10. Amicizia

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EIRA

«Dimmi qualcosa di te che ancora non so.»

Il bar dove ci troviamo è piccolo e accogliente; con le pareti color verde acqua e piccoli tavoli rotondi. Non è completamente pieno, ma le voci creano un leggero brusio.

Gli occhi di Blaise sono fissi su di me, in attesa di una riposta che non so neanche dargli; tutta questa curiosità di conoscermi non ce l'ha mai avuta nessuno e non riesco a capacitarmi del suo interesse nei miei confronti. Mi sconvolge.

«Che vuoi sapere, Blaise?» chiedo, prima di sorseggiare il mio tè alla pesca.

«Hai il ragazzo?»

Quasi non sputo tutto quello che stavo bevendo quando pronuncia quelle parole, quasi non credo alle mie orecchie. Sento le mie guance scaldarsi, ma non me ne stupisco. Quello dei "ragazzi" è sempre stato un argomento tabù per me, visto che non ne ho mai avuto uno.

«No... non ce l'ho... il ragazzo.» biascico a disagio.

«Non volevo metterti in imbarazzo, Eira.» sorride, accarezzando la mia mano con le dita. «Semplicemente pensavo che una ragazza bella come te sarà molto corteggiata.»

La mia testa frulla in preda alla confusione e le parole restano bloccate in gola. Cosa dovrei dirgli? Che non è così? Che mai nessuno si è mai veramente interessato a me?

«Tu invece?»

Blaise scuote il capo, consapevole del perché io abbia deviato il discorso su di sé.

«Sono completamente e tristemente solo.»

«Ti rende triste stare da solo?»

«Penso che siamo tutti un po' tristi quando siamo soli, non credi?»

Vorrei rispondergli che per me essere sola non è triste; io da sola sto bene, senza qualcuno accanto che mi ami. Dalle mie sorelle ho imparato che l'amore fa male, ed anche se non l'ho mai provato sulla mia pelle, so che è così.

Decido di evitare la sua domanda e non rispondere, anche se stare in silenzio, a volte, fa capire molte più cose di quelle che potresti dire con le parole.

«Non mi hai mai parlato dei tuoi genitori.» dice, dopo qualche secondo di silenzio. E sento un brivido accarezzarmi la pelle.

«Non c'è molto da dire.» sorrido impacciata. «Sono... genitori normali.»

Non so nemmeno io perché abbia deciso di mentirgli, guardandolo dritto in faccia, come se dire una bugia fosse più semplice. Come se sentire quel peso addosso fosse facile.

«Magari un giorno mi spiegherai il significato di "genitori normali".»

«Cosa c'è da spiegare?» sussurro, abbassando lo sguardo sul bicchiere ricolmo di ghiaccio.

«Penso che ognuno di noi abbia una famiglia diversa, nessuna famiglia è uguale ad un'altra in nessun caso. Ognuno ha i suoi problemi, ognuno vive cose positive o negative che interferiscono sul rapporto. E magari un giorno si sbriciola tutto in una famiglia, ma vista da fuori o magari da te, sembra il ritratto della perfezione.»

Le sue parole mi colpiscono una per una, fino a farmi stare male, e mi pento all'istante di aver pensato che mentire fosse la strada migliore. Ha ragione lui, ogni famiglia ha i suoi problemi, ogni famiglia ha qualcosa che fa schifo o che è perfetto, e noi non possiamo far altro che conviverci.

Sto per rispondere, ma il nostro discorso viene troncato da un ragazzo che grida a squarciagola il nome di Blaise, facendo girare buona parte del locale verso di noi.

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