Capitolo 20.

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Da bambina nonna mi regalò un vestitino rosso con delle ballerine del medesimo colore, ero felice e volevo indossarlo ogni giorno, mi guardavo allo specchio e giravo su me stessa per provare a ballare come le grandi ballerine, vestite elegantemente e su un palco particolarmente importante.

Oggi indosso una tuta rossa per la semifinale, ballo su un palco prestigioso e la scena sembra ripetersi, nello specchio della sale prove la mia figura gira su se stessa in una serie di piroette, ho finito da poco e tra non molto rientreró in casetta.

Bevo l'ultimo sorso di acqua e mi incammino, non ci vuole molto ma basta quel poco per farmi pensare a quello che potrebbe venire dopo, finito amici mi piacerebbe aprire una scuola di danza tutta mia, dove poter trasmettere ciò che questo sport è in grado di farmi provare indossando solo le scarpette.
Allo stesso tempo mi piacerebbe tornare in America, ballare di nuovo alla Julliard magari da insegnante, prima di tornare in Italia mi fu proposto ed ero sul punto di accettare ma qualcosa dentro di me urlava 'no', non ho mai capito cosa fosse ma oggi credo che il mio cuore sapeva di doversi ricongiungere con il suo.

Entrata la casetta è vuota, i ragazzi credo che siano alle prove ma quando mi giro noto due mazzi di fiori sul tavolino e una scatola, mi avvicino e ci sono tre bigliettini con i numeri e con su scritto 'per Ginevra'.

Osservo i fiori, un mazzo di tulipani bianchi e rossi, i miei preferiti, mentre l'altro formato da rose rosse con una sola bianca al centro.
La scatola è grande, chiusa da un grande fiocco arancione.
Mi siedo ai piedi del tavolo e con le mani tremanti apro la prima lettera.

'Ciao Gin,
sono alcuni mesi che resto a guardare la tua camera, ripenso a quando non volevi starci qui, preferendo Monza con tutte le peripezie'

Poche righe per capire chi mi scrive, il cuore si stringe mentre i miei occhi vagano per queste parole.

'Un giorno però mi chiedesti di portare tutto a Roma, volevi ricominciare e giurasti di non tornare più in quel paesino, lo definisti 'stracolmo di emozioni', non servirono altre parole, avevo capito già tutto'

Fu la prina a sapere dell'accaduto, senza fare domande, lei percepì ogni mio sentimento, avevo bisogno di protezione ed era l'unica in grado di darmela.

'Bambina mia, più volte ti ho visto ricominciare, spesso da sola e altre volte con un piccolo aiuto, avevi tre anni quando ti portai per la prima volta a danza, oggi hai vinto, come donna, come ballerina e soprattutto come nipote'

Sorrido a queste parole pure da parte della donna più importante, che mi ha insegnato tanto.
Oggi sono così soprattutto grazie ai suoi insegnamenti, alle filastrocche che mi cantava prima di portarmi a dormire o a quelle volte in cui da bambina fingevo di aiutarla in cucina.

'Hai vinto quella sera di tre anni fa, quando durante la notte mi svegliasti piangendo, iniziasti dicendo di aver paura di come potesse essere l'America, ci guardammo negli occhi pochi istanti e crollasti ancora, non ti spaventava il viaggio, avevi ammesso a te stessa quanto bello e distruttivo fosse l'amore, allontanarti da lui pensavi ti distruggesse'

Mancavano pochi giorni alla partenza, ricordo ancora l'incubo di quella notte.
Eravamo in una stanza piena di luce, mi stavo abbandonando tra le sue braccia, qualcuno o qualcosa ad un tratto spense la luce, le braccia di Filippo mi avevano lasciato e lo guardavo allontanarsi mentre ero immobile, nessuno dei miei muscoli rispondeva.

Mi svegliai sudata, il cuore batteva a mille e l'unica cosa che riuscii a fare fu scoppiare a piangere, volevo chiamarlo ma sapevo si sarebbe preoccupato, al punto da venire sotto casa mia, così corsi da mia nonna e la svegliai.
Parlammo tanto quella notte e ogni frase è incisa nella mia mente.

Per amore di una rosa./ Irama🌹Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora