuo padre."
"Certo" rispondo, iniziando a salire le scale ogni due gradini, fermandomi di fronte la porta in legno massiccio della biblioteca. "Dammi solo qualche minuto.."
"Liam, non darle fastidio!"
"Solo un attimo" rispondo, mentre abbasso la maniglia ed entro silenziosamente nella stanza. In punta di piedi attraverso tutta la zona centrale, arrampicandomi sulla scala che conduce all'ala est. Mi nascondo dietro le varie librerie, guardandomi sempre le spalle mentre una voce sottile inizia a giungermi alle orecchie. Mi fermo, spostando un libro e guardando attraverso lo spazio vuoto. Mia sorella è seduta alla sua scrivania, con il capo chino sul libro aperto e le mani che le sostengono la testa. Stringo le labbra e rimetto a posto il libro. Mi fermo al limite della libreria, prendendo un ampio respiro, poi mi giro e faccio un salto, comparendo sulla scena esattamente affianco alla scrivania. "Ciao!" esclamo.
Mia sorella Alice scatta in piedi, urlando, poi si piega sul libro e me lo sbatte in testa. "Sei un cretino!" dice, spostandosi una ciocca scura finita sulle labbra. "Mi hai fatto venire un infarto."
"Dillo che ti sono mancato" cantileno, grattandomi la testa. "E comunque mi hai fatto male davvero."
"Non mi sei mancato per niente" dice Alice, sedendosi di nuovo e aprendo il libro alla pagina esatta in cui stava. "Sono stata nella più totale tranquillità" dice, fulminandomi con i suoi occhi azzurri.
Alice ha due anni in meno di me. Ne ha compiuti diciotto poco prima che partissi per l'Inghilterra e la vedo studiare più di quanto abbia fatto io in quel periodo. "Immagino" dico, lanciando una rapida occhiata al libro. Prendo l'altra sedia e mi accomodo dall'altra parte della scrivania. "Cosa leggi?"
"Sto studiando" sottolinea, "storia."
"E quale esattamente? Sai, ci sono migliaia di secoli-"
"Ho già fatto le organizzazioni economiche, politiche e sociali aggiornate ai nostri giorni della Gran Bretagna e dell'Irlanda. Tocca alla Scozia, adesso, sebbene - lo ammetto - è quella che mi piace di meno."
Alzo gli occhi al cielo. "E la mamma te lo sta facendo studiare? A quanti problemi la Scozia le ha procurato, come minimo avrebbe dovuto bruciare le pagine."
"Non avrebbe mai fatto una cosa del genere, sebbene quel capitolo della sua vita l'abbia inevitabilmente condizionata e sia stato uno dei peggiori. E poi anche tu l'hai studiata, due anni fa."
"E grazie al cielo non dovrò farlo mai più. Non ce la faccio più a sentire i nomi di re Gilbert, Harold, Leonard e Gemma e degli scandali che hanno colpito Edinburgo." Fingo un brivido, scuotendo la testa. "Mi fanno proprio ribrezzo."
Alice sbuffa sonoramente. "Ora, se non ti spiace, dovresti andartene e lasciarmi finire in pace il mio programma giornaliero."
Mi inumidisco le labbra, quando all'improvviso la porta della biblioteca viene spalancata ed Amanda ci chiama dal basso, tenendo le mani intorno alle due maniglie d'oro. "Signori, è pronta la cena. I vostri genitori si sono già accomodati."
Alice ed io ci scambiamo una rapida occhiata, dopodiché scattiamo in piedi ed iniziamo a correre per vedere chi arriva per primo. Scendiamo al piano di sotto, quasi cadendo dalle scale e facciamo spostare Amanda prima di finirle addosso. Si appiattisce contro un lato della porta, scuotendo la testa, dopodiché riprendiamo a correre verso la sala da pranzo. La porta ci viene aperta da due guardie, il tavolo lungo è già apparecchiato e il camino acceso alle spalle di nostro padre. Alice arriva per prima al suo posto, sedendosi accanto alla mamma e urlando "Prima!" mentre il petto le si alza e abbassa rapidamente per la corsa. Io mi affretto e mi siedo accanto a papà, sistemandomi il tovagliolo sulle gambe. I camerieri iniziano ad arrivare con le varie portate, servendocele piano con profumosi "Vostre Maestà e Altezze reali".
"Ciao, papà" saluto, porgendogli la mano. Re Pierre la stringe piano, sorridendomi con un lato delle labbra. I capelli biondi con qualche striatura grigia sono tenuti ordinatamente indietro, gli occhi azzurri ridotti ad una fessura e le rughe intorno alla bocca dovute all'espressione che mi sta rivolgendo.
"Liam Francois", si gira a guardare mia sorella, "Alice Grace, vi sembra modo di comportarvi? Sembrate due bambini di cinque anni." Alice abbassa il capo sul suo piatto appena servito, con nostra madre che gira gli occhi scuri verso di lei. Da quell'angolazione, sono praticamente uguali. Stesso naso dritto, guance rosee e labbra carnose, tanto che da piccola la chiamavano scherzosamente "La piccola Margot", sebbene i suoi occhi fossero azzurri come quelli di papà. Io, invece, sono integralmente uguale a lui, se non per gli occhi color cioccolato e il carattere  che ho preso in prestito da mia madre. Ma fortunatamente nessuno mi ha mai chiamato "Il piccolo Pierre". Sarebbe stato deprimente e soprattutto fastidioso. Non so come abbia fatto mia sorella a vivere con un tale fardello addosso. Punto i miei occhi su papà, i cui capelli - illuminati dalle fiamme del camino - hanno assunto una strana colorazione, come se stessero prendendo fuoco. Dall'altra parte del tavolo ci sono delle carte su cui stava sicuramente lavorando. "Scusa" diciamo in coro io ed Alice, guardandolo negli occhi. "Quasi mi dimentico di essere tornato qui" dico, abbassando gli occhi sul piatto colmo di acqua in cui ci laviamo piano le mani. Ci viene dato un tovagliolo e, mentre le asciughiamo, ci viene servita la prima portata.
Pierre solleva un sopracciglio. "A Londra ti sei comportato da selvaggio?" chiede. "Dovrò chiedere a Niall un resoconto delle ultime tre settimane-"
"Sto scherzando!" dico, portando le mani in avanti in gesto tranquillizzante. "Sto solo scherzando. Nella piccola casa degli Horan non ci sarebbe stato così tanto spazio per poter correre."
Alice scoppia a ridere, ma nostra madre la fulmina con un'occhiataccia. "Dimmi" dice Margot, portandosi il primo cucchiaio alle labbra e girandosi nella mia direzione. "Come stanno William Malik e Chantal Horan? Non li vediamo da molto tempo."
"Will aiuta Zayn in officina, ma il pomeriggio lo passa giocando a calcio con il vicinato. Chantal, invece, aiuta spesso Sophie a cucire e passa il pomeriggio a fare un po' di tutto, a dire il vero. Ha ventidue anni, ho sentito dire da suo fratello James che viene corteggiata da un ragazzo, o almeno è quello che ha dedotto, considerato quanto si faccia bella quando deve uscire per 'fare delle spese'" mimo con le dita. "Per il resto, tutto nella norma. Niall e Sophie hanno la solita vita oscillante tra l'officina e la sala da cucito. Giselle invece ha superato un esame, tempo fa, e insegna in una scuola pubblica a Londra."
"Oh sì, me lo aveva già accennato in una lettera" dice mia madre, annuendo con il capo.
"In più, Bob e Maura vi mandano i loro saluti."
"Come stanno?" chiede papà, leccandosi le labbra.
"Come delle normali persone settantenni. Stanchi e vivono in una piccola casa in campagna. Hanno fortunamente i nipoti che vanno a trovare i nonni ogni fine settimana. Quand'è che vengono i nostri, di nonni?" chiedo, portandomi finalmente il primo boccone alle labbra.
I miei genitori si scambiano una rapida occhiata. "Verranno sicuramente per la festa d'Autunno" dice papà, pulendosi la bocca con il tovagliolo. "Comunque, Liam, ora che sei tornato, vorrei discutere con te su una questione molto delicata."
Lo guardo, aggrottando le sopracciglia. Dove vuole andare a parare? Sento gli occhi azzurri di Alice addosso e so per certo che, a quanto pare, ne hanno già parlato tutti insieme nelle scorse settimane. Bene. Cosa dovrei immaginarmi?
"Dimmi" dico, posando il cucchiaio nel piatto.
"So che sei un uomo responsabile e sai quanto ciò sia importante, ma sei il futuro re di questo Paese ed è necessario che si inizi a pensare alla tua sfera privata."
Sgrano gli occhi. Oh, no.
"Per questo, io e tua madre abbiamo già discusso sul fatto che tu debba iniziare a cercare una compagna. Abbiamo già stilato una lista delle famiglie più in vista in scala internazionale e quindi, ora che sei tornato, è giusto che tu ci dia un'occhiata. Non vogliamo constringerti a sposare qualcuno che non vuoi, ti diamo la possibilità di incontrarle tutte - se lo desideri - e scegliere la ragazza che ti colpisce di più."
Lo guardo, sbattendo una volta sola le palpebre. Sposto gli occhi da lui a mia madre. "Ah, ma non state scherzando."
"Non ti stiamo dicendo di sposarne una entro tre giorni, ma solo di aprire un po' gli occhi e avviarti verso quelli che sono i tuoi doveri, figliolo" dice la mamma, incrociando le mani sul tavolo. La sua tiara brilla alla luce del fuoco nel camino.
Guardo papà, sollevando un sopracciglio. "Ho solo vent'anni. Non c'è nessuna urgenza di farlo ora." Noto con la coda dell'occhio Alice annuire impercettibilmente.
"Ma infatti non devi sposarti così, dall'oggi al domani. Ti stiamo solo chiedendo di incontrare tra le più famose principesse e nobili fanciulle. Potremmo anche andarle a trovare nei loro Stati, invece di riceverle qui a Monaco. So quanto ami viaggiare. Potremmo unire il dovere e il piacere, non trovi?" Sbatto di nuovo le palpebre. Papà rilascia un lungo sospiro. "Andiamo, Liam. Sii ragionevole."
"Lo sono sempre."
"E allora dammi una risposta."
Abbasso gli occhi sul mio piatto, riafferro in mano il cucchiaio e prendo un altro boccone di minestra ormai fredda. Ingoio, pulendomi le labbra con il tovagliolo che avevo sulle cosce. Guardo Alice che sorride, poi mia madre Margot che mi riserva uno sguardo a dir poco supplichevole e infine papà, che mi trapassa con quegli occhi di ghiaccio.
Una strana idea mi balza in mente e mi sembra quasi plausibile.
Ho studiato, tempo fa, filosofi e storici che ammettevano la ripetività della storia e di quanto questa, nonostante i tempi cambiano e maturano, ricada sempre sugli stessi errori - anche sulle cose giuste da fare.
È vero. Amo viaggiare.
Quindi non ci sarebbe niente di male se, ad esempio, decidessi di andar via da questo palazzo per un altro po', giusto?

Sorrido.

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