Ospedale...Di nuovo!!

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Ebbene sì, nella mia avventurosa gravidanza ci fu un secondo ricovero, lunghissimo e inaspettato.
Paradossalmente era il periodo in cui fisicamente mi sentivo meglio in assoluto: nausee, tosse e vomito sembravano finalmente arginati e anche il male al nervo sciatico, che mi aveva afflitta per qualche settimana, era sparito.
Ero tornata a camminare a passo spedito e facevo le scale quotidianamente senza problemi. Ogni tanto alla sera avevo la pancia un po' dura ma non avvertivo dolori o forti contrazioni, attribuivo quindi il fatto alle contrazioni preparatorie e ad una normale stanchezza.
Avevo fatto una visita dal mio ginecologo a inizio settembre in cui aveva constato che tutto procedeva al meglio.
In precedenza durante varie visite ci avevano detto che le bimbe non erano grossissime ma, d'altronde, veniva anche attribuito al fatto che nemmeno noi genitori avessi costituzioni particolarmente robuste. Le bimbe erano comunque abbastanza lunghe, ma il peso era basso.
L'ultima settimana di settembre, qualche giorno prima del ricovero iniziai il corso pre-parto. Ne ero contenta perché speravo così di raccogliere tutte le necessarie informazioni utili di cui non sapevo assolutamente nulla (dalla nascita all'allattamento e tutto il resto) e soprattutto qualche dritta per la valigia da portare in ospedale e su tutte quelle cose che ignoravo riguardo al mondo dei bebé!
Venni ricoverata un lunedì di inizio ottobre. Un intenso e frenetico lunedì.
Il piano della giornata prevedeva:
- ore 8, terza lezione del corso preparto a tema "pavimento pelvico e spinte"
- arrivare in ufficio il prima possibile poiché ero sommersa di lavoro
- ore 16, tornare in ospedale per l'ecografia del terzo trimestre
- correre di nuovo in ufficio per finire tutto il lavoro
Era un planning un po' denso considerato che mi trovavo alla trentesima settimana di una gravidanza gemellare ma mi sentivo fisicamente molto bene e in grado di affrontare qualsiasi cosa. Inoltre, non vedevo molte alternative.
Credo di non aver mai visto una donna gravida camminare così velocemente, e penso nemmeno alcuni dei passanti che incrociavo e di cui attiravo lo sguardo. Rispetto al mio solito passo cittadino però ero decisamente rallentata.
Quel giorno mi ero portata il pranzo da casa e ricordo di aver mangiato nella saletta da pranzo aziendale sentendomi un groppo alla gola per la mole di lavoro che avevo da fare prima e dopo l'ecografia. Un'ecografia prenotata più di due mesi prima, felice di aver finalmente trovato posto presso l'ospedale dove intendevo partorire. Insomma, un appuntamento che non potevo modificare, annullare o posticipare ma che nel periodo in cui dovevo svolgere anche il lavoro delle colleghe in trasferta proprio non ci voleva. Avevo paura di non riuscire a far tutto o di dimenticarmi qualcosa nella fretta. Non sapevo a che ora sarei tornata a casa quella sera ma più che altro avevo delle scadenze precise perciò alcune cose dovevo farle assolutamente  entro un certo orario e questo mi creava un po' di tensione.
Uscii dall'ufficio per dirigermi in ospedale con i tempi contati, presi la metro e poi, come la mattina, percorsi frettolosamente la strada fino all'entrata dell'ospedale.
Una volta arrivata mi rilassai e nell'attesa pensai solo che avrei rivisto le piccoline. Tutte le volte era un'emozione e poi ero molto curiosa di sapere come stavano crescendo, se erano ancora entrambe in posizione cefalica e se procedeva tutto bene.
Le sentivo sempre muovere e tirare colpetti alla pancia ed era una sensazione bellissima.
Rimasi ad aspettare per un po' di tempo (non avevo messo in conto troppo ritardo e speravo che l'attesa non durasse molto) e successivamente due giovani dottoresse mi fecero entrare in un ambulatorio e iniziarono la visita. Sembrava tutto a posto ma avevo capito che molto probabilmente erano due praticanti e temporeggiavano aspettando che arrivasse anche la loro superiore per un controllo più approfondito. E la dottoressa infatti arrivò circa venti minuti dopo e ricontrollò quanto riportato dalle colleghe, lo fece abbastanza lentamente mentre io mi domandavo quanto sarebbe durata ancora la visita, nonostante fossi contenta dell'attenzione e degli approfondimenti.
Poi arrivò una domanda inaspettata: "Ha avuto contrazioni?". Le risposi che, a parte qualche indurimento della pancia la sera, non avevo avvertito nulla e lei proseguì con l'ecografia senza aggiungere altro se non che mi avrebbe fatto anche una visita interna prima di terminare. Pensai fossero solo una domanda e una procedura di routine.
Poco dopo portò la schermata in 3D e per la prima volta vidi le immagini delle bimbe così dettagliate da emozionarmi. Lo fece probabilmente per smorzare un po' di tensione. Di Noemi si vedeva bene il profilo, mi stampò una foto e me la consegnò, ero felicissima. Mi mostrò anche Letizia, che continuava a muoversi e fare la bocca "a bacio", mi fece molta tenerezza.
Poi arrivò il momento della visita interna e le successive parole.
Mi spiegò che avevo il collo dell'utero raccorciato a meno di 2 cm e che questo significava che le bambine rischiavano di nascere di lì a poco, soprattutto se avessi continuato a muovermi e camminare. Disse che per questo motivo dovevano trattenermi per accertamenti e probabilmente ricoverarmi.
Fu una doccia fredda che mi mandò in confusione totale.
Persi lucidità nel momento in cui mi sentii dire che sarebbe potuto partire il travaglio a sole 30 settimane, che dovevano bloccarmi le contrazioni e stimolare lo sviluppo polmonare delle bambine in modo tale che, se anche fossero nate a breve, i polmoni sarebbero stati pronti.
La dottoressa fece alcune telefonate e successivamente mi invitò a recarmi all'ingresso del pronto soccorso ginecologico.
Ero sola quel giorno, era la prima ecografia in cui nessuno mi accompagnava, e mi sentii persa.
Camminai lentamente lungo il corridoio, con il terrore che ad ogni passo la mia condizione potesse ulteriormente aggravarsi. Arrivai al pronto soccorso ma non capivo dove dovevo andare,  se dovevo recarmi direttamente da qualcuno con cui la dottoressa aveva parlato o fare la fila allo sportello di accettazione. L'addetta all'accettazione mi fece segno in modo brusco di indietreggiare a livello di una linea scarsamente visibile e aspettare il mio turno.
Confusa e con la testa che girava, rimasi lì, immobile, in piedi e spaventata.
Controllai l'ora, erano ormai le 18 passate. Feci una prima telefonata in ufficio per dare istruzioni su un lavoro urgente da portare a termine.
Successivamente chiamai Fra, mio papà e mia mamma per avvisarli. Come prevedibile, sì precipitarono tutti lì in ospedale. Ma li vidi giusto il tempo dell'attesa, dopo l'accettazione, prima che mi chiamassero per entrare.
Verso le 23 mi avevano trovato un letto nel reparto di patologia della gravidanza, e mi trasferirono lì.
Nel frattempo mi ero un po' tranquillizzata e rassegnata. Mi sdraiai nel letto, chiusi gli occhi e, con i rumori e il vociare di sottofondo nel corridoio illuminato, cercai di prendere sonno.

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