17. Posto giusto

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BLAISE

Quella passata è stata probabilmente la settimana più lunga e stressante di tutta la mia vita. Non ho avuto neanche il tempo di fermarmi a pensare a qualcosa o concentrarmi su altro che non sia il basket.

E alla fine io ed Eira non ci siamo più visti da quel giorno. Dal giorno in cui l'ho vista crollare, dal giorno in cui mi sono reso conto del dolore che può infliggere un genitore, il sangue del tuo sangue, la persona che dovrebbe amarti più di tutto.

In realtà un po' l'ho capito il perché del suo essere così schiva e sempre distante. Eira ha una paura tremenda di soffrire ancora, di affezionarsi a qualcuno e poi vederlo fuggire via. Ha paura e la capisco.

Quella sera le ho detto che non me ne sarei andato e che avrei continuato a far parte della sua vita, ma poi quando sono tornato a casa mia il giorno seguente ho realizzato una crudele verità: la mia vita non è paragonabile alla sua.

Sono consapevole che fare dei paragoni non serve a nulla, ma come posso restargli accanto se neanche riesco a gestire la mia di vita, che è nettamente più semplice della sua?

Quando l'ho vista piangere ho sentito spezzarsi qualcosa dentro di me, come se quell'immagine davanti ai miei occhi fosse la peggiore che avessi mai visto, e forse lo era davvero. E la colpa di questo è anche mia.

Sua madre non l'avrebbe mai trovata se non fosse stato per quel maledetto giornale, nel quale è finita per colpa mia. Il senso di colpa non ha fatto altro che accompagnarmi per tutto questo tempo e non riesco a smettere di sentirlo, si arrampica dentro di me come un rampicante e non ha intenzione di seccarsi e cadere.

Per questo ho capito che probabilmente starle lontano è la cosa più giusta per entrambi. Per lei, cosicché possa vivere in tranquillità la vita che sogna e desidera, senza più nessuno a rincorrerla per una foto o quant'altro. E per me, cosicché possa far marcire questo senso di colpa. E sono un egoista per questo, lo so.

Ho cercato di ripetermi queste cose per tutta la settimana, credendo che in qualunque caso sarebbe andata così. Come poteva funzionare fra noi due, se siamo già a questo punto tragico e non c'è stato praticamente niente di più che un abbraccio?

Il punto è che la risposta a questa domanda ce l'ho in testa e non ha intenzione di andare via: io voglio che funzioni, ci voglio provare e non me ne frega niente se è tutto un casino. Voglio Eira e non posso credere di averla evitata per tutta la settimana.

Afferro il cellulare, forse con troppa enfasi, e la chiamo. Non le scrivo neanche dei messaggi ai quali so che non risponderà mai. Probabilmente mi sta odiando come non ha mai fatto e ne ha tutto il diritto.

«Pronto.» la sua voce mi arriva come un sogno dopo qualche squillo, e mi sento ridicolo a pensare a quanto mi sia mancata.

«Eira, sono io.»

«Io chi?» chiede, senza nessuna ironia. E so che lo sa benissimo chi sono e mi rendo conto che forse mi odia davvero.

«Blaise.»

Un sospiro mi travolge dall'altro capo del telefono, forse di sollievo. «Sei sparito.»

«Lo so, lo so, e mi sento un coglione per questo. Scusami.» le dico subito, cercando di mantenere un tono di voce calmo, ma mi è praticamente impossibile.

«Perché?» lo dice così piano che fatico a sentirlo, come se quella singola parola le costasse una fatica immensa.

«Io... ho pensato che...» biascico a disagio. Non si può spiegare in tre parole il motivo del mio comportamento orribile. «Ti ricordi della partita di stasera?»

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