Fu una notte orribile.
Dormii sul divano a casa di mio papà, con la finestra spalancata e la tapparella alzata. Mi svegliaii più volte di notte, disperata e nel panico perché quelle crisi respiratorie sembravano durare sempre di più, non avevo scampo, continuavano costantemente a tornare.
Essere rientrata a casa, se non altro, mi faceva sentire meno sola e più protetta.
Mio papà si svegliò ogni volta, e ogni volta venne a controllare come stavo, cercando di darmi sostegno per quanto possibile.
Al mattino, dopo una notte in cui si era reso conto della mia effettiva condizione, mi disse in modo fermo che dovevo andare a farmi vedere in pronto soccorso per capire quale fosse il problema, mi avrebbe accompagnato lui dopo colazione.
Mi consigliò di portarmi un cambio: "É probabile che ti ricoverino per capire che cos'hai...". A quelle parole rabbrividii, non volevo essere ricoverata nemmeno per una notte, non ero mai stata ricoverata prima e l'idea mi infastidiva.
Poi però pensai ai piccolini dentro di me, mi chiesi se tutto questo potesse recar loro danno in qualche modo e seppi che non avevo scelta, dovevo andare.
Mi dava fastidio il pensiero di recarmi in pronto soccorso e dovermi sforzare di far capire a sconosciuti cosa mi stesse succedendo, quale fosse il mio problema, rischiando di essere presa per paranoica o venir derisa. Non mi ero mai lamentata in gravidanza e non ero apprensiva, perciò non volevo proprio essere catalogata come gravida ansiosa.
Se mi avessero trattata da ipocondriaca avrei mandato tutti a quel paese e me ne sarei andata immediatamente. Consapevole che anche quella reazione sarebbe stata controproducente ma ero veramente al culmine della sopportazione, ero stanca e affaticata.
In testa mi ero già fatta un film mentale negativo, non avevo voglia di perdere tempo e star lì ore e ore in attesa (magari per nulla, per essere rimandata a casa senza soluzioni...) ma al contempo non avevo molta scelta, non potevo continuare a stare così.
Scegliemmo di andare nello stesso ospedale in cui avevo fatto il bi-test poiché conoscevamo già la struttura e mi sarei rivolta innanzitutto al pronto soccorso ginecologico così da verificare subito le condizioni dei bimbi.
Arrivai e restai in attesa, ma non a lungo, prima di me non c'era nessuno quindi si trattò solo di aspettare che il medico arrivasse dal reparto dopo che l'infermiera andò a chiamarlo.
Mi fece entrare e mi sedetti.
Era giovane e aveva uno sguardo buono. "Allora, cosa succede?" Mi chiese guardandomi negli occhi e facendo un sorriso.
Io, che avevo già preparato le armi da guerra, fui quasi spiazzata dalla gentilezza. Mi ero aspettata di dover partire in quinta e parlare con un dottore che a stento mi avrebbe ascoltata o considerata, di doverlo convincere di aver bisogno di aiuto mentre lui mi avrebbe guardato come si guarda qualcuno che ti fa perdere tempo. Capii, invece, che sarebbe stato a sentire e che avrebbe cercato di capire.
Non era familiare con casi del genere, mi fece diverse domande e prese nota di tutto. Disse poi che avrebbe fatto un'ecografia di controllo per verificare che, dal punto di vista della gravidanza, andasse tutto bene e poi mi avrebbe mandata al pronto soccorso ordinario per una consultazione in merito alle crisi respiratorie. Dopodiché sarei tornata su da lui per decidere il da farsi.
I piccoli stavano bene, mi disse che entrambi erano entrambi posizionati a testa in giù ed erano pieni di vitalità, si muovevano in continuazione tirando dei calcetti in direzione l'uno dell'altro. "Ottimo, stanno già litigando!" Commentai con un sorriso ironico. Il medico ricambiò il sorriso e subito aggiunse che, per essere tranquilli su tutto, mi avrebbe fatto anche una visita interna per verificare il collo dell'utero.
Devo ammettere che inizialmente l'idea di farmi visitare da un medico giovane e avvenente mi mise leggermente a disagio. Ero abituata alle visite dal mio ginecologo ma, anche se uomo, era ben più anziano. Andavo da lui ormai da anni e la cosa non mi creava più imbarazzo o fastidio.
Mi imbarazzai di essere imbarazzata.
Alla mia età avrei dovuto riuscire a fare la persona seria e adulta anziché la ragazzina... In fondo si trattava di un controllo importante e dovevo focalizzarmi solo su questo. Ebbi paura di diventare rossa o che la cosa si notasse.
Sperai e tentai al meglio di nascondere il velo di disagio dal mio volto, rimanendo concentrata e guardando il medico molto attentamente mentre mi confermò che era tutto a posto, il collo dell'utero era chiuso e conservato.
Insomma, dal punto di vista della gravidanza, fortunatamente, andava tutto benissimo.
"Ci rivediamo più tardi" disse.
Fu quindi il momento di scendere al pronto soccorso ordinario. Lì rimasi, seduta su una sedia e digiuna, per circa 8 ore.
In quelle 8 ore, tra un'urgenza e l'altra mi visitarono, mi fecero fare un areosol e conclusero infine che era necessario un ricovero per monitorare la situazione e capire quale fosse esattamente la problematica. Sembrava asma, ma solo la visita di uno pneumologo avrebbe potuto confermarlo.
Ed ecco quindi la mia prima volta in ospedale ricoverata.
Erano ormai le 22 passate quando tornai su in reparto, il medico aveva ormai finito il turno perciò non lo rividi.
Mi fecero sistemare in una stanza dove dormiva un'anziana signora. Salutai mio padre che era pazientemente rimasto con me ad aspettare tutte quelle ore.
Le infermiere mi portarono una camomilla con dei biscotti e cercai poi di prendere sonno.
STAI LEGGENDO
Sono 2 ✌️!!
General FictionStorie di una gravidanza doppiamente non convenzionale. "Sono 2" è il racconto della mia gravidanza, un diario, a posteriori, di quello che ho vissuto e provato. È un libro che mi avrebbe fatto piacere leggere durante la mia gravidanza e spero possa...