Capitolo 2 - FMFY

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Ricordati di respirare oppure ti si alza la pressione, Nico. Mi stava salendo la rabbia ad ogni giro della chiave nella serratura. Hazel mi guardava spaventata, ci manca solo l'elemento di disturbo che mi faceva pena. Si, fa pena, tutta quella scena faceva pena, se fossi stato in lei me la sarei andata a gambe levate oppure far finta di non sapere chi io fossi nel vialetto. Chissá se il signor padre si ricordava di me. Hazel mi mise la mano sulla spalla, se non fosse stata la persona con cui dovevo condividere la casa le avrei tranciato la mano, ma al momento provavo rabbia verso un'altra persona.

«Non toccarmi» dissi dirigrignando i denti.

Lei tolse immediatamente la mano come se fossi un cane rabbioso che l'avrebbe staccato a morsi. Sentii la porta aprirsi e incominciai ad usare la tecnica Zen o Yoga, vodoo quel che sia, del terapista. Conclusione? Non serviva ad un cazzo. Pian piano i passi striscianti si avvicinavano alla porta della cucina e una figura alta e scocciata si presentó sulla soglia appoggiandosi allo stipite. Era molto alto, aveva una barba ispida, degli occhi marrone scuro quasi tendenti al nero e dei capelli anch'essi neri come carbone portati indietro con la brillantina. A chi ho ripreso? Non solo l'aspetto ma anche l'espressione scocciata avevo preso da quell'idiota, mi ha partorito lui? Mi guardava in silenzio e mi studiava con quel suo irritante volto. Hazel posava lo sguardo sia su di me che su di lui come se stesse vedendo degli scambi di un'avvincente partita di tennis.

«Che hai cucinato, Hazel?» disse sedendosi a capo tavola

Oh, grazie della considerazione, mi sento a mio agio adesso, come se non me ne fossi mai andato dalla mia vecchia cittá e casa dove non avevo nessuna informazione su di te. Il labbro di Hazel tremó come se non sapesse se dovesse avvisare della mia presenza o meno.

«Lo stufato, come avevi chiesto» aveva la voce rotta, era spaventata, e doveva esserlo perché adesso faró una sbottata di livello plateale.

«Respira ragazzino, e fai un'espressione che non sembri di un omicida psicopatico» disse interrompendo il mio flusso di pensieri.

«Sto respirando e la mia espressione é giustificabile, non credi?» ribattei appoggiando la testa sul palmo della mia mano.

«É giustificabile volermi uccidere? Chi sono io per giudicarti?»

«Mio padre? É tuo dovere giudicarmi»

«Mi consideri tuo padre dopo tutto questo tempo, sei dolce...» lasció le ultime parole sospese come se dovesse fare un paragone con qualcun'altro, tipo con mia madre?

Misi le braccia dietro la testa furioso e chiusi gli occhi sbuffando. Stavo cercando di trattenermi vedendo il tremore di Hazel dietro ai fornelli, ma perché é cosí terrorizzata da questo buffone pallone gonfiato con la brillantina sui capelli. Avevo lo stomaco che gorgogliava come lava in un vulcano attivo, volevo tanto, non lo so, prenderlo a calci e pugni. Mia madre stava con questo tipo, ma perché? Tra i pensieri di mia madre mi venne un interrogativo che non mi ero posto fino ad adesso: la mamma di Hazel? Non vidi nessuna traccia di vestiti da donna a parte i suoi oppure di una presenza di un'altra persona a parte i numerosi giubbotti presenti all'ingresso. Cosa la costringeva a stare qua con questo idiota, a cucinargli pure. Forse con lei ha fatto il veramente il padre, troppe domande. La mia rabbia andó scemando stranamente, non volevo spaventare piú di tanto Hazel che se ne stava lí di fronte ai fornelli forse a trattenere le lacrime. Avevo ancora quel suo sguardo viscido addosso che mi studiava. Decisi di sostenere il suo sguardo, per chi voglio spaccare la faccia riesco perfettamente a sostenerlo.

«Da dove vieni?» disse infine

«Londra»

«Frazione?»

«Londra»

«Sei mai stato qui a San Francisco?»

«Dimmelo tu...»

La conversazione cessó, forse ero stato troppo insolente, ma meglio che tirargli un pugno. Hazel mise i piatti di fronte a noi e si sedé al posto di fianco a me con un'espressione muta e guardava lo stufato come se fosse piú rassicurante se guardare me o quel coso che si presume sia umano che si trovava allo stesso tavolo. Prima o poi dovrá uscire il discorso di mamma, della parentela sospesa, di Bianca. Mangiai ma non riuscivo a scorgere il sapore, non volevo mettere a giudizio le qualitá culinarie di Hazel ma credo che il problema erano le mie ulcere nello stomaco, ed era soltanto il mio primo giorno. Preferivo l'orfanotrofio a questo. Finii e guardai il piatto vuoto, la sacca di merda si alzó e se ne andó di sopra senza dire una parola lasciando me ed Hazel a guardare i piatti. Hazel emise un sospiro profondo come se parte del peso che portava sulle spalle fosse magicamente sparito e prese il suo piatto e lo portó al lavandino.

«Lavo io i piatti» dissi mentre prendevo il mio piatto e quello del rifiuto

«Non c'é bisogno»

«Facciamo a turni, va bene? Facevo cosí con mia sorella» le risposi guardandola mite.

Lei mi fece un sorriso che partiva da un'orecchio e finiva dall'altro, come se trattandola come sorella e non come padrona di casa la faceva sentire meglio. Aprí la bocca come per aggiungere qualcos'altro ma non emise nessun suono e se ne andó di sopra lasciandomi con i piatti da lavare, quella solitudine che tanto aspettavo per riflettere. Sotto il getto d'acqua freddo e la cucina spoglia di rumori e di persone mi ricordava quando mangiavo da solo a pranzo, quelle rare volte, mi attaccai a quel pensiero per risollevarmi un po'. Non sapevo cosa mi aspettassi con la conoscenza del mio assente padre, magari che si scusasse in ginocchio o che mi avrebbe fatto qualche promessa sulla sua presenza futura, ma adesso ero io quello che faceva pensieri positivi, quello che immaginava l'arcobaleno con la conoscenza del padre stronzo. Sistemai la cucina e tornai di sopra in camera.

«Ti ho messo accappatoio, spazzolino e quel che ti serve di sanitario nel bagno» mi rivolse Hazel mentre preparava lo zaino.


«Hai frugato nella mia borsa?» le dissi offeso

«Volevo essere gentile, mi dispiace, sei stato carino ad offrirti di fare i piatti» mi rispose sorridendo e giocando con una ciocca dei suoi ricci.

«Gentile commettendo una violazione della privacy? E poi ho detto che faremo a turno, non sono stato "carino"» calcai l'ultima parola come se fosse un termine che nessuno mi aveva mai rivolto.

«Ti piace giurisprudenza?»

«L'informazione di me del giorno te l'ho giá data»

Andai in bagno che era una delle stanze che non avevo esplorato, era piccolino: aveva il lavello attaccato al muro con sopra un bicchiere con solo due spazzolini, tra cui il mio. O il verme non si lavava i denti o aveva un altro bagno in camera sua; la doccia si trovava di fianco alla porta con le ante aperte che lasciavano vedere un quantitativo esagerato di shampoo e balsamo, immagino che tenere i ricci sia stressante; alla parete opposta c'era la personificazione di mio padre: il cesso. La tentazione di farmi una doccia era tanta ma ero piuttosto stanco e domani avevo il mio primo giorno alla Sky shit High School quindi decisi di mettermi il pigiama e lavarmi i denti per dirigermi a letto. Trovai Hazel che stava facendo presumibilmente i compiti o studiando. Le luci erano spente tranne per la lampada al neon che aveva sulla scrivania che rendeva i suoi capelli piú sull'oro che il color cannella abituale. Era piegata scomodamente sui libri che mi veniva voglia di raddrizzarle la schiena ma la scoliosi era sua, non di certo mia. Mi sistemai sotto le coperte mettendo in carica il cellulare e osservai Hazel che disperatamente leggeva e scriveva. Il sonno venne subito a mancare a causa delle conversazioni minime e irritante con quel tipo che dovevo chiamare padre da oggi in poi. Hazel sembrava del tutto diversa da lui, ed io purtroppo ero molto simile a quel rifiuto, sia di aspetto che di atteggiamenti. Mi ritenni un pezzo di merda, ma dovevo forse mettere in conto che come me non sapeva farci con le persone o che fosse uno stronzo e basta. Con gli occhi spalancati sul soffitto notai che quest'ultimo era decorato con delle stelle che mostravano alcune costellazioni che riconoscevo. Quel soffitto mi calmava, se lo avesse fatto Hazel sicuramente ha anche lei i miei stessi problemi di insonnia, ma quel soffitto mi faceva sentire come se fossi disteso fuori a guardare le stelle. Ci sapeva fare, anche i dipinti non erano niente male. Infine mi addormentai guardando quel soffitto stellato.

La cura di ogni mio tormento (Solangelo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora