33. Troppe cose da digerire

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           "Tough", Lewis Capaldi

Non avevo bisogno di sentirmelo dire per sapere che la nostra splendida vacanza natalizia sarebbe finita di li a poco. Credevo che a entrambi fosse chiaro che non avevamo davvero più motivi di trattenerci ad Atlanta.

Probabilmente non c'era neppure bisogno che uno dei due cercasse parole per convincere l'altro a restare fino alla data stabilita. Io sapevo che non ne avrei trovate per convincere Tyler.

E credevo che fosse anche inutile dire che, da quando Dan aveva messo piede fuori casa, l'atmosfera era cambiata radicalmente. Se prima avevo un dolore al petto che mi opprimeva sapendo quello che avrei dovuto tenere nascosto a Tyler, adesso il dolore era diventato lancinante, insopportabile. Unito al fatto che le cose non sarebbero state più le stesse.

Sapevo quanto una cosa del genere potesse sconvolgere la vita delle persone. Aggiungiamoci il fatto che Tyler non abbia mai preso bene neanche sentir nominare un membro della sua famiglia, era la combinazione perfetta di acqua e olio. Mai mescolabili insieme.

Nessuno dei due si aspettava certo una cosa del genere. E, per quanto potesse fare male sapere che da lì in poi anche Dan era a conoscenza di cose che avrei preferito sicuramente non scoprisse mai, non era tanto quello che mi preoccupava.

Volevo ucciderlo, certo, perché quello che aveva fatto era a dir poco imperdonabile. Ma avevo l'impressione che sia io che Tyler fossimo andati oltre quello. Almeno, per quel momento. Il punto era Malcom Evans.

Non credevo proprio che Tyler, in qualunque momento fosse stato, fosse intenzionato a  mandare avanti una delle aziende più importanti del Colorado per conto di suo padre. Lo stesso che odiava più di ogni altra cosa, per inciso.

Quindi avevo sinceramente paura per lui. Perché sapevo che la notizia che Dan ci aveva dato l'aveva sopraffatto, e non era molto bravo a gestire quel tipo di emozioni, soprattutto quando si trattava della sua famiglia.

Stavo cercando di non pensarci, ma fare le valigie sapendo il motivo per cui stavamo praticamente scappando me lo rese a dir poco difficile.

Credevo che saremmo partiti quella sera verso le sei. La sera prima Dan se ne era andato ed io avevo provato a parlare con Tyler, a capire che cosa ne pensava, ma dire che non ne ha voluto sapere era dire poco. Quindi quella mattina stavo cercando di tenermi il più occupata possibile, per cercare di non pensare a quello che ci avrebbe aspettato a Denver.

Chiusi la mia valigia e la misi in piedi fuori la porta, accanto a quella di Tyler. Tornai dentro e mi sedetti sul letto per riposarmi. Atlanta era sempre stata un trauma, sia per me che per Tyler. Cominciavo a pensare che il prossimo Natale avremmo dovuto seriamente cambiare meta. Magari qualcosa di più caldo, e possibilmente senza la neve. Cominciavo a capire perché la gente adorava le Hawaii. Comunque,era meglio non fare quei discorsi. Mai dire mai: magari il prossimo Natale io e Tyler ci saremmo... lasciati. Saremmo entrambi al college, non avevo la più pallida idea di come sarebbero andate le cose.

Alzai la testa di scatto quando sentii bussare. Apparve Tyler sulla porta, con le mani in tasca ed un'espressione sconfitta, gli occhi bassi e le labbra piegate in un sorriso... sconfortante.

"È la tua camera, non c'è bisogno che bussi"

"Magari ti stavi cambiando, o stavi facendo qualcosa e non volevi che ti disturbassi", rifletté con voce incerta. Alzò le spalle e percorse lo spazio tra i piedi del letto e l'armadio, incrociando i miei occhi.

"In quel caso, solo ventiquattr'ore fa non ti saresti fatto troppi problemi", osservai distogliendo lo sguardo.

Lo sentii sospirare. "Non mi va di parlarne",disse solamente. Sospirò di nuovo ed estrasse una mano dalle tasche per spostarsi un ciuffo di capelli neri ricadutogli davanti agli occhi.

Non mi toccare 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora