II

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Proprio come richiesto da voi (sul sondaggio instagram) ecco qui il secondo capitolo. Pubblicherò prima questa storia e al termine, inizierò l'altra.
Buona lettura
-Angel ❤️

«Hai ricordato qualcosa?», chiese in apprensione la donna.

Le lanciai un'occhiata omicida per la confidenza nei miei confronti e dissi: «sì... Non vengo da questa epoca, sono del 1642.»

Entrambi sgranarono gli occhi e mi fissarono come se fossi una mucca con otto zampe. «Come?», fu l'uomo a parlare dopo un bel po' di silenzio.

«Avete capito benissimo, sono di un'altra epoca.»

«Preparo immediatamente la tac, la situazione è più critica di una semplice perdita di memoria!», la donna corse via e mi lasciò da sola con un uomo, era forse impazzita? Con quale coraggio mi lasciava da sola?

«Sei... Siete convinta che venite dal 1642, non vi chiedete come avete fatto ad arrivare fin qui?»

«Io... Non lo so, la situazione mi è assurda quanto lo è per voi. Mi chiedo il motivo per quale non ricordo nulla, se ho una famiglia, o magari un marito.»

«Marito? Piccola hai all'incirca diciotto anni.»

«Piccola? Come osate parlarmi in questo modo? Ho un nome... Che ora non ricordo, fin quando non lo ricorderò, chiamatemi signorina o signora, no piccola! Ho diciotto anni? Se non sono promessa in sposa sarò zitella a vita!», dissi nel panico. Sperai con tutta me stessa che i miei genitori mi avevano già dato in moglie, altrimenti sarei rimasta sola per il resto della mia vita; non che volessi sposarmi in giovane età, ma quelle erano le leggi.

«Come siamo arrivati a ciò? Non sappiamo se avete diciotto anni, l'ho solo ipotizzato, non mi sembrate adulta.»

«Mi state dando della poppante?»

«No, non ho detto questo», si passò una mano tra i capelli e sospirò, alzandosi. «Dobbiamo rintracciare immediatamente la tua famiglia.»

«Non parlatemi con questo tono confidenziale!», ripetei ancora.

Borbottò qualcosa che non riuscii ad udire, dopodiché disse: «nella vostra epoca si parla in terza persona, nel 2019 si parla con un tono confidenziale. Quindi perdonami se non sono abituato.»

«Vostra moglie non si arrabbia quando sa che lavorate con pazienti donne?»

«Perché dovrebbe? Ha fiducia in me e sa che amo il lavoro.»

«Ciò non giustifica tale maleducazione-», fui interrotta dalla donna di prima, che entrò e sussurrò qualcosa al dottore, dopodiché -sorridendomi- mi tolse l'ago dal braccio e mi chiese se riuscivo a camminare.

Mi tolsi le coperte dal corpo e con orrore notai che indossavo un... Non sapevo se quello si potesse definire un abito, era con poca stoffa e lasciava le ginocchia scoperte. Stetti zitta e poggiai i piedi sul freddo pavimento che, anziché essere composto da legno, era composto da un materiale bianco, duro e non scricchiolante.

Feci per alzarmi, ma fui colpita da un terribile malore che pesava alla testa e le gambe iniziarono a tremare. Esse non furono in grado di sorreggermi, ma il medico -con un'ottima coordinazione- mi afferrò al volo e mi trascinò su una sedia con delle ruote da carro. «Che coordinazione, i miei complimenti.»

«Si chiamano riflessi.»

«Cosa?», dissi confusa.

«Quando riesci a muoverti velocemente e in tempo, si dice che hai i riflessi pronti.»

«Capisco... Quindi siete molto pronto. Posso chiedervi come, voi uomini del futuro, riuscite a trasportare delle merci su un carro così piccolo?»

«Carro? Intendi la sedia a rotelle? Qui ci trasportiamo le persone che non riescono a camminare, come te», spiegò dolcemente la donna, iniziando a spingere l'oggetto e facendomi camminare.

«Un piccolo carro che trasporta esseri umani, geniale!»

Percoremmo un corridoio e, proprio in fondo, vidi una porta grigia con su una scritta che si illuminava, che strana magia era?
La donna mi portò proprio lì, dove vidi altri due uomini. Davanti a me si presentava un qualcosa di assurdo: la stanza era priva di finestre, non vi erano colori al di fuori del grigio scuro ed erano presenti oggetti inanimati enormi ed emettevano strani rumori. Era la camera delle torture del futuro?

«Cosa volete farmi? Non merito di essere torturata né-»

«Non ti torturiamo, puoi stare tranquilla, dobbiamo capire cos'hai», spiegò lei. «Devi stenderti su questo lettino, noi ti mettiamo qui dentro e devi restarci per circa otto o nove minuti.»

Osservai l'oggetto che mi aveva indicato, era un tubo? Sì, un'enorme tubo, ma sembrava essere rotto a metà. «Perché mai dovrei sdraiarmi dentro un tubo, è inaccettabile, mentalità del futuro o meno!», non volevo entrare lì dentro e la situazione iniziò a spaventarmi troppo. Non sapevo dove mi trovavo, volevo tornare a casa dalla mia famiglia, ma com'era la mia famiglia? Non lo ricordavo. Avevo fratelli? Sorelle? Zii?

Al solo pensiero di loro, calde lacrime scesero sulle mie guance, facendo allontanare la donna preoccupata.
«È troppo spaventata», sussurrava, «dovremmo darle dei calmanti.»

Cos'erano i calmanti? Volevano avvelenarmi?

Mi strofinai gli occhi, ma i singhiozzi non volevano un freno e nemmeno le lacrime. «Va tutto bene, non devi piangere, non ti vogliamo far del male, davvero.»

E poi un altro pizzico al braccio, le voci sempre più lontane e il nulla.

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