49 - Colpa

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Trey mi aveva appena lasciato sotto casa, dopo avermi riaccompagnato in moto; ormai era diventata un'abitudine quella di farci un giro ed esplorare angoli di città che non conoscevamo. A dirla tutta, erano rari i pomeriggi non passati assieme.

Dire che la nostra relazione avesse subito un'impennata era riduttivo: Trey si comportava come il migliore dei fidanzati, sempre educato, sempre dolce; mi trattava come un vaso di porcellana, mi riempiva di attenzioni, sebbene tutte molto timide e accennate, come una carezza sulla gamba da sotto il banco o un sorriso più luminoso del normale. Non mi sarei mai aspettato quel suo cambiamento e non potevo esserne più felice, avevo lasciato dietro di me i giorni di sofferenza per appagarmi del nostro nuovo rapporto.

«Bentornato, Kevin.» Il braccio di Charlotte sbucò dal divano per salutarmi. «Com'è andata?»

«Una meraviglia» risposi. Mi incamminai verso di lei e strinsi la stoffa dello schienale, ero convinto che ormai i miei coinquilini non sopportassero più il mio continuo blaterare di quanto fossi contento con Trey.

«Senti» Lottie assunse un tono serio, «non voglio spaventarti, ma dovresti parlare con Rory.»

Aggrottai le sopracciglia. «Che è successo?»

«Lo striscione non deve essere stata una buona idea.»

L'avevo detto, sospirai. Mi pettinai i capelli con le dita e borbottai qualcosa privo di significato.

Quel mattino, Warren era scappato dall'aula e aveva avvisato che sarebbe tornato a casa perché stava male. Non avevo saputo interpretare la sua reazione, così avevo mandato un messaggio a Rory con ciò che era successo e lui mi aveva risposto allegro, quasi esultante. Cosa poteva essere accaduto nel mentre? Forse Warren aveva contattato Rory e l'aveva rifiutato.

«Con me non vuole parlare» continuò Lottie. «È tornato a casa in lacrime e si è chiuso in stanza, non esce da un paio d'ore. Forse tu riuscirai a farlo ragionare.»

Annuii. Mi diressi in corridoio, bussai alla porta del mio amico e dissi: «Rory, posso entrare?» Rimasi in attesa, accostai persino l'orecchio al legno e provai di nuovo. Stavo per rinunciare, ma un attimo prima di arrendermi la sua voce mi raggiunse.

«Sei ancora lì?»

«Ci sono.»

«Entra.»

Spalancai la porta e lo vidi sdraiato sul letto che mi dava la schiena, raggomitolato su se stesso. Mi sedetti al suo fianco, posai una mano sul suo braccio e lo accarezzai. Lasciò andare il respiro, frammentato dai singhiozzi, e mi resi conto che aveva il naso tappato, così mi allungai verso il comodino e presi un fazzoletto di carta, profumato come ogni cosa in quella stanza, glielo porsi e lui mi ringraziò.

«Allora, cos'è successo?»

Dovetti attendere prima che Rory trovasse il coraggio di parlare: «Warren è venuto da me in università.»

Perciò non era andato a casa perché stava male, era scappato dalla lezione per affrontare Rory faccia a faccia, ma era evidente che le cose erano andate per il peggio.

Rory mi raccontò in breve l'accaduto, si dedicò una marea di insulti e ripeté che doveva essere lui quello sbagliato, se tutti gli altri non facevano altro che vederlo in quel modo; così dentro di me si accese una rabbia furente e non contenni le parole: «Che cazzo ha detto Warren?!» Interruppi le carezze e mi alzai dal letto. «Come si è permesso! Aaah, ma deve vedersela con me quel bastardo omofobo.»

«Kevin...» Rory provò a richiamare la mia attenzione, ma io continuai a blaterare su Warren e su quanto avessi avuto voglia di prenderlo a pugni per aver osato rivolgersi in quel modo al mio migliore amico. «Kevin, lascia stare.»

Come Guardare il SoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora