Adrien

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Ricordo ancora quando nacque quella creatura indifesa dai capelli biondi dorati e dagli occhi verdi smeraldo, con pagliuzze grisacee attorno all'iride, dalla pelle bianco latte e con una dolcezza sconfinata nei suoi più lievi sorrisi. 
Erano già passati due mesi: il tempo era volato ed ero diventata un'impiegata che vestiva un elegante tailleur firmato Agreste, blu scuro come la donna nei miei sogni, una gonna a tubo corta al ginocchio e una coda di cavallo alta. Durante tutto quel periodo, io e la signora della casa non parlavamo d'altro che non fosse l'arrivo del bambino: l'argomento mi faceva sentire piccola, mi stringeva il cuore in maniera incomprensibile e non riuscivo a realizzare quanto fosse importante quell'avvenimento; per quanto ci provassi non me ne capacitavo. 

Insistette immediatamente che fossi la prima a tenerlo in braccio: quando i suoi occhi verde opaco si inchiodarono ai miei non riuscii a negarmi a quella petizione... e così lo raccolsi dalle calde e dorate braccia della mia migliore amica per accoglierlo nelle mie, al contrario fredde e bianche.
Pensavo piangesse subito... e invece si strinse al mio petto, nel punto esatto dove il mio cuore batteva:
si... lo sentii battere, per la prima volta dopo anni ci feci caso.
Lo accolsi tra le mie braccia come la cosa più fragile che si potesse toccare; cercai di reprimere un sussulto, un sorriso ampio mi macchiò inconsciamente le labbra e iniziai a respirare erraticamente cercando di contenere l'euforia che giubilava dentro di me come non accadeva da tanto tempo.
Aprì gli occhietti e sorrise stendendo le manine al mio viso:
guardai Emi in cerca di approvazione: lei solo assentì con un sorriso stanco e mi avvicinai al piccolo sbaciucchiandolo sulla testa cercando di imitare una vocetta giocherellona mentre sorrideva.
Vedevo il mio austero, giovane capo trasformarsi in una persona totalmente differente; riempiva la moglie di baci, guardandola con un velo particolare negli occhi, come a volerle trasmettere quanto forte fosse stata, sembrava invece stupirsi nel vedere in me questo lato un pò materno... E proprio in quel momento avrei desiderato così tanto che il tempo si fermasse e quell'istante durasse in eterno: non volevo tornare alla solita routine, non volevo l'ordinario.
Quel bambino era la vivida immagine dei Graham: solare, dolce, dal cuore grande e forte.
Mentre continuavo a sbaciucchiare Adrian sentii i miei occhi riempirsi di lucciconi:
"non adesso" pensai.
Di colpo il Signor Agreste si voltò a guardarmi, era impassibile come sempre.
Smisi all'istante e cercai di ricompormi un minimo, non mi aveva mai vista in atteggiamenti così poco consoni ad un ambiente lavorativo, mi stavo vergognando di aver fatto vedere per la prima volta dopo tanto un lato di me che non fosse a Emilie.
Si avvicinò a me cercando di mantenere il contatto visivo, cosa che cercavo di nascondere palesemente guardando Adrien, è indescrivibile l'imbarazzo che provavo solo per essermi lasciata andare alle mie emozioni dopo tanto che le reprimevo... un passo dopo l'altro, verso il padre del bambino, quella goccia di sole che giaceva tra le mie braccia.
Alzai lo sguardo, mi sorrise e chiese con ironia:
-"Posso tenere un pò in braccio mio figlio o mi priverà di quest'onore signorina Sancœur?"
Fece una leggera risata per smorzare la tensione del momento ma non l'avevo mai visto così vulnerabile, così fragile, vedevo che stava per arrendersi alle lacrime quanto me... lo vidi per la prima volta diventare umano col timore di esserlo.
Nel guardarci negli occhi ho visto quei lucciconi diventare lacrime mentre sorridevamo a quella piccola creatura che aveva abbattuto quella barriera ghiaccio che non ci lasciava essere noi stessi, che ci aveva bloccati fino a quel momento.
Passai delicatamente il piccolo tra le braccia di Gabriel, anche lui, inesperto e spaventato stava pensando le stesse cose che pochi secondi prima avevano invaso la mia mente, potevo leggerglielo negli occhi.
Emilie si alzò e strinse suo marito da dietro, decisi di andar via e lasciarli soli ma lei mi prese per la spalla e mi unì a loro: in quel caldo, forte e, penso, desiderato abbraccio che vorrei rivivere di nuovo tutti i giorni della mia vita.
Ma era davvero un incanto destinato a durare?


Passati tre anni dalla nascita di Adrien mi convertì automaticamente in un'istruttrice attempata, che badava ad Adrien come se fossi stata contattata anche per quel compito. Spesso Emilie lavorava interi turni o doveva partire anche per più giorni di fila, quindi toccava a me organizzare l'agenda dell'intera mansione, dello stilista, che, con l'avvicinarsi degli eventi era intrattabile e la mancanza quasi costante della moglie non era di conforto, e col piccolo incorreggibile che a volte dovevo rincorrere per la mansione perché voleva solo giocare.

-"Adrien!"
-"Vieni a prendermi!" Rideva il piccolo raggio di sole scalando a gattoni i gradini in marmo.
-"Signorino Adrien!"
Ero esausta ma come dirgli di no? Era sempre solo e in rare occasioni poteva uscire con la figlia dei Bourgeois, quindi un pò stavo al suo gioco e un pò mi ponevo nel ruolo del genitore severo, dovevo sempre occuparmi della sua educazione, proprio io fra tutti.
Un pomeriggio ricordo che giocava a pallone da solo in giardino mentre stavo riordinando l'agenda di Emilie. I miei pensieri si rivolsero a lui quando lo vidi entrare in casa con le lacrime agli occhi, sporco di terra e con un ginocchio sbucciato:
-"Nathyyy!" Corse verso di me e mi abbracciò all'altezza del ginocchio, piangendo.
Gabriel uscì dallo studio in quel momento, non mi ero accorta di lui dato che stavo pensando solo ad Adrien. Lo presi in braccio cullandolo e lo portai in bagno dove lavammo la ferita e gli misi un cerotto dicendogli che le cadute sono parte della vita e l'importante è come ci si rialza.
Non capì il senso di quelle parole, e non mi aspettavo che capisse subito, era ancora troppo piccolo: ma davanti a lui non ero mai solo un'impiegata... ai suoi occhi ero un essere umano, forse un'amica. Può darsi che mi stessi avvicinando troppo, forse stavo occupando il posto di sua madre? No, questo mai. Emilie era la madre più amorevole e dolce che potesse esistere, quando era a casa naturalmente; io ero solo affezionata a lui e lui a me. Questo pensiero mi sfiorava di continuo: lo leggevo in una certa misura nei comportamenti dei signori, ma non potevo comportarmi certo come una statua e ignorare le richieste di un bimbo di soli tre anni.
Lo presi per mano e ci dirigemmo alla scrivania dove iniziò a disegnare tranquillamente. Di tanto in tanto mi complimentavo con lui o gli passavo una matita che non riusciva a raggiungere con le sue piccole mani. Ricordò l'eco tremendo della porta che sbatté perturbando quel silenzio:
-"Signorina Sancœur?"
Mi alzai subito:
-"Signore."
-"Nel mio ufficio, subito." Ordinò con voce fredda e secca.
Adrien mi guardava senza capire cosa stesse succedendo, era pò spaventato... sapevo già cosa mi avrebbe detto Gabriel e sospirai dentro di me pregando che non fosse ciò che stessi pensando.
Inconsciamente sorrisi al piccolo e gli lasciai un breve bacio sulla fronte:
-"Vai in camera Adrien, ci vediamo dopo..."
Assentì e corse via, mentre mi avviavo nell'ufficio di Gabriel sperando con tutta l'anima che non mi volesse parlare di quello.

E Quando sulla schiena trovi cicatrici, è lì che ci attacchi le aliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora