3. Un metro e novanta

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BLAISE

Il rumore del pallone che sbatte contro il pavimento in parquet del campo mi fa scoppiare la testa; crea un dolore acuto che mi fa stringere gli occhi e mi fa venir voglia di bucare ogni singolo pallone qui presente.

I soliti allenamenti giornalieri mi fanno rendere conto ogni secondo di più che non è questo quello che voglio, che non mi fa stare bene. Ma ormai sono qui, incastrato in una vita che non mi appartiene affatto.

Mi concentro con lo sguardo su quel quadratino davanti al canestro, stringo gli occhi più del dovuto, e lancio la palla. Canestro.

Faccio lo stesso ancora e ancora, ed il risultato è sempre lo stesso. La palla non fa altro che entrare in quella rete bianca di tessuto, e io non faccio altro che sentirmi male ogni volta.

Nonostante odi profondamente questo sport, non posso evitare di ammettere di essere bravo. Da quando sono nato mio padre non ha fatto altro che spingermi verso il basket. Il primo giochino che mi ha comprato è stata una piccola palla arancione, quindi la mia vita era già stata scritta ed io non mi sono mai potuto opporre.

Nonostante sia sempre stato consapevole che questo non è quello che avrei voluto, ho dovuto sottostare al suo volere. Sono entrato nella prima squadra di basket all'età di cinque anni, ed ho continuato fino ad ora salendo di grado e cambiando squadre come si cambiano i pantaloni.

Ho soltanto ventidue anni e faccio già parte della squadra dei New York Knicks. Mio padre dice che il merito è tutto mio, che sono troppo bravo e che era già scritto che ci sarei entrato, ma io so benissimo che lui sa essere molto persuasivo e che i suoi soldi e la sua carriera da allenatore hanno fatto abbastanza.

«Ehi, Walker.» sento chiamarmi da uno dei miei compagni di squadra, Chris. «Sei sulla prima pagina!»

Noto che ha in mano il quotidiano del giorno e già immagino cosa quelle righe possano contenere. Chris è alto praticamente quanto me e non faccio fatica a notare anche la foto che mi raffigura sul giornale.

«Non voglio leggerlo.» sbuffo, lanciando la palla ancora una volta al canestro.

«Te lo leggo io.» sorride, tirando indietro i capelli biondi leggermente sudati. «Blaise Walker, il nuovo acquisto dei New York Knicks e figlio del noto allenatore Tanner Walker, sembra aver riportato alla squadra la voglia di vincere. Che sia proprio lui il giocatore che stavano cercando disperatamente? Oppure sarà soltanto un nuovo fallimento annunciato?»

«Le solite balle!» sbotto nervoso. «Non sarò di certo io a riportare la squadra in alto. E nominare mio padre in ogni fottuto articolo mi fa sembrare un raccomandato.»

«Io so che non lo sei, Blaise. Sei forte e potresti davvero riportarci in vetta. Lo scorso anno è stato tremendo e ci serviva qualcuno che ci ritirasse su.» ammette, piegando il giornale su se stesso. «Ti ho visto prima: non hai sbagliato un tiro e non è da tutti. Questo è il tuo posto.»

Sto per rispondergli e dirgli che si sbaglia, che non è questo il posto a cui appartengo, che la strada che sento di possedere è un'altra, ma non faccio in tempo.

Un uomo, completamente vestito di rosa, fa il suo ingresso nel campo, seguito da una ragazza. Non una semplice ragazza, non è una di quelle che guardi perché è carina, ma è una di quelle che ti basta guardarla una volta per riconoscerla sempre.

È abbastanza alta, bianca come la neve, i capelli fin troppo chiari legati in una coda disordinata, e gli occhi... gli occhi si vedono fin da qui. Risplendono di una luce mai vista prima d'ora.

«Salve carissimi!» esclama quell'uomo. «Sono Joshua, uno stilista della casa di moda Dream Up. Come sapete ci è stato affidato il compito di ridisegnare le vostre uniformi per il campionato di quest'anno. Quindi... Eira ed io siamo qui per prendere le vostre misure.»

Oltre i limitiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora