Secondo Giorno

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Sofonisba si sveglia all'alba con i galli che cantano.  Una dolce brezza marina  entra in camera, si sente malinconica perché pensa che non debba fare altri sbagli. Migliaia di persone rischiano di morire a causa di una sua scelta. Uno scandalo costringerebbe suo fratello ad accelerare i suoi piani, perché incalzato dal consiglio degli anziani pronto a tutto pur di farlo fuori politicamente. Neanche lei ha voglia di pensare a cosa potrebbe succedere, sopratutto a quante vite verranno sprecate da una guerra di dimensioni epocali come una seconda guerra contro Roma. Si ricorda come suo padre era ossessionato dal vendicare il nome di Cartagine, di come questo pensiero ricorrente l'ha portato alla tomba senza che potesse vedere la fine delle sue peregrinazioni.

Ora vede Annibale fare gli stessi errori; spendere montagne d'oro e d'argento per pagare i mercenari con cui tenere sotto controllo i nuovi domini di Cartagine. Si chiede quanto oro la sua famiglia potrà ancora spendere per finanziare il sogno di un uomo morto da molti anni ed ereditato dai figli. Si alza con addosso una leggera vestaglia di seta color porpora. In alcuni casi si chiede se venire con le vesti migliori a Roma sia stata una buona idea, visto che si sente fuori posto in una città così austera e fredda rispetto a Cartagena e le altre colonie di Cartagine. Le manca profondamente l'allegro caos quotidiano della sua patria, mentre in Italia di allegro non c'è nulla. Solo vuota determinazione a portare avanti i propri affari, non c'è nessuna allegria nell'aria né tantomeno voglia di divertirsi. Si mette un vestito lungo tipo peplo greco che pensava di usare per rimanere in casa più che per uscire, ma vuole vedere se si sentirà ancora fuori posto o meno cambiando vestiti. Esce dalla stanza facendo gli scalini con aria assonnata. Non ha una gran voglia di riaccompagnare i suoi fratelli al Senato, dove per giunta non può entrare a causa della sua femminilità.

Ritorna alla sala da pranzo dove Cornelia la sta aspettando con aria bonaria e divertita. « Cosa avete da ridere ?» chiede insospettita Sofonisba.

« Rido del fatto che pensiate di essere giudicata  dal vostro vestiario. A Roma si vede ogni genere di persona e vestito; i vostri sono nella norma, anche se troppo costosi anche per le più importanti famiglie patrizie», dice ridendo Cornelia.

« Il punto è che non ho nessuno con cui trascorrere il resto del giornate e non ho voglia di essere giudicata per il mio vestiario. Qui sono una signorina nessuno, mentre in patria sono solo la sorella dell'invincibile Annibale e non me stessa», confessa sconfortata.

« Mia cara questo è il destino di noi donne. Noi non abbiamo una luce nostra, ma riflettiamo quella dei nostri padri, fratelli, mariti o figli maschi. Siamo figlie, sorelle, mogli e madri di. Non abbiamo un'identità nostra, perché non siamo fatte per la guerra e la conquista. I canti dei bardi non si occupano di noi e la nostra memoria svanisce nel tempo», replica con fare materno Cornelia.

Cornelia osserva e  trova la ragazza punica molto ingenua, non ha ancora imparato quando sia difficile la vita di una donna e quanto siano ipocrite le società dei  mortali. Pensa che queste  nozioni non si possano imparare alla stregua di un'arte o di un mestiere, ma solo attraverso le proprie esperienze di vita e  le difficoltà che ci pone la vita stessa.

«Non intendevo questo», esclama imbarazzata Sofonisba.

«No, ma dimenticate chi siamo. Purtroppo non siamo noi a scegliere il nostro destino, ma le convenzioni sociali. Non sarete  mai considerata per quello che siete  da nessuna parte del mondo, se non nella camera da letto con il vostro uomo e solo se vi amaste veramente», spiega la matrona.

Sente che la sua supposizione sia confermata dalla reazione della giovane, è ancora molto ingenua nonostante la sua vita verrà presto travolta dal freddo inverno della morte e della guerra. Lei lo sa benissimo, perché vent'anni prima suo padre e il suo fratello più grande morirono in Sicilia. Quando un disperato Amilcare tentò di salvare la situazione di Cartagine in un isola ormai dominio romano, ora per somma ironia del destino si ritrova ad ospitare i figli dell'uomo che portò alla morte i suoi cari. Non porta rancore, perché riconosce il valore di guerriero e stratega del padre di Sofonisba. Sente che anche suo marito morirà in guerra, spera solo che i suoi figli sopravvivano, ma è solo una vacua speranza. Perché tutto è nelle mani dell'insondabile fato e nulla può essere deciso dagli dei o dai mortali. 

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