Capitolo 14.

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Improvvisamente per la stanza riecheggia la suoneria di un cellullare che distoglie l'attenzione dal quadro e ferma Thomas che era intento nel dirmi qualcosa.
Mi avvicino al ripiano della cucina e sulla schermata leggo
"Succo di frutta."
Accidenti si sarà chiesto che fine ho fatto!
"Ivy." Mi affretto a rispondere.
"Edith." Dice con un tono di voce troppo calmo, pacato quasi da far paura, di solito grida per le mie sparizioni improvvise ma questa volta sembra tranquilla.
"Dove sei finata?" Chiede infine.
Non so se dirgli la verità o meno, ma preferisco dirgli la vicenda di Mister Thomas da vicino.
"In giro succo di frutta." Dico sviando la sua domanda.
"Oh bene." Dice con quasi una nota di sarcasmo "Perchè tua madre mi ha chiamato stamattina per sapere dove hai passato la notte e come mai ancora non sei tornata a casa."
Quasi mi pietrifico nell'udire quelle parole, ho completamente rimosso dalle mente mia madre e il mio "non rientro a casa."
Thomas dinanzi a me cerca di capire la conversazione, mi guarda di cipiglio per capire cosa stesse succedendo, anche perchè penso che in questo momento la mia faccia sia bianca quanto un lenzuolo.
"E tu cos'hai detto?" Dico con tono spaventato.
"Tranquilla le ho detto che hai passato la notte da me e che stai dormendo siccome eri molto stanca." Mi tranquillizza e subito emano un sospiro di sollievo.
"Però" dice continuando la frase "io e te dobbiamo parlare." Dice con voce severa.
"Ti spiegherò tutto."
"Già." Ironizza "a piu tardi." Dice staccando la chiamata senza darmi i suoi soliti saluti o nomignoli affettuosi e ciò non fa altro che preoccuparmi.
"Successo qualcosa?" Dice Thomas preoccupato.
"No tranquillo, devo andare." Dico frettolosamente mentre prendo le mie ultime cose.
"Edith sicura che sia tutto apposto?" Richiede nuovamente.
"Si Thomas tranquillo." Odio quando mi riempono di domande in questi momenti caotici.
"Se vuoi ti accompagno?"
"No Thomas no." Sbotto "Devo andare, grazie per la doccia e la colazione alla prossima." Dico sbattendo la porta di casa mentre velocemente entro in auto buttando tutte le cianfrusaglie nel sedile di fianco accendo la macchina e mi incammino verso casa.
So di aver trattato male Thomas, in quel momento non era mia intenzione , ma sentire Ivy il suo tono di voce, il modo in cui mi ha parlato non mi ha reso per niente tranquilla.
La conosco da tempo e so che mi nasconde qualcosa, oppure qualche mio comportamento l'ha delusa.
Come darle torto?
Ultimamente sto deludendo mia madre, mio padre, nonno Max, la mia migliore amica e infine me stessa, sono una delusione per tutte le persone che mi stanno attorno.
Le mille menzogne che ho creato hanno costruito una fortezza fatta di mattoni che non mi permetteno di parlare, urlare, gridare.
Come posso dare torto a chi da me si allontanata? Sono un casino.
Per fortuna dopo una manciata di minuti arrivo fuori casa mia parcheggio l'auto e mi avvicino alla porta di casa, faccio un respiro profondo e mi preparo ad entrare.
Di solito la prima cosa che fanno i miei e tartassarmi di domande per capire la veridicità delle mie parole.
"Sono a casa." Grido dallo stipite della porta.
"Tesoro finalmente sei tornata." Dice dolcemente mia madre mentre viene con dei guantoni da cucina verso di me, si abbassa leggermente e stampa un bacio caldo sulla mia fronte.
"Tesoro hai fatto la doccia?" Chiede mia mamma curiosa.
"Mh si mamma perchè?" Chiedo interdetta.
"Profumano di vaniglia." Dice indicando i miei capelli biondi.
Stupido shampoo!
Decido di andare in camera mia anche perchè ho bisogno di rimanere da sola.
"Tesoro." Mi richiama mia madre dal salone.
"Si mamma?" Dico mentre sono intenta nel salire le scale.
"Preparati tra venti minuti dobbiamo andare."
Andare? Dove?
"Mamma non mi dire che devo venire ai vostri stupidi pranzi di lavoro." Sbuffo.
Odio i pranzi di lavoro con persone tutte in tiro, giacca e cravatta che sembrano pinguini e quei capelli tirati al tal punto da potersi strappare.
"No amore abbiamo la visita di routine "
"La visita?" Dico fra me e me.
Cazzo! La visita all'ospedale.
Mi affretto ad avvicinarmi al calendario e oggi segna precisamente la data "30 settembre."
Alla fine di ogni mese mi ritrovo a fare una visita di controllo per capire come procede la cura con i farmaci.
Cazzo odio queste visite, soprattutto perchè ogni volta l'ansia inizia a prendere il sopravvento.
Vado velocemente nella mia stanza infilo una t-shirt e i miei jeans preferiti, all star al piede e prendo di fretta la mia borsa.
Scendo nel cortile e noto che mio padre e mia madre si sono ritanati già nella macchiana.
Entro in auto e faccio un cenno di saluto verso mio padre che ricambia sorridendomi dolcemente non facendo altro che scaldare il mio cuore.
Ultimamente l'ho visto poco, preso dal troppo lavoro dai troppi problemi che può portare l'azienda e la sua assenza in casa si sente, soprattutto quando guardo mia madre seduta sulla poltrona, mentre fissa il muro con lo sguardo assente persa nei suoi pensieri.
Mi appoggio al finestrino, infilo le mie cuffie nelle orecchie e parte la canzone, quella canzone.
I Pink Floyd, che tempo fa portavano in me tanta tranquillità in quella canzone, che adesso non fa altro che riportarmi nuovamente a quel giorno in macchina.
Ripenso alla mia reazione, a come sono scappata via, alla sua voce preoccupata che da dietro continuava a ripetere il mio nome, ripenso a lui stamattina che mi guardava stralunato fuori da quella macchina, mentre invadeva il mio spazio vitale fuori da quella porta del bagno, mentre cucinava intento a preparare qualcosa di buono, mentre parlava davanti a quel quadro con i suoi occhi sprofondati dentro l'anima, spenti e inermi davanti il disegno.
Smettila Edith!
Smettila di pensare.
Dico mentre maledico me stessa per ciò che sto pensando.
Arriviamo davanti il parcheggio dell'edificio e non so se io sia più sollevata così da placare i pensieri nella mia testa o nervosa per una delle solite visite e da ciò che mi aspetta.
Arriviamo davanti l'immensa entrata, delle porte di vetro scorrevoli si aprono lentamente, ad accoglierci si trova la solita reception composta da tre dottoresse costantemente indaffarate, ricordo che durante il soggiorno in ospedale a malapena potevano alzarsi da quella sedia per tutte le chiamate e le urgenze che arrivavano.
Ci fanno accomodare nelle sedie nere nella sala d'attesa l'unico oggetto che in mezzo a tutto quel bianco abbia un colore diverso da poter contrastare la freddezza che emana quella stanza.
Passano minuti che a me sembrano interminabili ore, decido di prendere un caffè dal distributore per far passare quest'attesa straziante. 
Prendo il bicchierino di plastica blu guardo il contenuto scuro all'interno, sorseggio lentamente un po' di quel liquido amarognolo e subito una smorfia di disgusto si crea sul mio viso.
Come mi aspettavo i soliti caffè che distribuiscono in questi contenitori di plastica giganti, come chiamo io, hanno più il gusto di acqua e zucchero lasciata putrefare per secoli, e proprio in queste occassione che nella mia testa balza subito quel caffè squisisto che solo nonno Max sa fare.
Decido buttare giù tutto in un sorso per poi gettare il bicchiere in una delle piccole pattumiere.
Inizio cautamente ad allontanarmi dai miei che farfugliavano qualcosa riguardante gli affari di lavoro, cammino per il corridoio bianco opaco e osservo che da quando sono andata via da qui non è cambiato nulla, se non la divisa dei medici che questa volta invece del solito bianco vestono un camicie verde tiffany.
Passo lentamente per le stanze fino ad arrivare ad una rampa di scale.
Quasi mi blocco a vederle, quelle scale portano al piano di sopra dove lì si trova la stanza, la mia stanza.
Faccio un respiro profondo prendo coraggio e inizio a salire, scanso il via vai di persone e proprio quando vedo la porta rimango impalata dinanzi ad essa.
5.
Stanza numero 5.
La mia nuova stanza, il mio rifugio, il mio inferno e il mio paradiso.
Con un tocco leggere avvicino le dita sulla piastrina che segnano il numero, subito balenano ricordi di dolore, momenti sfocati e lacrime che invece riaffiorano, tiro su nuovamente il naso e quelle lacrime cerco di ingoiarle dentro me.
Mi affaccio dallo stipite della porta e noto che la stanza è completamente vuota senza nessun paziente al suo interno.
Entro e noto il solito letto senza nessuna piega sulle lenzuola bianche, il comodino che ogni talvolta veniva riempito di fiori, cioccolatini o qualsiasi altra cosa che poteva portare colore in quella stanza buia e spenta.
Mi affaccio dalla finestra e vedo in lontananza dei bambini dell'ospedale che giocano a campana fra di loro, c'è chi da lontano invece rotola allegramente sul prato mentre altri se ne stanno semplicemente seduti su una panchina.
Un sorriso amaro spunta fra le mie labbra guardando quei bambini.
Noi grandi abbiamo bisogno dell'ingenuita di un bambino,
ridere spensierati e ballare su quei  pezzi del mondo caduti addosso, aprire la bocca e assaggiare le gocce della pioggia che imcombe su di noi, e rifiorire anche sotto una tempesta.
Ecco dovremmo essere così.
Come i bambini,
Dovremmo assaporare la felicità.
Vengo distratta dai miei pensieri da una voce alle mie spalle.
"Emh è la mia stanza bimba." Dice una bambina che rimane ferma davanti lo stipite della porta mentre mi osserva con uno sguardo a dir poco stranito.
"Oh scusami è la tua stanza?"
Dio ogni volta ne combino una.
"Emh si, questo è diventato il mio castello." Dice imbarazzata mentre gioca con le maniche del suo piccolo camicie.
Capelli castani, occhi come il mare e il naso alla francesina che va all'insù.
Mi avvicino lentamente a lei mi fletto fino ad arrivare alla sua altezza, indietreggia magari impaurita dal mio gesto e con i suoi occhioni azzurri cerca di capire qualcosa.
"Il tuo castello?" Richiedo dolcemente.
"Si mamma ha detto che questo è un nuovo castello dove ben presto mi verrà a salvare un principe." Dice con voce fioca mentre le sue guancie diventano rosse dalla vergogna.
"Ma questa è una cosa bellissima."
"Davvero?" Dice questa volta alzando il capo.
"Si davvero." Annuisco "ma c'è una cosa ancora più bella."
"Qual'è?" Dice entusiata di sapere la mia risposta.
"Tu sei una principessa vero?"
"Mh si lo sono."
"Bene, chi lo dice che deve salvarti un principe e non proprio tu?" Indico con l'indice.
"Io?" Chiede interdetta.
"Si proprio tu, proprio perché sei una principessa oltre ad essere belle, sono anche tanto forti."
"Anche più di un principe?"
"Anche più di un principe, di un drago o contro dei cavalieri." Dico trionfante.
"Ma come può una principessa combattere contro tutti loro?" Domanda confusa.
Questa bambina è più intelligente di quanto pensassi.
"Con questo." Indico il suo petto.
"Il cuore." Ripete lei
"Esatto il cuore, l'amore e la tua dolcezza."
Subito un sorriso spunta sulle sue labbra mentre i suoi occhioni brillano.
"Allora mi salverò da sola con il mio curicino." Dice sorridente.
"Promesso."
"Promesso." Dice stringendo il suo mignolino al mio.
"Io sono Cloè." Si presenta.
"Ciao Cloè io sono Edith."
"Edith?" Attorciglia il naso.
"Non ti piace?"
"No no." Balbetta "È un nome bellissimo."
La nostra conversazione viene interrotta da una donna dai capelli color mogano.
"Cloè quante volte ti ho detto di non disturbare le persone." Entra la donna in maniera irruente.
"Ma mamma io.." ma non fa in tempo a finire la frase che la madre la rimprende nuovamente.
"Eh no avevo detto di non allontanarti."
"Signora la prego non se la prenda con sua figlia." Mi intrometto "La colpa è mia, ho sbagliato stanza e Cloè cercava solo di aiutarmi nel trovare la mia." Dico facendo l'occhiolino verso la bambina che regge il gioco.
"Oh sei una paziente?"chiede la madre
"Non proprio." Tentenno "una semplice visita." Svio la domanda, annuisce per poi presentarsi. "Comunque piacere io sono Caroline la mamma di Cloe."
"Piacere Edith." Stringo la sua mano alla mia.
"Mamma mela." Dice Cloè indicando la sua bocca.
"Cosa Cloè?"
"Melaa." Ripete nuovamente.
"Ahh certo vuoi le caramelle." Dice dolcemente la madre mentre inizia a frugare nella borsa beige.
Ricordo che prima di venire ho messo delle caramelle alla frutta nella tasca posteriore dei jeans, ne prendo una manciata mi avvicino a Cloè è le porgo dinanzi a lei.
"Ti piacciono queste?"
Subito lo sguardo di Cloè si illumina vedendo quei piccoli cerchetti alla frutta, precisamente al gusto fragola.
"Sii." dice entusiasta.
"Oh Edith non dovevi." Dice gentile la madre.
"Tranquilla Caroline sono semplici caramelle. " la rassicuro.
Sento il telefono che improvvisamente inizia a squillare guardo dal display e vedo la chiamata da parte di mia madre, intuisco che è arrivato il mio turno per la visita quindi stacco la chiamata e mi incammino verso i corridoi.
"Cloè io devo proprio andare." Le dico dolcemente "alla prossima." Dico facendo un cenno di saluto da lontano e lei fa lo stesso.
"Alla prossima Edith." Saluta infine cordialmente la madre.
Ecco ora è il mio turno.
Andrà tutto bene,
andrà tutto bene..

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