Pomeriggio

117 17 16
                                    

Scipione nota che alla ragazza non piace l'odore del garrum, non se ne cruccia troppo, perché è normale che i non romani odiano un sapore così forte da impregnare l'aria. Gli dispiace solo di non averla avvertita prima, ma ormai è troppo tardi per piangere sul latte versato. Può solo sperare che non se ne lamenti troppo vistosamente.

«Ma cos'è questa puzza? » Chiede, in   greco e sottovoce, sospettosa Sofonisba.

Sofonisba evita, per ragioni di diplomazia, di fare gesti con le mani. Preferisce lamentarsi dell'odore del cibo nella lingua dei greci, spera che la plebe non capisca cosa sta dicendo. Confida che Scipione conosca la lingua di Aristotele e non si arrabbia per i suoi gusti culinari.

«Garum è una salsa di pesce salato e stagionato al sole», spiega l'uomo accanto a lei.

Rimane basita al pensiero di una salsa del genere, le sembra un qualcosa di sa d'immangiabile. Si chiede se è in una città di pazzi e incoscienti o meno.
«Non so come riusciate a mangiare un piatto condito con un simile putridume, dovete essere proprio pazzi come vi descrivono i galli». Sentenzia lei.

«Forse hanno ragione, ma loro sono molto più strani di quanto voi possiate credere mia piccola principessina cartaginese», dice scherzando.

Non ama essere derisa anche da uno sconosciuto, ma deve far buon viso al cattivo gioco. Dopotutto è solo una donna in una città straniera e lontana dai suoi parenti. Si sente costretta a lasciar perdere, non vuole essere accusata d'essere la causa del fallimento della missionile diplomatica dei suoi fratelli.

Entrano dentro l'osteria e vedono decine di romani dalle veste insozzate dai sughi e dal vino. Le donne a servire sono le uniche ad avere degli abiti lindi, ma dalle scollature così profonde da far pensare più a delle prostitute che a delle cameriere. Il chiasso sovrasta ogni cosa e nessuno riesce a sentire cosa dicono al tavolo vicino al proprio.

«Qui nessuno baderà a noi per un po', mia piccola principessa e potremo parlare di noi», dice con fare sicuro il ragazzo.

Non si sente del tutto rassicurata dalle parole del giovane, sospetta che qualche spia possa comunque udire quello che dice. Non solleva i suoi dubbi per via del suo sesso, si limita a pensare quali possano essere gli argomenti non disdicevoli in una situazione del genere.

«Sono la figlia più piccola del celebre Amilcare Barca e mio fratello Annibale ha "scelto" di seguire le orme paterne a causa di un voto fatto agli dei insieme ai miei fratelli Asdrubale e Magone», si schiarisce la gola più volte prima di dire:« e da allora non fanno altro che guerreggiare contro gli iberici. Siamo amati dal popolo per aver fatto rifiorire la nostra città, ma quello che sta succedendo è solo un'idiozia da parte di chi ha le leve del potere».

Si sente un poco sollevata nel dire i suoi pensieri a qualcuno, da tempo si sente sul punto di esplodere a causa delle cose non dette tra i nobili cartaginesi. Spera d'essere compresa dal romano.

«Vero, ma ora è il mio turno. Sono il figlio più grande di Publio Scipione senior e come i tuoi fratelli sono destinato alla vita del soldato e alla carriera politica. L'unica differenza è che né io né mio fratello Lucio abbiamo  giurato qualcosa agli dei», racconta con fare serio.

Un brivido percorre la sua schiena sinuosa, Scipione fa di tutto per non parlare di politica interna. Pensa che tema di essere sorvegliato o spiato da qualcuno mentre ne parla. Non sa come spiegarsi questa ritrosia del giovane, per questo si prende del tempo per pensare a cosa dire in quel momento.
In quel momento arriva una delle cameriere e a differenza di loro due la sua carnagione è color notte, come se fosse una delle pochissime schiave vendute dai nomadi del deserto ai cartaginesi. Loro dicono che sono gli stessi capotribù a vendere molti dei loro conterranei per avere qualche derrata alimentare in più o per un pezzo di vetro. Ma Sofonisba ci crede poco a questa storia, perché spesso gli schiavi al di là del deserto presentano numerose ferite da percosse e hanno uno sguardo triste e melanconico. Ma la donna davanti a lei non è una schiava o perlomeno non lo è più da tempo visto l'aspetto ben curato tipico delle donne libere. Il suo ovale etereo e perfetto presenta solo delle piccole e ormai vecchissime cicatrici, riconducibili alla schiavitù. Le sue labbra non sono screpolate dalla sete come spesso capita a chi non è libero, i suoi occhi sono felici di essere lì come se non le importasse per nulla di ritornare in patria.

SofonisbaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora