70 - Papà

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Mi tolsi il casco, vi infilai dentro i guanti da moto e uscii dal garage; venni colpito dal freddo glaciale di quella giornata invernale, così raggiunsi il più rapidamente possibile la porta d'ingresso, che, per fortuna, mia madre aveva già aperto, e trovai conforto appena varcata la soglia.

«Ciao, mamma.»

Lei mi abbracciò e mi stampò un bacio sulla guancia. «Ciao, Trey. Vuoi qualcosa di caldo?» chiese e mi sfregò le braccia, avvolte dalla tuta di pelle nera e bianca.

La sua solita apprensione mi fece sorridere e annuii. Svanì in cucina e io la seguii subito dopo essermi tolto le scarpe rosse e averle messe sotto il calorifero acceso; mi spogliai anche della tuta e la lasciai sullo schienale della sedia sulla quale mi accomodai.

La vidi armeggiare con un pentolino e le bustine del tè, sembrava piuttosto in forma rispetto a qualche tempo prima. Le cose con mio padre non si erano ancora sistemate, ma, perlomeno, non si era più parlato di separazione o divorzio; benché il mio rapporto con papà non fosse stato recuperato, ero contento che non tutto era andato rovinato, almeno per loro due. Lo si poteva notare dalle occhiaie, sul volto di mia madre, quasi svanite e il tocco di rossetto di nuovo sulle sue labbra.

Dopo pochi minuti, ci trovammo entrambi seduti attorno al tavolo della cucina, con una tazza fumante di tè alla vaniglia.

«Stai studiando?»

«Sì, mamma» inzuppai un biscotto e lo addentai, «domani è l'ultimo giorno di lezioni, poi devo pensare solo alla sessione invernale.»

«Mi raccomando.»

Le sorrisi. «Kevin mi aiuta come al solito.»

«E lui come sta?»

Rallentai i movimenti e deglutii più volte prima di rispondere: «Meglio, ma... è complicato.»

Evitavamo di parlare di Rory da qualche giorno, ormai. Kevin stava andando avanti, concentrava le sue energie tra il lavoro in sartoria, l'università e la passione per il cucito: passava molte ore alla macchina da cucire, creava, fabbricava, mi usava come modello assieme a Lottie. Da una parte ne ero ben felice, dall'altra sapevo che non si era ancora ripreso. Ciononostante, non si poteva paragonare a Warren, che si era allontanato da noi, non rispondeva ai messaggi e non voleva vederci. Non era nemmeno più venuto a lezione.

Mia madre mi strinse una mano e mi carezzò il dorso col pollice. «Andrà sempre meglio, vedrai. Questa è un'orribile fase che svanirà con il tempo, tu assicurati di stargli vicino.»

«Certo.»

Mi lasciò andare la mano e, subito dopo, la porta d'ingresso si aprì. La tensione mi raggelò, fui preso dal panico come ogni volta che mio padre tornava a casa, poiché non ero mai pronto, e mai lo sarei stato, per ricevere il suo sguardo di disappunto seguito da poche parole di convenienza.

Tuttavia, notai che mamma non era nel mio stesso stato, non c'era ansia o paura nei suoi occhi, perciò mi rassicurai e capii che qualcosa era cambiato.

Cambiato per davvero.

«Ciao, papà» lo salutai per primo, non appena entrò in cucina.

«Trey.»

Non mi guardò. Si sporse sul viso di mamma e le diede un bacio a stampo. Il gesto mi sorprese, non glielo vedevo fare da parecchio tempo e mi si scaldò il petto, però a quello seguì il silenzio: avevo paura di discutere di fronte a mio padre di qualsiasi cosa, aveva ancora quell'influenza su di me.

Non riuscivo a parlare di Kevin, dei miei sentimenti, dell'università. Erano tutte cose che lui disapprovava, ma erano la mia vita e non avevo molto altro, perciò temevo che, se avessi detto qualcosa di sbagliato, per lui, non sarei riuscito a mascherare il rancore celato in me in quei mesi.

Come Guardare il SoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora