IX. ALBA

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                                                                           Such a beautiful view

IX. ALBA.


Il cielo inizia a schiarire; manca un'ora o poco meno all'alba. Sono entrambi sdraiati sul tettino dell'auto, Taemin rabbrividisce nella giacca di Minho e tra le sue braccia, l'aria a quell'ora è frizzante, punge la loro pelle lasciandola fredda al tatto.
Hanno tutti e due le labbra consumate dai baci, rosse come un fiore e lucide come il miele. Non hanno parlato molto, hanno preferito dare la precedenza ad altre cose. Resistersi è stato impossibile dopo tutto quel tempo passato a rincorrersi e a sfuggirsi. Baciarsi per ore e guardarsi negli occhi è tutto quello che sono stati in grado di fare. Tutto quello che avevano voglia di fare. Superare i confini.
Minho è steso supino con gli occhi socchiusi a sbirciare il cielo, Taemin invece è su un fianco e guarda lui senza distrarsi nemmeno un attimo.
Cazzo, ancora non ci crede...
Niente gli sembra più bello di quel profilo netto e preciso, ma anche morbido e dolce sotto certi aspetti. Il mento, per esempio, è stondatoc'è una fessura sotto al suo labbro inferiore che lo fa rientrare leggermente per poi arricciarsi all'infuori, ha sempre trovato quel dettaglio tenero da morire in quel viso dai tratti mascolini.
Niente gli sembra più bello di quelle mani che lo stringono e toccano; una è dispersa tra i suoi capelli, sente quelle dita lunghe e sexy giocare con le ciocche della sua chioma, ogni tanto gli sfiorano la cute e la pelle gli si riempie di brividi.
«C'è stato un momento in cui ho avuto seriamente paura», dice piano, tracciando dei cerchi con l'indice sopra alla sua guancia.
Minho si volta a guardarlo, lo scruta per un po' prima di rispondergli.
«Di cosa?»
«Che non te ne importasse nulla di me. Il dubbio ce l'ho sempre avuto però per fortuna esistono i dettagli, mi sono aggrappato a quelli per tutto il tempo.»
«Cosa te l'ha fatto pensare?»
«Hai smesso di farmi domande.»
«Tu non hai mai risposto alle mie domande.»
«Non c'entra niente. Che tu mi piacessi penso fosse piuttosto chiaro a tutti. Tu non hai mai avuto dubbi. Io invece ho dovuto tenere in conto tutto, anche queste stronzate. Ho pensato che ti fossi stufato di me, che l'interesse che avevi, e la curiosità, fossero morti insieme.»
«Mi sono rassegnato. È questo che fanno le persone che si impegnano nel fare qualcosa senza ottenere risultati.»
«Si rassegnano? Evidentemente hai fatto le domande sbagliate non credi? »
No, non lo crede affatto. È tutto un bluff, non ci sono domande giuste con Taemin, sono tutte sbagliate. Non avrebbe mai risposto a niente, voleva solo continuare ad avere attenzioni.
Un capriccio bello e buono da parte sua.
«E i dettagli di cui parlavi invece, quali sono?» Minho cambia discorso, ormai ha capito che con lui è inutile insistere. Sarebbe soltanto un tira e molla. Hanno punti di vista differenti, e poi Taemin è cocciuto e non cambia idea nemmeno se va a finire con la testa contro un muro. Non lo capisce proprio che per Minho è importante sapere anche quel tipo di cose che lui invece definisce inutili con tanta noncuranza. Dove abita, cosa fa nella vita, cosa ha fatto fino ad ora, la scuola che ha frequentato. Anche qual è il suo gusto preferito di gelato.
Cose semplici, cose basilari.
È vero, saperlo non gli cambia un bel niente a questo punto della corsa, ormai ci è troppo dentro e di tirarsene fuori non se ne parla, ma ciò non cambia il fatto che vuole sapere.
A impuntarsi è bravo anche lui.
«I tuoi occhi», Taemin dice dopo una breve riflessione. «Quando siamo tutti insieme, con gli altri, i tuoi occhi sono su di me, sempre. Quando mi allontano, mi seguono. Lo hai sempre fatto, senza malizia credo. Penso che nemmeno te ne rendi conto ma tendi a...monitorarmi, sai? Anche quando ridi, ad esempio, mi cerchi come se volessi condividere quel momento di ilarità esclusivamente con me. E poi ci sono...c'erano, le tue continue domande del cazzo», ride. «Tutta quella curiosità doveva significare per forza qualcosa.»
«Significa questo», Minho si sporge in avanti, lo bacia lentamente. «Sei attento però.»
«Io l'ho capito prima di te», sibila Taemin. Brillano i suoi occhi quando gli rivolge quel sorriso ad un millimetro dalla bocca. «Che ti piacevo.»
«Ma quello che ti ha seguito la notte del falò però sono stato io. Non puoi prenderti tutti i meriti!»
«Sì, ed io ho riso di te. Se non l'avessi fatto non ci saremmo mai incontrati, no?»
«Ma quanto sei cocciuto.» Dice, dando forma al pensiero di prima. Per un attimo gli è venuta persino l'idea di ricordargli che lui, quella sera, l'aveva anche scambiato per un fottuto maniaco.
Se ci ripensa gli viene da ridere.
È proprio vero che gli inizi, di qualsiasi cosa si tratti, sono sempre strani, inconsueti. Perlomeno lo sono quelli importanti. Si portano dietro sempre storie particolari.
Lui non è il tipo che crede nel destino, che tutto sia già stato scritto da qualche parte e a tutte quelle stronzate lì. No, a lui piace pensare di essere padrone della sua vita a trecentosessanta gradi, è lui l'unico artefice del suo destino. Le sue decisioni sono soltanto sue, e sono quelle che hanno fatto di lui l'uomo che è ora, con difetti e pregi. Si è formato da solo, tra sconfitte e vittorie. Milioni di errori e qualche scelta giusta.
Pensare di avere dei fili invisibili attaccati a braccia e gambe e che qualcuno lo manovri dall'alto lo irrita a morte. Il suo domani, ma anche il suo "tra dieci minuti", non è una pagina da girare e un nuovo capitolo da leggere, è piuttosto una pagina bianca in cima a tante pagine scritte.
Però l'incontro con Taemin rimette tutto in gioco, insinua in lui dubbi mai avuti. Instilla nel suo animo una specie di romanticismo mai conosciuto.
Il loro incontro è stato dettato dal fato, è l'unica conclusione a cui arriva irrazionalmente quando ripensa a quell'ombra danzante davanti al fuoco e a come ha pensato che fosse la vista migliore del mondo, la cosa più bella e attrante che avessero mai visto i suoi occhi.
Per poi inseguirla, dargli una forma e un nome, e scontrarsi ferocemente con lei. E poi ancora; rincontrarsi, darsi una possibilità, conoscersi.
E alla fine eccoli lì.
Taemin si tira su, fa perno con il gomito sul tettino dell'auto e si poggia la guancia sulla mano. Fissa Minho dall'alto e come sempre lo trova bellissimo. Ha gli occhi chiusi rivolti verso il cielo, e le sopracciglia contratte. Sembra che stia riflettendo su qualcosa di cruciale.
«A cosa pensi?»
«A niente.»
«Impossibile.»
«Lo so, ma quando non si ha voglia di condividere i propri pensieri solitamente si dice così.»
Taemin lo guarda contrariato ma ha la risposta pronta.
«Lo vuoi sapere cosa penso io?» il sorriso che gli arriccia le labbra non promette niente di buono
Minho apre un occhio per sbirciare ma lo richiude subito. No, quel sorriso la dice lunga.
«Se dico di no che succede?»
«Che te lo dico lo stesso.»
«Avanti, allora», ride facendo "no" con la testa. «Tanto non ho scelta.»
«Penso che dovremmo fare l'amore.»
Minho apre gli occhi, ma questa volta non è preso alla sprovvista, resta calmo. Lo guarda.
Il ragazzino è proprio un osso duro, ha gli occhi fissi nei suoi pieni di una convinzione spaventosa. Sono neri e profondi, ma luccicano più di qualsiasi altra cosa al mondo.
«Non qui», alza un braccio, cinge Taemin per il collo. Se lo avvicina per rubargli un bacio. «Non in una sudicia auto.»
«Perché no? A me la tua macchina piace e mi va benissimo.»
«Non la prima volta tra me e te, Taemin. Non accadrà così.»
Vorrebbe dire che non sente il bisogno di bruciare le tappe ma non sarebbe vero, piuttosto non vuole farlo in macchina. C'è qualcosa negli occhi di Taemin -nella luce che emanano-, o qualcosa nel suo modo di vivere, che gli ha fatto capire una cosa.
Tra le tante domande irrisolte lui scava a fondo, e anche senza risposte concrete riesce a trovare soluzioni. Si è adattato.
Chissà, forse questa è proprio la conoscenza naturale, quella più vera e profonda di cui parla sempre Taemin. Quella dove si impara osservando e vivendo, senza chiedere niente. La costante vicinanza con lui gli ha insegnato più di quanto si aspettasse e se ne rende conto solo ora.
«Guarda che non sono quel tipo di ragazzo. Un letto di rose o un'auto con i sedili di pelle, a me non cambia niente.»
«Quante volte l'hai fatto in un auto, eh Taemin?» chiede a bruciapelo. Gli basta guardarlo negli occhi sgranati per capire di aver fatto centro.
Lo sa bene che non è quel tipo di ragazzo da letto di rose, l'ha capito che è esattamente l'opposto.
«Quanti finestrini appannati hanno visto i tuoi occhi? E quanti sedili di pelle ha toccato la tua schiena nuda?»
Taemin continua a fissarlo con gli occhi spalancati. Non è solo la sorpresa a riempire le sue iridi, c'è anche una buona dose di timore. Si sente sporco.
È comunque troppo sfacciato per starsene zitto.
«Abbastanza.» La sua voce è solo un soffio ma ferma.
Minho lo bacia ancora. Questa volta si alza sui gomiti per andargli incontro. Un bacio lento, caldo. Rassicurante.
«Quello che hai fatto prima non conta, il passato è solo passato. A me non cambia niente. Concedimi solo l'opportunità di essere differente
«Tu sei differente a prescindere»
«A modo mio Taemin, non a modo tuo
Taemin si mette a sedere, si circonda le ginocchia con le braccia e sbuffa. La felpa che gli avvolge le spalle è intrisa del profumo di Minho, basta quell'odore tremendamente buono a fargli arricciare il viso in una smorfia che rivela tutto il suo disaccordo.
«Non voglio aspettare ancora...» sibila, mentre gonfia un po' le guance senza nemmeno accorgersene. Ha già aspettato così tanto....
Lui in quel profumo ci si vuole perdere subito. Vuole che diventi anche il suo.
Minho ha notato un 'altra cosa: la paura. Taemin si allontana quando non vuole far trapelare qualcosa, un'emozione troppo forte e ingestibile. Quando non è abbastanza forte per tenersela dentro e ha il timore che qualcuno riesca a decifrarla, mette spazio fra lui e l'altra persona. Non vuole farsi leggere.
Diventa ciò che non è mai: schivo.
«Non cambierò idea Tae...non scappo da nessuna parte, okay?» allunga un braccio, gli accarezza la schiena.
Taemin resta con lo sguardo rivolto altrove, arrotolato in una pallina fatta di gambe, braccia, e la felpa blu di Minho. I suoi capelli bianchi scintillano sotto la luce appena nata che va prendendosi il suo spazio nel cielo. Il nero ora è diventato indaco, somiglia tanto al colore delle punte della sua chioma.
«Sarà meglio.» Borbotta.
«Anche la tua prima volta è stata in un'auto?»
Minho glielo chiede di getto, non ha pensato prima di sputare fuori quella domanda. Se lo avesse fatto se la sarebbe risparmiata, tanto sa che non riceverà mai una risposta.
«Potrei offendermi, Minho.»
«Non ci crede nessuno.»
«Tu cosa credi?»
«Sì. Penso sia andata così.»
«Lo vedi? Le mie risposte non ti servono.» È una conferma.
«L'ho capito due minuti fa.»
«Sei troppo lento
«E tu troppo veloce. Però ci siamo incontrati lo stesso. Non è strano?»
«Non lo è, perché era destino.»
«Stronzate.» Dice. L'ha pensato anche lui poco prima ma è pronto a ricredersi all'istante. Non lo ammetterebbe mai. L'idea è talmente assurda che detta ad alta voce perde di credibilità.
Se sono dove sono è perché l'hanno voluto loro e basta, non ci sono semplicemente finiti grazie a qualcuno che li ha guidati dall'alto.
Taemin scoppia a ridere.
«Parli come me ora.»
Minho rotea gli occhi, si copre la faccia con un braccio.
«Non farmelo notare.»
«Però Minho, se ci pensi bene...», gli prende una mano, la esamina attentamente, con dedizione, come se sopra ai suoi palmi ci fosse inciso il segreto dell'universo e lui sapesse leggerlo con facilità. Gli occhi gli brillano intensamente.
«Sono io quello che corre. Ma quando ci siamo incontrati ero quello fermo, tra noi due. Ero seduto. E sai una cosa ? Io non mi siedo mai a guardare il mare. Non da solo. Quella sera ti stavo aspettando, credo. Ci ho pensato un sacco di volte.»
«Stronzate.» Ripete Minho. Lo guarda intensamente. «È stato solo un caso.»
Non ci crede davvero, ma mantenere le sue idee con convinzione gli risulta difficile se quegli occhi brillano così tanto. L'istinto di prendere quel corpicino esile tra le braccia per stringerlo, dargli piacere, perché sì, gli va bene anche amarlo sopra a quell'auto in quel momento, se prima ha rifiutato l'invito ora non conta più. Ora lo accetta. È forte quell'istinto, e se non fosse così bravo a mantenere il controllo, a pilotare con la testa, lo avrebbe seguito e appagato.
Grazie al cielo si sa controllare.
Resta sdraiato con un braccio sotto la testa e l'altro posato sulla coscia morbida di Taemin, la mano ancora nella sua, completamente preso ad ascoltarlo.
«Quante persone ti è capitato di seguire in vita tua? Tu, che quando ti ho conosciuto te ne stavi sempre imbronciato a sospirare...Non sei tipo. Certe cose non le fai
«È stato un caso. Unico ed isolato.»
Eppure in cuor suo sa che ha ragione, mettersi a seguire ombre per la spiaggia non è da lui. Non lo è per niente. Eppure l'ha fatto.
«Almeno che tu non sia uno stalker...certo, è stato un caso. Ma era scritto
«Non ritirare fuori di nuovo quella storia adesso...» si lamenta.
«Scherzavo», Taemin si volta, gli mostra la lingua in una smorfia buffa e infantile. «Ma non smontare la mia tesi o ricomincio sul serio.» Lo minaccia, il solito bambino viziato.
A volte credere che sia un uomo più o meno adulto gli viene davvero difficile. Sembra più un adolescente sotto tutti gli aspetti, dalle rotondità sul viso, al fisico minuto. Persino il modo buffo e scordinato di vestire.
Per non parlare dei suoi atteggiamenti infantili e ribelli, quelli sono al primo posto sulla sua scala dei sospetti.
«Certo che sei proprio un bambino...» Gli arruffa i capelli con una mano.
Ma mi piaci così, quello però resta un pensiero muto.
Lancia un'occhiata al cielo poi controlla l'orologio che ha al polso. Domani non ha niente in programma, né il lavoro in officina, né una sessione di studio asfissiante, ma forse è meglio tornarsene a casa prima che spunti il sole. È stata una notte lunga.
«S'è fatto tardi, tra poco albeggia. Torniamo?»
Taemin annuisce. Non gli va di separasi da Minho, neanche un po', ma non vuole nemmeno mettersi a fare i capricci. Hanno passato due ore splendide e se le fa bastare.
Pensare che aveva perso tutte le speranze...
«Vado a riprendere il motorino.»
«Scordatelo», Minho scatta a sedere. Lo blocca per un polso, quello senza livido, ma senza stringere. Non vuole fargli nuovamente male, ha già abbastanza sensi di colpa. «Lascialo qui. Fallo recuperare al tuo amichetto, non m'importa, tu lì non ci torni.»
«Ma-»
Taemin fa per protestare ma Minho è più veloce, salta giù dall'auto. Non vuole sentire scuse.
Si aggiusta i jeans sulle gambe e tira fuori le chiavi.
«No, niente "ma" Taemin. Non farmi incazzare di nuovo, sono al limite per oggi. Domani lo vengo a riprendere io, va bene?»
«Ed io come torno a casa?»
«Ti ci porto io. Sei seduto con il culo sulla mia macchia, se non te ne sei accorto. Non è un problema.» Minho spalanca le braccia, lo guarda come se fosse una specie di svitato.
Taemin gli è dietro in un attimo, salta giù anche lui. Si copre la testa col cappuccio della felpa, mette le mani in tasca.
Non lo guarda.
«Va bene, ma...», si interrompe, esita. Sembra in difficoltà. «..lasciami al pontile.»
«Che cazzo devi fare al pontile?»
Minho si acciglia, il suo sguardo si fa sempre più perplesso. Non lo capisce proprio quando se ne esce con quelle sue tipiche frasi assurde e indecifrabili. Ci si mette con tutto l'impegno possibile, ma niente. Non lo capisce.
Che male c'è nel farsi lasciare davanti al vialetto di casa?
Inizia a dubitare che Taemin ce l'abbia una casa, inizia a dubitare che abbia persino un passato.
Eludere delle domande va bene, nascondere tutto quello che è -troppo- personale è un'altra storia.
Quando pensa di aver risolto il puzzle, eccolo lì che si ritrova a dover incastrare gli ultimi due tasselli, che però non combaciano mai con gli spazi lasciati liberi. Si rimette tutto in gioco.
C'è qualcosa che gli sfugge, che proprio non riesce ad afferrare...
«Lasciami lì e basta. Faccio una passeggiata a piedi, mi sgranchisco un po'. Il tettino di questa macchina è duro come l'inferno, ho la schiena a pezzi.»
Sta mentendo. Ha di nuovo lo sguardo altrove, sfugge al suo senza farsi trovare. E Minho ci rinuncia. Sale in macchina, sospira.
«Va bene.» Dice, e solo allora il più piccolo gli rivolge un sorriso forzato.
In realtà non va bene per niente.

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