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Non mi lasciare

Sento ancora il suono dell'ambulanza che arriva. La sirena che non smette di suonare squarciando il silenzio della notte. E quei colori blu e rosso che si fondono tra loro e che ti spezzano il cuore in tanti piccoli pezzi.
Ho sempre odiato gli ospedali, li odio profondamente. Le attese infinite, le infermiere che, a qualunque domanda disperata tu rivolga loro, non sanno mai niente. Ma la cosa che più odio di questi posti così bianchi e angusti è quella terribile sensazione che la morte si trovi tra queste mura, che si annidi negli angoli più nascosti e salti fuori all'improvviso, quando meno te lo aspetti, e sconvolga la tua esistenza nel peggiore dei modi.
Ancora mezzo addormentato e avvolto nel suo cappotto che, ormai da due giorni, uso come coperta, sorseggio lentamente il mio caffè annacquato. I miei occhi sono fissi nel vuoto, vagano oltre il vetro della finestra senza una meta precisa.
Un rumore improvviso mi fa voltare di scatto verso il suo letto. In un primo momento penso che si sia svegliato, che finalmente possa tornare a vedere i suoi bellissimi occhi, ma si tratta solo dell'infermiera di turbo che viene a controllare la situazione.
Al contrario delle altre infermiere, non mi lancia un'occhiata infastidita. L'infermiera Lee, una donna di circa trent'anni, minuta e con uno dei sorrisi più dolci che abbia mai visto è stata l'unica a capire la situazione, a capirla davvero, e a permettermi di restare qui, al suo fianco, anche se non potrei. Se i dottori dovessero scoprire che rimango qui oltre l'orario stabilito e che, con l'aiuto dell'infermiera, mi nascondo e salto fuori non appena hanno finito di fare i loro giri di controllo, credo che rischi il licenziamento. Ed è anche per questo suo rischio che non potrei esserle più grato. So che sto infrangendo le regole dell'ospedale, ma non riesco proprio a staccarmi da lui.
Non riesco a lasciarlo solo.
Non ci riesco.
Ho provato a chiamare i suoi genitori, ma a ogni chiamata non ho ottenuto risposta. Poi mi sono ricordato che sono spesso in viaggio per lavoro e ho rinunciato. Poi, ieri sera, sul suo telefono è apparso un messaggio di sua madre e così l'ho chiamata raccontandole ciò che è successo. Mi aspettavo che si precipitasse qui insieme al marito, ma la sua risposta è stata <Vorrei tanto venire da mio figlio, ma purtroppo mi è impossibile in  questo momento. Sono certa che Daniel è in buone mani con un amico come te. Mi raccomando, tienimi costantemente aggiornata>.
Poi ha chiuso la telefonata con un frettoloso grazie, lasciandomi esterrefatto.
Ma come fanno? Questa è la domanda a cui penso da ieri sera. Io non riuscirei a dormire la notte sapendo che mio figlio è in ospedale.
Sono certa che Daniel è in buone mani con un amico come te mi ha detto. Se solo sapesse...
Tuttavia c'è del vero nella sua frase, perché Daniel è davvero in buone mani con me. Non lo lascerò un secondo finché non si sveglierà, mi prenderò cura di lui e lo farò anche quando le infermiere e i dottori mi ripeteranno quella frase che mi viene detta da due giorni <Lei non è un parente, non possiamo dirle niente, anzi, dovrebbe andare a casa>.
<Mark, sei sfinito> mi dice l'infermiera Lee, accarezzandomi la guancia e riportandomi alla realtà <Vai a casa, fatti una doccia e riposati. Ti avvertirò non appena ci saranno novità>.
Le faccio un sorriso e scuoto piano la testa <Grazie, ma non ce la faccio. Preferisco restare qui>.
<Come vuoi> mi dice dolcemente lei <Almeno vai a fare colazione, un caffè non ti sazierà fino all'ora di pranzo e non voglio che tu svenga>.
Guardo Daniel, il mio Daniel, sdraiato in quel letto scomodo. I tubi delle macchine attaccati al suo corpo, il suo petto che si alza e abbassa ad ogni respiro. Gli occhi chiusi.
Forse l'infermiera ha ragione, non serve un altro paziente qui.
<Ma perché non si sveglia? Ho sentito dire ai dottori che non è in coma> le dico, con la voce rotta.
Lei, in risposta, mi fa un lieve sorriso <Hai spiato i medici, Mark?>.
Annuisce, ammettendo silenziosamente la mia colpa. Ho sbagliato anche in questo caso, ma dovevo avere assolutamente qualche informazione sullo stato di Daniel, visto che i dottori non vogliono saperne di dirmi niente.
<Lo ami davvero tanto, vero?> fa l'infermiera Lee.
<Si, lo amo più della mia vita> le rispondo immediatamente, senza esitazione.
Lei sorride ancora, le guance colorite di un rosa che la fa sembrare ancora più dolce e premurosa.
<Comunque, non possiamo...> inizia a dire lei, ma improvvisamente il dottore che ha in cura Daniel entra nella stanza e tuona <Che cosa ci fa qui a quest'ora? Gli orari di visita iniziano alle dieci e credevo di essere stato abbastanza chiaro ieri, lei non è un parente e non può stare qui. Quindi la prego di andarsene immediatamente o sarò costretto a chiamare la sicurezza>.
<Senta> inizio io, perdendo la pazienza e mettendomi proprio difronte a lui <Daniel non ha nessuno che si prenda cura di lui, ha solo me e non ho intenzione di lasciarlo nemmeno per un secondo, è chiaro? Neanche cento uomini riusciranno a tenermi lontano da lui>.
<Ci sono le infermiere a prendersi cura del suo... amico> esita un attimo prima di pronunciare la parola amico e quando lo fa, lo dice con una nota di fastidio. Stronzo.
<La sua presenza qui non serve a nulla> continua poi <Quindi glielo ripeto, farà meglio ad andarsene o passerà dei guai>.
<Io non me ne vado, hai capito brutto...>. Non faccio in tempo a finire la frase che l'infermiera Lee mi mette una mano sulla spalla e mi dice soltanto <Mark>.
Scuote piano la testa e dalla sua espressione preoccupata mi rendo conto che devo lasciar perdere. Sposto lo sguardo da lei a questo dottore da quattro soldi e decido di dar retta all'infermiera Lee.
<Vada al diavolo> dico un'ultima volta al dottore, vomitandogli addosso tutto il mio disprezzo. Omofobo del cazzo.
Seguo l'infermiera Lee verso la porta, ma non appena varco la soglia della stanza sento una voce debole e roca che pronuncia il mio nome.
<Mark>. Mark.
Sento il mio nome che viene ripetuto un'altra volta ancora, stavolta con più forza. Mi volto velocemente e lo vedo. Mi sta guardando, la sua mano debole che si apre in cerca della mia, i suoi occhi bellissimi che, finalmente, mi guardano.
<Dan> dico con un filo di voce e le lacrime che stanno per farsi strada sulle mie guance. La felicità prende immediatamente il posto della rabbia e, ignorando completamente il dottore, mi fiondo da lui. Stringo la sua mano nella mia e pronuncio il suo nome.
<Daniel>. Non riesco a crederci, finalmente si è svegliato. Finalmente è di nuovo con me.
<Non lasciarmi Mark, ti prego. Non mi lasciare> mi dice a fatica.
Scuoto la testa con enfasi <No che non ti lascio. Non ti lascio, te lo prometto. Non ti lascerò mai>.
Le sue labbra si curvano in uno di quei sorrisi che mi fanno sciogliere e io, finalmente, torno a respirare.

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Spazio autore:
Ciao ragazzi, buon anno a tutti! (Anche se in ritardo).
Con il nuovo anno sono tornati anche i nostri amati Mark e Daniel che presto ci saluteranno.
Questi, infatti, saranno gli ultimi capitoli della loro storia d'amore che però, per chi non lo avesse letto, continuerà in Summer Love, romanzo principale della duologia.

Fatemi sapere cosa ne pensate del capirlo e se vi va e se il capitolo vi è piaciuto, lasciate una stellina e un commento. È molto importante!!

Detto ciò, vi auguro una buona giornata e vi do appuntamento al prossimo capitolo.
Ciao ciao

🌈

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