La visita è durata più di quanto mi aspettassi.
Per fortuna questa volta non c'erano i miei nella stanza, quando ho di fianco loro per quanto assurdo pare l'ansia si moltiplica, non perché loro siano oppressivi, ma vedere i loro sguardi angoscianti e preoccupati dell'esito non fa altro che creare in me mille nodi nello stomaco.
Ho visto troppe volte gli occhi di mia madre pieni di lacrime e mi sono persa troppe volte nello sguardo assente di mio padre, non c'è fine in quel baratro ed io non voglio rientrare.
Il dottor Smith scollega i mille fili che aveva messo con un piccolo magnete nei famosi 18 punti, presenti simmetricamente in entrambi i lati del corpo.
1)alla base del cranio
2)alla base del collo nella parte posteriore
3) in cima alla spalla verso la parte posteriore
4) fra la clavicola e la spina dorsale
5) sulla cassa toracica
6) sul bordo esterno dell’avambraccio
7) nella parte superiore dell’anca
8) nella parte alta dei glutei
9) sul ginocchio.
Finita quest'agonia di sopportazione del dolore anche se lieve rispetto a quello che provo quotidianamente, questi macchinari non fanno che aumentare il mio status di nervosismo perenne.
Mi rivesto velocemente e mi siedo dinanzi al Dottor Smith, posto dall'altra parte della scrivania di legno in una di quelle poltrone di pelle lucide.
Noto che con il passare del tempo a malapena invecchia come se avesse un elisir di lunga vita nascosto da qualche parte.
La sua simpatia è sempre stata la cosa che lo ha contraddistinto da tutti gli altri medici con cui ho avuto a che fare durante l'anno, ormai lui è diventato quello abituale.
Ricordo ancora che durante la prima visita mi aspettavo le solite mille domande che un medico ti pone, invece lui mi ha chiesto quello che quasi nessuno si aspetterebbe di ricevere da parte di un dottore ossia "Come stai?"
Quella domanda quasi troppo banale da fare a un paziente, rimasi interdetta in quel momento, ma risposi con molta calma e disinvoltura, le mie sensazioni mi portavano a fidarmi e per una volta hanno portato nella strada giusta.
Si sistema gli occhiali sul naso, fa un lungo sospiro e mi guarda attentamente, cerco di scorgere fra le righe e captare ciò che mi dirà ma le mie sensazioni non portano a nulla di buono questa volta.
"Edith stai procedendo con tutti gli antidolorifici prescritti?" Mi chiede con voce quasi preoccupata dalla situazione.
"Certo." Mento, a volte cerco di non usarle, odio il fatto di essere aggrappata a delle stupide caramelle per farmi stare in piedi.
"Ne sei sicura?" Mi guarda di sottecchi attraverso i suoi occhiali.
"Certo." Ripeto nuovamente "È successo quelle poche volte che ho dimenticato quei contenitori arancioni. " Ammetto infine volendo sviare al più presto quel discorso.
"Edith non puoi fare questo." Mi puntualizza.
"Dottor Smith sono piu di dieci pillole che comportano l'uso di quasi cinque contenirori diversi da portarmi dietro cosa crede sia facile nella vita di un adolescente?" Dico questa volta infastidita dalla sua puntualizzazione.
"No Edith so che è difficile affrontare questa.." tentenna nel trovare la parola giusta.
"Cos'è Dottor Smith una malattia, una sindrome cronica, una patologia?"
"Sai perfettamente che la fibriomalgia è una sindrome ancora del tutto sconosciuta." Ripete la frase che ho sentito più di cinque volte al giorno ogni giorno durante la mia permanenza in ospedale.
"Una malattia sconosciuta, si purtroppo." Sbotto.
"Certo è sconosciuto il fatto che io abbia bisogno costantemente degli antidolorifici perchè dolori lancinanti bloccano i muscoli del mio corpo no?" Dico questa volta arrabbiata, mentre il Dottor Smith non proferisce parola ma rimane inerme ad ascoltare.
"È normale che una ragazzina debba svegliarsi nel bel mezzo del sonno perchè sente che a momenti può perdere il respiro in quei dolori che ti pietrificano anche l'anima no?
È normale sentirsi perennemente stanchi fare metri più del dovuto è sentire che le tue gambe al momento possano cedere da quelle scosse che iniziano a provenire da ogni parte del corpo?
Certo è normale avere disturbi del sonno, stanchezza cronica riduzione dell'umore, è tutto normale!" Dico infine tutta d'un fiato.
"Edith ascoltami!" Puntualizza il dottore sbattendo lievemente la mano sulla cattedra.
"Ormai sono mesi che non accetti questo cambio di vita, sei stata sottoposta a mille controlli, ti ho permesso di aver a che fare con i neurologi di massimo livello e gli psicologi più rinomati di questa città, soprattutto per volere dei tuoi, se continuerai di questo passo questa patalogia ti mangerà."
Conclude il discorso in maniera infastidita ma sempre con il distacco professionale di un medico.
"Cosa dicono i dati?" Vado dritta al sodo.
"Ho notato un atrofia molto più elevata rispetto la volta scorsa riguardante i muscoli."
"Con ciò cosa vorebbe dire?"
"Che l'atrofia muscolare consiste nella riduzione dei muscoli, cioè può comportare anche debolezza o perdite della funzione motoria." Enuncia con voce quasi troppo seria da far paura.
"Quindi.."
"Si Edith se continui di questo posto potresti rimanere paralizzata." Parole che in una frazione di secondo colpiscono il mio cuore come proiettili.
Non voglio ascoltare altro prendo la mia borsa e la mia giacca e vado a passo spedito verso la porta della stanza.
"Edith." Mi richiama alle mie spalle il dottor Smith.
"I tuoi lo devono sapere." Dice con voce fioca, lui sa che non sarò mai in grado di dirlo ai miei genitori.
"Peggio di così non può andare." Dico impassibile uscendo dalla stanza.
Trovo i miei che aspettano fuori la porta in attesa dei risultati, mia madre con il suo sorriso mi richiama
"Edith tesoro come è andata?" Chiede entusiata.
Ma il suo intusiasmo si spegne nel momento in cui vedo il mio volto, la mia espressione di delusione.
"Edith." Sussura con voce tremante e mi guarda con gli occhi che hanno già creato una patina d'acqua, come una bolla pronta a scopiare.
Mi avvicino a lei appoggio le mie mani sulle sue spalle, la sento che trema, trema come una foglia in pieno autunno.
"Mamma, mi dispiace." Sussuro scandendo lentamente parola per parola, ci guardiamo per svariati secondi negli occhi, quei secondi che sembrano eterni, quegli occhi color nocciola emanano tristezza, dolore e lacrime, lacrime calde, amare che scorrono per tutto il viso.
In quegli occhi sempre così allegri ora non vedo altro che la più totale disperazione.
Mi stacco da lei e velocemente mi incammino verso la porta dell'ospedale.
In queste occasioni divento codarda, divento una bambina, troppo fragile per accettare quella realtà.
Troppo debole per accettare il dolore di una madre e la fragilità nascosta di un padre.
Troppo stupida nel riunire le forze, perché no! 'Devo farcela da sola' ripeto continuamente fra me e me, scrivo poesie di felicità e frasi di incoraggiamento ma perché?
Quando dentro di me non sento altro che un freddo inverno.
Perché in queste occasioni mi nego anche la speranza? L'aiuto? Un abbraccio?
Perché io sono il male, sono il puntino nero in uno sfondo bianco, non posso portare dolore nella vita di chi amo.
Esco fuori, ho bisogno di aria, ho bisogno di stare sola.
Ma quando arrivo all'esterno in quel giardino verde mi ritrovo davanti la persona che meno mi sarei aspettata in questo momento.
"Ivy." Dico incredula.
"Già." Dice a braccia conserte mentre il suo sguardo trucida ogni parte del mio corpo.
"Cosa ci fai qui?" Chiedo quasi infastidita dalla sua presenza in quest'occasione.
"Tu che ci fai qui?" Sbotta Ivy.
"Ho accompagnato i miei per una visita." Mento.
Ancora.
"Ah si?"
"Si." Ribadisco
"Smettila." Dice questa volta quasi gridando.
"Ivy cosa vuoi? perché sei qui? Come sapevi che mi trovavo qui?"
Cosa cazzo ci fa fuori quest'ospedale?
"Perché sono qui?" Urla.
"Sono qui perchè ho saputo attraverso tua madre che la mia cazzo di migliore amica doveva andare in ospedale. "
Mi paralizzo nell'udire quelle parole, non respiro, non emano nessun rumore, rimango ferma ad ascoltarla, Ivy non sapeva, non sapeva nulla.
"Sono venuta a sapere che la mia migliore amica, tu proprio tu" indica col dito.
"Mi hai nascosto tutto questo tempo che lei stessi male."
Grida arrabbiata.
"Ora mi è tutto chiaro, ora capisco perchè in estate mai una videochiamata, mai un'uscita come ai vecchi tempi, la bugia della tua lunga vacanza."
Lacrime amare le rigano il viso.
"Ora capisco queste." Sfila dalla sua tasca le pillole, soprannominate da me le famose caramelle dal cofanetto arancione.
"Sono antidolorifici, antidepressivi che ho trovato ieri nella tua borsa."
Ora la mia mente mette a fuoco il tutto, goccie calde rigano le mie guancie.
"Ho visto su internet queste medicine perchè vengono usate e non so se internet ha ragione, perché cazzo internet non ha mai ragione, ma citava anche la parola 'morte' in quella patologia ed io ieri solo ieri ho saputo che potevo perdere la mia cazzo di migliore amica dall'oggi al domani.?"
"Ivy ascoltami.." riesco solo a dire queste due parole che subito la sua voce sovrasta.
"No ascoltami tu Edith!
Per tutto questo tempo mi sono sentita sbagliata, pensando di aver fatto qualcosa per averti fatto allontanare da me, rimurginavo e mille pensieri andavano sempre sui miei comportamenti sentendomi quella sbagliata, invece no cazzo!
È peggio.
È peggio di una delle nostre solite litigate per il cibo,
È tremendamente peggio di una delle nostre solite discussioni avute per i personaggi delle serie tv,
è peggio dei nostri caratteri contrastanti,
È peggio dei battibecchi avuti riguardo i gusti di gelato più buoni,
È peggio, perché quel che prima reputavo peggio ora lo reputo il meglio.
Ed io ora mi sento distrutta."
Mi guarda un ultima volta con i suoi occhi ormai colmi di lacrime,
mentre scappa,
Scappa via.
"Ivy." Grido,
grido disperata,
grido con voce graffiata,
lacerata
dentro.
Ora lo reputo il meglio.
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SUN IN OUR EYES.
RomanceEdith Barnes è una giovane ragazza diciottenne che vive con la sua famiglia in una piccola casa nel Nashville. Occhi azzurri come il ghiacco e capelli chiari come i raggi del sole il suo aspetto contrasta con il suo carattere forte e grintoso, felic...