16 ottobre 2013.
Sfreccio veloce sulla strada bagnata, il vento freddo mi fa lacrimare gli occhi e mi sembra di respirare fiamme di ghiaccio. L'aria profuma di terra bagnata, le luci illuminano gli angoli bui della strada ed è forte il rumore delle ruote che corrono sull'acqua. Canticchio in mente "Castle of glass" dei Linkin Park e mi godo l'atmosfera invernale che rende tutto calmo e piacevolmente triste. Ciò mi fa sentire in armonia con il mio umore, ultimamente. Imbocco l'autostrada: vado via, torno a casa a riprendermi la vita.
In lontananza vedo una coda lunghissima e, messa in fila, tolgo il piede dall'acceleratore e chiudo un attimo gli occhi. Buio. Intorno a me l'inverno. Gli occhi non ne vogliono proprio sapere di smettere di lacrimare, ma non le asciugo quelle lacrime, stanno benissimo sulle mie guance. Ne fanno parte ormai da un bel po', come le rughe sul viso di un anziano. Una strana ansia invade il mio corpo, generando una fastidiosa nausea e una voglia tremenda e irrefrenabile di scomparire. Pouf. E Giulia Morris non esiste più. Ma, sfortunatamente per me, non è stato ancora inventato il teletrasporto.
Lo schermo del cellulare s'illumina in continuazione. 5 chiamate perse. 6, 7...ho smesso di tenere il conto non appena ho trovato qualcosa di più "entusiasmante" da fare, se così si può dire.
Accendo seccata la radio, inserisco un cd a caso e parte "Undisclosed desires " dei Muse. Respiro a pieni polmoni l'aria fredda che continua a bruciarmi le narici e mi rilasso approfittando del buio.
Il cellulare s'illumina per l'ennesima volta, adesso mi ha veramente stancata! Lo prendo tra le mani tremanti per l'ansia...3 chiamate. Di Ross, sta volta. Spengo il cellulare e con rabbia lo getto da qualche parte sul sedile accanto al mio, credo.
La coda comincia a muoversi e quando la strada è finalmente mia, spingo l'acceleratore con tutta la rabbia possibile e sfreccio veloce, ancora, verso casa. La mia vera meta è la mia vecchia vita in realtà, ma tornare dai miei è un buon inizio. Spero: questa storia è durata anche troppo.
Mancano 20 minuti all'arrivo, meglio chiamare i miei per non farli preoccupare troppo. Mi fermo davanti ad un bar e cerco il cellulare sperando non sia rotto. Non lo è, per fortuna. Avviso mia madre e non appena chiudo la chiamata, il cellulare comincia a squillare: Ross. Non mi lascerà mai in pace!
"Cosa c'è?"
"Hai risposto finalmente! Dove diavolo sei?!"
"Ross...io...sto tornando a casa mia."
Pronunciare il suo nome all'improvviso diventa una tortura.
"A casa tua?!"
"Si, a casa mia, a Los Angeles! Sono adulta e libera di fare ciò che voglio, proprio come hai fatto tu!!"
Stacco. Questa è stata l'ultima volta, non voglio più sentire la sua voce.
Il mal di testa mi rende difficile continuare verso casa, ma non mi arrendo. Le luci e i rumori della città mi fanno sentire a mio agio dopo tanto tempo, mi fanno sentire finalmente a casa. Imbocco l'ultima traversa, avanzo per una ventina di metri ed eccola lì, grande, illuminata e piena di ricordi. Eccola, casa mia.
Con un sospiro mi faccio avanti e trascino le valige verso la porta, mi fermo e suono il campanello.
"Sei arrivata! Bentornata, amore!"
"Ciao mamma!"
Con un finto sorriso abbraccio mia madre che, nonostante la preoccupazione, cerca di trasmettermi un po' del suo entusiasmo. Mi aiuta a portare su le valige e mentre aspettiamo papà, trova un modo per distrarmi e non farmi pensare a ciò che è successo: cucina.
Inseriamo il nostro cd preferito e prepariamo una bella cenetta a tema messicano in compagnia delle canzoni di Mika e di vari artisti che, stranamente, riuscii a far piacere a mia madre qualche anno fa.
Solo una sua frase fece schizzare i miei pensieri su di lui: "Dovresti controllare il cellulare, sono 2 ore che si illumina e vibra."
La mia mente non è l'unica a schizzare su qualcosa: il mio sguardo, subito dopo, schizza sul cellulare. Ross.
"Mamma, sul serio, sono stanca. Voglio dimenticarlo, fine del discorso."
"Va bene...mi dispiace, piccola. Vedrai che passerà tutto!"
Mia madre è molto pensierosa, lo si legge dallo sguardo, ma mi sorride per darmi un po' di coraggio.
"Ne sono sicura..."
Rispondo con lo stesso sorriso: non ne sono sicura, per niente. L'unica cosa che vorrei fare è gridare, piangere e far uscire le mie emozioni, ma farebbe solo del male a mia madre e di conseguenza sono costretta a trattenere tutto dentro.
Salve a tutti. Chiedo venia per essermi assentata per circa 3 secoli, tra problemi familiari, di salute e impegni a scuola non ho proprio avuto tempo di scrivere. Oggi sono riuscita a ritagliare un po' di tempo e dare una fine decente a questo capitolo. Giuro, l'ho scritto sempre io. Ho semplicemente provato a cambiare stile e, confesso, ho dato sfogo alle mie emozioni e questo è ciò che è venuto fuori. Ditemi che ne pensate, aspetto le vostre recensioni (sia positive che negative, ovviamente).
Al prossimo capitolo, baci! :-*

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I Think About You
FanfictionGiulia è una normalissima ragazza americana, tornata in patria dall'Italia all'età di 8 anni. In California, a Los Angeles, trascorre le sue giornate in compagnia di Abby, la sua migliore amica. È tutto pronto per il primo giorno da liceali, e la sc...