58 - Principessa

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Una nuvoletta di fumo salì nel cielo, era già la terza sigaretta da quando ero uscito, e tutto perché ero agitato all'idea di rivedere Rory.

Aveva passato le feste di Natale dai nonni e oggi sarebbe tornato a casa, così avevo saltato il rientro in università per andarlo a prendere in stazione. Non avevo detto niente a mia madre, nessuno sapeva della nostra relazione (a parte Kevin, Trey e Lottie) e non sentivo il bisogno di spiattellarlo in giro.

In ogni caso, perché cazzo fossi così nervoso, non ne avevo idea. Era solo Rory, il ragazzo che ormai conoscevo come le mie tasche, quello che avevo confessato di amare e che adesso era il mio fidanzato. Quello che mi era mancato da morire in quei giorni e che, se la tecnologia non fosse stata così avanzata, non avrei resistito nel non sentirlo.

La sua risata sfacciata, la sua voce appena più alta del normale, le sue battute da finocchio in crisi ormonale... Ormai ero stato travolto completamente da Rory e non me ne pentivo affatto. Avevo avuto i miei problemi, era stato difficile accettarlo, eppure adesso non vedevo alternative.

Avrei voluto Rory oggi e domani.

Schiacciai il mozzicone sotto la suola e sbuffai infilando le mani in tasca. Faceva freddo, gennaio non ci aveva concesso la grazia del sole, poi mi arrivò un messaggio.

Principessa: Sono quasi arrivato, con tanto di cuori finali.

Passai le dita tra i capelli, per poi nasconderle di nuovo nel giubbotto.

Mi domandai se sarebbe cambiato qualcosa a causa della lontananza; forse, una volta rivisto il viso di Rory, mi sarei reso conto che non mi piaceva più... Immaginai che a parlare fosse quella parte di me non ancora convinta che potesse piacermi un uomo, ma dovevo smetterla: oramai ero finito nella rete del finocchio.

Venne annunciato l'arrivo del treno e mi alzai dalla panchina, dovetti attendere qualche altro minuto prima di poterlo scorgere e fu ben presto fermo davanti a me. Guardai tutte le persone scendere dai vagoni, nemmeno tante, per essere lunedì mattina, e fremetti nell'adocchiare una capigliatura ramata tendente al rosa.

Poi accadde e Rory scese dal treno trascinando il suo trolley fucsia, che quasi mi ero vergognato a tirare quando l'avevo accompagnato in stazione alla partenza. Poco dopo, i nostri occhi si incrociarono e sul volto di entrambi comparve un sorriso tirato da orecchio a orecchio.

Mi dolevano le guance.

Rory camminò più veloce, rimbombò il rumore delle ruote della valigia, poi mi fu addosso. Mi stritolò con le sue braccia prive di muscoli e io lo avvolsi con le mie più possenti, sprofondai col naso nella sua capigliatura e mi investì il suo profumo fruttato.

Cristo, quanto ho aspettato di annusarlo.

Mi scrutai attorno, non era rimasta molta gente sulla banchina e qualcuno ci squadrava, tuttavia non mi staccai da lui. Quando sciogliemmo l'abbraccio, Rory mi guardò con quelle iridi tra l'azzurro e il grigio. In quel giorno nuvoloso, però, coglievo soltanto le sfumature celesti, così luminose da eliminare ogni traccia plumbea.

«Mi sei mancato.» Sfregai i pollici sui suoi zigomi e li vidi arrossarsi, ma forse era stato il freddo o il trucco velato che li ricopriva.

«Davvero?» domandò euforico.

Non resistetti e mi chinai sulle sue labbra: mi erano dannatamente mancate anche loro. Feci pressione con le mie, contai i secondi che rimanemmo uniti, mi insultai per come mi aveva cambiato Rory.

Essere esaltato come un bambino solo per un bacio. Davvero?

Gli rubai un ultimo schiocco e il mio cioccolato fu nel suo celeste ancora una volta. Più lo guardavo e più mi accorgevo che era bello da togliere il fiato. Con o senza trucco, triste o felice, mio o di nessun altro.

Come Guardare il SoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora