Kapittel Åtte

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Thodis si sveglió poco prima dello squillare della sveglia che le trapanó i timpani dormienti. Spostó svogliatamente un occhio verso la portafinestra e si ricordó delle strane ombre viste la sera prima nel giardino. Tiró su la tapparella che cigoló leggermente.

Vide subito in cielo così grigio da far invidia ai capelli del signor Trond, il vicino lamentoso che abitava accanto alla propria casa da quando ne aveva memoria. Dire che pioveva era esagerato, poiché c'era una leggera e quasi piacevole pioggerella. La mora aveva amato la pioggia fin da piccola, quando sgattaiolava fuori dal letto in notte fonda per affacciarsi alla finestra per rilassarsi con il suono dei tuoni e dell'acqua contro il vetro. Le rilassava i muscoli. Forse era un po' malinconico ascoltare lo scrosciare dell'acqua, ma ormai ne era diventata dipendente.

Aveva letto da qualche parte che chi apprezza il così detto "brutto tempo" , di solito aspetta che piova perché capisce di non essere più il solo a piangere. Sente che il cielo gli fa compagnia. Forse era anche vera ma Thodis non era una ragazza depressa o triste. A lei piaceva e basta.

Era come se le scorressero nelle vene mille saette.

Era iperattiva e energica. Probabilmente le piaceva il temporale perché lo sentiva in qualche modo simile se' stessa. Tutti e due erano amati da pochi, mentre molti ne stavano proprio alla larga o per paura o per precauzione. Chissà mai che si venisse colpiti da un fulmine vagante. Baggianate.

Sospiró contro il vetro e un piccolo pezzo di finestra si appannó. Si diede una mossa poiché sarebbe dovuta andare a scuola e non aveva intenzione di arrivare in ritardo. Si infilò un paio di jeans aderenti e un semplice maglioncino. Si infilò il suo fedele cappotto scuro e i fin troppo amati anfibi lucidi. Si impegnó per rendersi un po' meno pallida, e pressapoco ci riuscì, grazie al blush che l'aveva forzata a comprare sua madre qualche mese prima. Un filo di mascara ed era pronta. Scese le scale e trovó sua nonna che l'aspettava con un piatto pieno di delizie. C'era prosciutto, pane di segale, burro e marmellata. Prese una fetta di pane su cui aveva spalmato un po' di burro e l'addentó velocemente. Disse alla nonna di dover scappare e, giusto il tempo di lavarsi i denti , era già fuori di casa.

Lanció d'istinto un fugace sguardo verso la piccola foresta. La incuriosiva e la intimoriva allo stesso tempo. Riportó subito lo sguardo dritto a se' e in meno di mezz'ora era già davanti a scuola dove peró non vide Haralda.

"Probabilmente si sarà svegliata tardi come al solito quella testona...", sopiró la mora.

Poco dopo però una testa bionda le coprí la visuale e riconobbe la giacca blu dell'amica. Prima che potessero dire mezza parola la campanella suonó e tutti gli scolari si incamminarono verso l'entrata.

C'era chi ripeteva come un assatanato in vista di qualche test, chi ancora aveva la musica nelle orecchie, chi era rassegnato a passare un'altra giornata di scuola e chi invece era di buon umore. Davanti a lei c'erano due ragazzi che parlavano e ad un certo punto, mentre saliva le scale, sentí uno dei due urlare.

"Come c'è una verifica oggi? E io come faccio? Quando l'hanno fissata? Ma su cosa? Oddio io torno indietro! Aiutami ti prego, ti prego, ti prego! Ti compro la merenda se mi fai copiare. Mi basta anche una sufficienza non chiedo altro! Ti pr...mh".

Il fiume di parole del giovane rosso fu arrestato dal palmo della mano del suo amico. Il castano aveva un'espressione esasperata e Haralda non fece fatica a capirlo. Gli stava spaccando i timpani. Alzó gli occhi al cielo e ritrasse la mano.

"Va bene, va bene,basta che stai zitto adesso" comunicó al compagno.

L'altro cercò di abbracciarlo in uno slancio euforico ma venne freddamente respinto dall'altro. Nonostante sembrasse che non volesse nemmeno respirare la sua stessa aria, il ragazzo voleva bene al rosso. Più di quanto volesse ammettere. Era una delle poche persone che sapeva capire cosa avesse passato dopo la morte del padre. Non gli rivolgeva sguardi compassionevoli e carichi di pena, ma gli stava accanto e cercava di farlo divertire. Lo stesso infatti era capitato allo scolaro sbadato, che nonostante sembrasse solare e vivace in pubblico, dentro soffriva ancora per la grave perdita.

Haralda nel frattempo stava raccontando a Thodis del documentario che aveva visto il giorno prima. Parlava di come i lupi sceglievano un compagno con cui poi passavano la loro intera vita. Uno viveva per l'altro. Si difendevano, si prendevano cura a vicenda e cacciavano insieme. Haralda le disse quanto le sarebbe piaciuto se esistesse questa determinazione anche nei rapporti tra gli esseri umani. Arrivarono finalmente alla quinta classe del terzo piano e si sedettero ai rispettivi banchi.

"Ragazzi buongiorno. Aprite il libro alla pagina inerente ai sistemi di disequazioni irrazionali".

Ed ecco che Thodis vide la sua amica bionda sconsolata al pensiero degli esercizi in cui si sarebbero cimentate a breve. Ridacchió.

Era sempre la stessa.


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-C.🍄

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