Capitolo 22

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Gemma Styles non amava essere al centro dell'attenzione. Preferiva che le persone non la guardassero ogni volta che faceva qualcosa; cercava di agire sempre all'insaputa di tutti. E nemmeno quando decise di lasciare la clinica Sacred Heart di Londra si era smentita. Così, al buio, nella notte, aveva indossato la prima cosa che le capitò sotto mano e senza dare il minimo sospetto della sua fuga, aprì la finestra e saltò giù sull'erba umida del cortile dell'istituto. "Addio, stronzi" aveva sussurrato più a se stessa che ad altri mentre si rimetteva in piedi e dava un ultimo sguardo alla sua "casa" degli ultimi mesi. Davanti a lei, la città non sembrava molto diversa da quando l'aveva vista l'ultima volta: turisti che vagavano per le strade anche a quell'ora di notte, ragazze con le minigonne nuove di negozio che barcollavano verso locali, gruppi di giovani impegnati a parlare delle ultime sullo sport. E poi c'erano persone che fumavano. Tanta, tantissima gente che con le sigarette in bocca accese le passava di fianco, ignorando il suo pallore quasi spettrale ed i suoi vestiti tanto diversi da quelli delle coetanee. Notò persino che nei vicoli del quartiere erano presenti non pochi ragazzi che indossavano pressoché gli stessi indumenti e che si cimentavano in preparazioni di spinelli con l'erba appena comprata. Gemma li osservò, bloccata non appena sentì l'inconfondibile odore della marijuana: vide le loro dita prendere con sapienza l'erba dalla bustina che la conteneva, i loro sorrisi soddisfatti, la loro voce ridotta a poco meno di un sussurro che incitava gli altri a spezzare a metà una sigaretta. E sentì un'inquietante nostalgia pervaderle lo stomaco; ricordò che poco tempo prima anche lei era come loro, nascosta nel buio a leccare cartine con l'eterna paura di essere scoperta. Appena vide una scintilla provenire da un accendino dei ragazzi sentì il suo cuore balzare. E si emozionò ancor di più quando uno del gruppo disse: "Cazzo, è fortissima" con la voce roca dopo un colpo di tosse. Si, le ricordavano proprio lei ed i suoi amici qualche anno prima: alcuni di loro erano morti, altri scomparsi dalla circolazione ed altri ancora forse in galera. Ma lei ancora c'era. Gemma Styles era tornata e nulla, neppure quel rompipalle di suo fratello poteva fermarla. Così, nell'oscurità di quel vicolo, si ci addentrò anche lei, con un sorriso a metà tra l'accattivante e l'eccitato. Dopotutto, pensò, cose le avrebbe fatto un po' di erba? Lei era abituata a roba molto più pesante. E: "Ehi, mi fate fumare?" domandò sfacciatamente ad uno di quei tipi che la squadrò dalla testa ai piedi. Lui fece un ghigno, tenendo lo spinello tra l'indice ed il pollice ed aggiunse con la voce impastata e maliziosamente ambigua: "tu cosa mi dai in cambio, bella?". Scatenò le risate di tutti, tranne di Gemma. Le piaceva l'erba, non l'essere trattata come una sgualdrinella. "Un calcio nei coglioni, tesoro" esclamò lei, seria. E gli stessi ragazzi che prima ridacchiavano per la battuta del loro amico, fecero lo stesso per la risposta di Gemma. Il diretto interessato rimase zitto, a fissarla con aria ferita nell'orgoglio. "Cazzo, Joe! La ragazza ti ha zittito!" esultò un tipo dandogli una pacca sulle spalle e continuando a sghignazzare. Quello che rispondeva al nome di Joe fece una smorfia e poi allungò il braccio verso Gemma, per passarle l'erba. "Sai, se ti faccio fumare è solo perché mi sembri davvero una con le palle". Lei sorrise, portandosi lo spinello alla bocca e facendo un profondo tiro. Tutto ciò che in quell'istituto avevano provato a farle dimenticare con ore ed ore di sedute con lo psicologo e quintali di medicine stava tornando alla memoria. La gola che bruciava forte appena il fumo l'attraversò, il cervello che ricevette come una specie di allarme, la bocca che si distese automaticamente in un'espressione rilassata. Assaporò quella meraviglia sino in fondo, tanto che la visualizzò nella mente mentre si insinuava tra i suoi neuroni. Poi si rigirò la canna tra le dita, osservandola come se fosse un prezioso cimelio. "E' molto buona. Chi ve la vende?" chiese lei guardando i tipi uno ad uno, come se li stesse interrogando. Uno di loro prese la parola e rispose: "Un ragazzo dell'East End. Ha un locale lì, ma non so di cosa si tratti..". Gemma era ancora più curiosa e continuò a fare domande: "Ma non sapete come si chiama? Oppure ricordate che aspetto abbia?". Un altro ragazzo pensò un attimo, prima di replicare: "Oh, ha un nome un po' strano perché a giudicare dai lineamenti non credo proprio sia inglese. Penso che abbia origini indiane, o qualcosa del genere". Poi, intervenne il tipo che poco prima le aveva dato da fumare: "Credo si chiami Malek, Malik..non so, un nome tipo questo". Lei annuì, salutandoli con la mano. "Grazie ancora" disse prima di girare i tacchi ed andare da qualche parte. Camminò ancora per quella strada, incrociando gli stessi individui che facevano le medesime cose. Non aveva la più pallida idea di dove andare quella notte; sicuramente non poteva dormire per strada. Così, ebbe una sorta di illuminazione: chiamare la sua cara amica Sue, l'unica ancora non dietro le sbarre ed in vita, sembrava una buona idea. Non le importava dell'orario; sapeva che se Sue avesse ricevuto una sua chiamata l'avrebbe risposta. Ricercò il numero dell'amica sulla rubrica del suo cellulare vecchio e funzionante per miracolo e, scorrendo i pochi numeri, comparve "Sue <3" sotto l'elenco delle "S". Premette il tasto verde e dopo un paio di squilli, che le indicarono che la chiamata fatta con l'addebito era stata accettata, una voce femminile e squillante ironicamente rispose: "Gemma Anne Styles, razza di puttanella che non sei altro!". Gemma non potè esserne più contenta. "Susanne Josephine Smith, brutta stronza!" le rispose urlando e facendo voltare i passanti. "Come stai?" chiese Sue, eccitatissima. "Non c'è male. Tu come te la passi?" fece Gemma sollevata che l'amica non si fosse dimenticata di lei. "Lasciamo stare come sto io. Allora, ti hanno dimesso da quel manicomio?" domandò l'atra con i suoi soliti modi spicci. "Ehm, si diciamo di si" replicò la ragazza mentre non continuava a percorrere il rettilineo discretamente affollato. "Ed ora che farai?" fece l'amica curiosa. "Proprio di questo volevo parlarti. Non so dove andare, mio fratello non è in città e mi chiedevo se potevo rimanere da te per un po'.." mentì Gemma, sapendo che non poteva rivelare che suo fratello stesse lavorando come prostituta in un bordello. "E lo chiedi pure! Conservo la brandina nel ripostiglio da quando ti sei ricoverata! Porta le tue belle chiappe qui. Finalmente Gemma e Sue sono tornate a fare casino" disse Sue dall'altro capo dell'apparecchio. Rise e poi aggiunse: "Sono a Chalk Farm. Passami a prendere davanti la stazione, ti aspetto lì".
Perfetto, una casa l'aveva trovata. Adesso non le rimaneva che trovare quel tipo, Malek o Malik, come cazzo avevano detto che si chiamasse, e cominciare la sua vecchia vita.

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